mercoledì, maggio 30, 2007


IL FATTORE – GENOVA
- o si cambia o si muore-


I commenti proposti da tutta l’opinione pubblica in ordine all’esito delle consultazioni amministrative del 28 e 29 maggio sono stati, per una volta, concordemente ispirati ad una logica di estremo equilibrio. Una volta concluse le operazioni di voto, i dati oggetto delle definitive proiezioni rendono indispensabili due considerazioni preliminari: malgrado l’emorragia di consensi sofferta al centro-nord, la coalizione che sostiene il Governo (grazie ai successi ottenuti a Genova, L’Aquila e Agrigento) ha vacillato senza crollare; la tanto temuta spallata con cui Berlusconi prometteva di rovesciare la leadership di Prodi alla lunga non c’è stata.
Tuttavia, all’interno dell’Unione i campanelli d’allarme sono tanti e non possono essere ignorati, anche in considerazione del fatto che i principali segnali del disagio in cui versa l’elettorato progressista trovano in una “roccaforte rossa” come Genova la loro principale cassa di risonanza.
Le dimensioni sostanzialmente modeste dell’affermazione riportata dal centro-sinistra nel capoluogo ligure, l’elevatissimo astensionismo, le durissime reprimende rivolte da Sergio Chiamparino e dalla stessa Marta Vincenzi in confronto dei partiti della coalizione costituiscono in questo senso segnali inequivocabili del malessere che serpeggia crescente all’interno del popolo della sinistra, della frattura sempre più ampia che divide la politica dalla società civile.
Premesso che i risultati ora in commento sembrano confermare (considerata la sonora stroncatura a cui le liste dell’Ulivo sono andate incontro in tutto il territorio nazionale) che il nascente PD deve essere qualificato non già alla stregua di un fattore di semplificazione ma semmai di complicazione della crisi politica in atto, spetta ora all’Esecutivo porre in essere quel tanto auspicato “cambio di passo”, presupposto indispensabile per riconquistare il consenso perduto a seguito dell’attuazione di una strategia complessiva di cui (dalle incertezze sui DICO all’approvazione dell’indulto; dalla decuplicazione del numero di ministri e sottosegretari all’immobilismo ostentato sui temi della giustizia e dell’etica pubblica) i cittadini faticano a comprendere presupposti e prospettive.
Così ragionando, le priorità che devono caratterizzare l’azione dell’Esecutivo in questa nuova fase sono le stesse che emergono dalla prima lettura del programma dell’Unione: in particolare, la rinnovata forza d’urto ostentata dal Caimano nel corso della campagna elettorale appena conclusa ha confermato una volta di più la necessità dell’approvazione di una legge che, risolvendo la questione del conflitto di interessi con l’incisività di cui clamorosamente difetta il c.d. disegno-Gentiloni, ponga fine una volta per tutte a quell’assurda commistione tra politica e potere economico che tuttora costituisce la principale anomalia del sistema – Italia.
Inoltre, il fattore - Genova è indicativo dell’esigenza di procedere ad una radicale opera di moralizzazione della res publica, esigenza resa ancor più stringente dai recenti studi condotti in ordine ai costi della politica e dalle percentuali relative alla massiccia presenza nelle istituzioni di soggetti indagati, rinviati a giudizio o addirittura condannati in via definitiva per reati infamanti (talvolta – è il caso dell’on. Previti – anche alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici).
Approvazione di una legge sul conflitto di interessi, abrogazione delle leggi-vergogna, riproposizione della questione morale: questi i primi punti da cui l’Unione deve partire per avviare quella reale fase di cambiamento, quella effettiva strategia di deberlusconizzazione del Paese di cui da troppo tempo l’elettorato progressista attende l’attuazione. Il fattore-Genova ha messo per l’ultima volta in rilievo la necessità di attuare questo cambiamento: riprendendo il monito paradossalmente pronunciato proprio da Piero Fassino prima del congresso del 2001, per il centro-sinistra al momento vale davvero la logica secondo cui “o si cambia, o si muore”.

Carlo Dore jr.

martedì, maggio 22, 2007


POLITICA ED ANTIPOLITICA

Nell’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” del 20 maggio, Massimo d’Alema, chiamato a tracciare un bilancio del primo anno di governo dell’Unione, ha rilevato che la stagione attuale risulta caratterizzata da una profonda crisi del rapporto tra politica e cittadini, assai simile, nei suoi connotati essenziali, a quella che attraversò il Paese durante la bufera di Tangentopoli. Insomma, per il Ministro degli Esteri, un pericoloso fantasma si aggira per l’Italia: il fantasma dell’Antipolitica; e questo fantasma deve essere neutralizzato, prima che la neonata Seconda repubblica piombi nel caos più totale.
Tuttavia, come giustamente ha osservato Cesare Salvi, è a questo punto necessario domandarsi da quale fonte il fantasma dell’Antipolitica trae vita; occorre, in altre parole, comprendere quali siano le cause dell’effettiva, crescente sfiducia che i cittadini manifestano verso la res publica.
Per offrire una risposta adeguata ad un simile interrogativo, è a mio parere opportuno fare un passo indietro, per procedere ad una riflessione di ampio respiro. Si è infatti più volte affermato come, durante il ‘900, il nostro Paese è stato squassato da conflitti laceranti, pervaso da ideali elevati, infiammato da passioni intense, diviso da battaglie civili di enorme portata. Gramsci e don Sturzo, Pertini e Gobetti, Moro e Berlinguer costituiscono le più emblematiche icone di questa appassionante stagione, la più chiara rappresentazione di quel sistema di valori che della migliore politica costituiva il prodotto.
Ma questo sistema di valori è stato gradualmente affogato dai mille scandali, dalle sanguinose stragi, dagli intricati misteri che, all’ombra della Milano da bere, hanno fatto da cornice all’epopea del CAF, all’instaurazione di quel sistema corruttivo che, cavalcando l’onda lunga dell’anticomunismo, aveva individuato nella fitta rete di rapporti che intercorreva tra i partiti, il mondo economico-imprenditoriale e determinati settori della malavita il fulcro stesso della vita dello Sato.
In questo senso, Tangentopoli ha costituito un’occasione: l’occasione per la “Politica” di riprendersi lo spazio che il malcostume di certi “politicanti” le aveva negato. Ma paradossalmente la rivoluzione di Mani Pulite ha coinciso con l’ascesa di Berlusconi, ovvero con il trionfo dell’Antipoltica, di un leader di cartapesta capace –con il suo sorriso da copertina e l’arroganza che solo il potere economico più sfrenato può attribuire- di rendersi espressione del popolo del Grande Fratello come degli adepti di Baget Bozzo, degli squadristi della nuova destra come dei colletti bianchi di Villa d’Este, dei patinati Dell’Utri Boys come delle camice verdi di Borghezio e Calderoni.
Invece di contrastare l’imperversare del Caimano attraverso una strategia di governo incisiva e coerente con i valori di cui dovrebbe essere espressione, il centro-sinistra è finora caduto nell’errore (già rivelatosi fatale nel 2001) di cedere proprio alla tentazione del dalemismo, alla logica del graduale annacquamento dei grandi ideali, del “sereno confronto istituzionale” preferito allo “scontro frontale”, dell’irresistibile vocazione per l’inciucio.
Il disegno del PD, di un partito in grado, proprio in quanto privo di una chiara ideologia di riferimento, di riunire sotto lo stesso tetto cattolici integralisti e (presunti) paladini della laicità dello Stato, ex comunisti ed ex democristiani, imprenditori senza scrupoli e vecchi leoni di piazza costituisce la più netta affermazione di questa logica, un'altra vittoria dell’Antipolitica sulla Buona Politica.
Denunciando la sfiducia con cui i cittadini si rivolgono alle Istituzioni, la costante diffusione che incontra la massima del “tutti sono uguali, tutti rubano nella stessa maniera”, il Ministro degli Esteri guarda con orrore al mostro che egli stesso ha contribuito a creare, e manifesta la necessità che questa stagione di crisi venga superata al più presto, prima che la medesima si completi con la totale erosione dell’attuale classe dirigente.
Ma per riuscire in questo obiettivo, occorre che la politica riacquisti la sua dimensione di veicolo di passioni e di valori, di strumento preposto ad assecondare le esigenze dei cittadini e non di più o meno consistenti gruppi di potere. In questo senso, l’esperienza di Sinistra Democratica, di un movimento che, partendo dal basso, si propone di creare, con la forza delle idee, quella sinistra unita e senza aggettivi di cui da troppo tempo l’elettorato progressista auspica l’attuazione, potrebbe rivelarsi funzionale al perseguimento del suddetto obiettivo. Dopo anni di dalemismo, il progetto elaborato da Fabio Mussi potrebbe davvero costituire una prima risposta di effettiva partecipazione alle logiche dirigiste che troppo spesso hanno caratterizzato il funzionamento dei partiti tradizionali, un primo momento di riaffermazione della Buona Politica sul vuoto dell’Antipolitica.

Carlo Dore jr.

sabato, maggio 05, 2007


SINISTRA DEMOCRATICA: PROBLEMI E PROSPETTIVE

1) OLTRE IL PARTITO DEMOCRATICO; 2) C’E’ BISOGNO DI “SINISTRA”: DAL CAIMANO A PRODI, PERDITA DI CONSENSI E PERDITA DI IDENTITA’; 3) FASSINO, RUTELLI, BAYROU E SEGOLENE; 4) SINISTRA DEMOCRATICA: IDENTITA’ E RINNOVAMENTO NEL SEGNO DEL “SOCIALISMO GENTILE”.


1) OLTRE IL PARTITO DEMOCRATICO

La conclusione della lunga stagione congressuale che ha coinvolto i principali partiti del centro-sinistra impone di formulare alcune riflessioni in ordine alle conseguenze che le scelte assunte dai vertici dell’Unione potranno avere sugli equilibri interni alla coalizione che sostiene il Governo.
In particolare, di fronte alle incertezze che tuttora caratterizzano la futura collocazione del Partito Democratico, i militanti che hanno scelto di non aderire alla proposta avanzata da Rutelli e Fassino hanno il dovere di interrogarsi sulla effettiva possibilità di dare vita ad un’alternativa credibile al nuovo soggetto politico. In altre parole, occorre comprendere se, oltre le Colonne d’Ercole del Partito Democratico, esiste spazio per una forza politica in grado di rappresentare davvero i valori della sinistra tradizionale, favorendo la coesione di tutte le forze progressiste presenti nel Paese.

2) C’E’ BISOGNO DI “SINISTRA”: DAL CAIMANO A PRODI, PERDITA DI CONSENSI E PERDITA DI IDENTITA’.

Alcuni passaggi della relazione pronunciata da Diliberto durante l’assise del suo partito hanno messo in luce una volta di più una necessità già emersa in tutta la sua evidenza nei dibattiti che hanno preceduto la kermesse del Mandela Forum: l’Italia ha bisogno di una sinistra forte, di una sinistra capace di difendere in maniera incisiva quell’insieme di valori (quali quello della giustizia, della laicità, della tutela del lavoro, dell’equità sociale) che da sempre rappresentano il sostrato ideologico sulla base dei quali sono stati gradualmente elaborati i principi su cui si fonda il moderno socialismo europeo.
La vertiginosa escalation di morti sul lavoro, l’assenza di misure idonee a mettere i magistrati nella condizione di svolgere con la necessaria efficienza le prerogative ad essi attribuite dalla Carta Costituzionale, la manifesta incapacità dei leaders dell’Ulivo di rispondere agli anatemi quotidianamente scagliati in confronto delle Istituzioni democratiche da una Chiesa sempre più integralista nelle sue posizioni non sono altro che semplici indici rivelatori della sussistenza di una simile necessità.
Dopo i tristi cinque anni di governo del Caimano, gli elettori hanno conferito a Prodi il preciso mandato di caratterizzare l’azione del suo governo attraverso una forte discontinuità rispetto alle determinazioni assunte dal precedente Esecutivo. Questa speranza è però rimasta finora delusa, anche in considerazione del fatto che sul Governo in carica hanno finito con l’incidere per forza di cose le incertezze e le ambiguità serpeggianti all’interno dei DS, eternamente sospesi tra l’esigenza di difendere l’eredità di Gramsci e Berlinguer e la tentazione di assecondare le pulsioni neoliberiste di alcuni loro esponenti.
Così, mentre D’Alema continua ad individuare in Berlusconi “l’interlocutore credibile” (sic!) con cui avviare un sereno confronto istituzionale, non solo i parlamentari dell’Ulivo ancora non hanno disposto l’allontanamento del condannato Previti dai banchi di Montecitorio, ma hanno accettato passivamente che il ministro Mastella attribuisse un incarico di primo piano a quel sodale dello stesso Cavaliere di Arcore che (non più di dieci anni fa) manifestava l’intendimento di “impiccare Borrelli ad un pennone”.
Di fronte alla mancata abrogazione delle leggi ad personam, alle incertezze che circondano l’approvazione della legge sul conflitto di interessi, ad una strategia di coalizione nel complesso poco convincente in quanto priva di un’impostazione ideologica chiara, il malcontento del popolo progressista ha trovato nei fischi degli operai di Mirafiori e nelle dure parole pronunciate da Epifani al cospetto dello stato maggiore diessino la sua più chiara rappresentazione.
In particolare, il messaggio proposto dal Segretario della CGIL è caratterizzato da un significato apparso ai più inequivocabile: c’è bisogno di sinistra, per riconquistare i consensi perduti nell’elettorato e per superare la condizione di profonda delusione in cui i militanti dei principali partiti dell’Unione attualmente versano.

3) FASSINO, RUTELLI, BAYROU E SEGOLENE

Le istanze proposte da componenti storiche dell’elettorato non sono state però in questi anni assecondate dai vertici della Quercia, i quali, dando formalmente avvio al processo di fusione con la Margherita, hanno manifestato l’intendimento di fondare il nascente Partito Democratico proprio su quella instabile palude di contraddizioni ed incertezze in cui gli stessi DS hanno disperso, dal 1996 ad oggi, approssimativamente tre milioni di voti.
Come in precedenza accennato, la collocazione internazionale del Partito Democratico costituisce, non a caso, ancora un mistero degno del più intricato romanzo giallo, destinato però a risolversi non già grazie ad un colpo di scena degno di Agatha Christie, ma più semplicemente attraverso la squallida ed italianissima tendenza all’inciucio.
Mentre infatti gli esponenti della mozione – Fassino si sono affannati a spiegare , nel corso dei vari congressi di sezione, a platee sempre più annoiate e rassegnate che il PD non potrà che costituire una componente imprescindibile del socialismo europeo , il nettissimo “mai nel PSE” con cui Rutelli si è guadagnato l’ovazione del popolo dei teodem collide perfino con la prospettiva di “andare oltre il PSE” delineata nell’approssimativo manifesto redatto dagli ormai famosi dodici saggi.
Da questa intricata sequenza di proclami, rettifiche, smentite e controsmentite, una sola verità sembra emergere con chiarezza: il modello di riferimento a cui il PD risulta ispirato nella sua realizzazione è al momento identificabile più nel Partito Democratico americano che nelle grandi forze politiche della tradizione progressista europea. Così ragionando, sembra difficile contestare l’assunto in base al quale il PD non risulterà qualificabile come un partito di sinistra, posto che i Democratici americani sono portatori di un patrimonio ideologico e culturale non coincidente con quello che tuttora caratterizza le più importanti realtà della sinistra in Europa.
La correttezza di questa affermazione trova ulteriore conferma nelle vicende che hanno caratterizzato le ultime fasi della campagna per le elezioni presidenziali in Francia: premesso che Rutelli e Prodi non hanno fatto mistero di sostenere la candidatura del moderato Francois Bayrou nella corsa all’Eliseo, lo stesso leader centrista (pur rendendo palese il suo intendimento di “non votare per Sarkozy” in occasione del turno di ballottaggio) non ha del pari offerto il suo pieno appoggio a Segolene Royale proprio in considerazione del fatto che il “suo” Partito Democratico intende porsi in una condizione di sostanziale “equidistanza” tanto dai gaullisti quanto dalle forze che afferiscono alla Gauche.

4) SINISTRA DEMOCRATICA: RINNOVAMENTO E IDENTITA’ NEL SEGNO DEL “SOCIALISMO GENTILE”.

Una volta chiarito, sulla base degli argomenti appena esposti, che il PD sembra destinato ad assumere un impostazione di stampo fondamentalmente liberaldemocratico, risulta evidente come questo nuovo soggetto politico non sarà per sua natura in grado di assecondare quel “bisogno di sinistra” a cui si è in precedenza fatto riferimento.
In tal senso, l’idea di Fabio Mussi di dare vita ad un movimento della “Sinistra democratica” non può che essere ispirata al perseguimento di un duplice obiettivo: da un lato, il disegno elaborato dal Ministro dell’Università mira ad inserire nel panorama politico italiano una forza che, collocandosi appunto a sinistra del PD, possa costituire un punto di riferimento per tutti quegli elettori i quali, in ragione delle idee di cui tuttora sia affermano portatori, rifiutano di accordare la loro fiducia ad un semplice cartello elettorale frutto di una pura soluzione di compromesso. D’altro lato, il progetto in questione vuole contribuire a creare un clima dell’unità tra le varie realtà progressiste presenti nel Paese, nel tentativo di superare quella condizione di storica frammentarietà che, dal congresso di Livorno del 1921, da sempre contraddistingue la sinistra italiana.
Così concepito, il progetto della Sinistra democratica deve per forza di cose essere attuato alla luce di due valori fondamentali: quello dell’identità e quello del rinnovamento. Rimanendo fortemente ancorato al già descritto sistema di valori che costituisce il patrimonio ideologico e politico della c.d. sinistra tradizionale – sistema di valori rappresentato al meglio dalle scelte che hanno caratterizzato l’azione di uomini come Gramsci, Berlinguer, Pertini e Salvador Allende - , il movimento a cui l’attuale minoranza diessina intende dare vita guarda con orgoglio al proprio passato per poter individuare con coerenza gli obiettivi futuri, nel tentativo di dare attuazione anche in Italia a quella forma di “socialismo gentile” attraverso cui Zapatero ha avviato (con riferimento a materie come i diritti civili, le pari opportunità, la libertà di informazione) una vera e propria rivoluzione culturale nell’abito della, pur rigidissima, società spagnola.
Sotto un diverso aspetto, si è più volte avuto modo di rilevare come l’attuale crisi dei DS sia in realtà qualificabile come la crisi di quel gruppo dirigente che, reggendo da sedici anni le sorti della Quercia, non ha esitato ad affogare il partito in una sorta di indecifrabile contenitore moderato pur di continuare ad assicurare ai suoi esponenti prestigio e visibilità.
Dopo avere assecondato le logiche di un sistema elettorale perverso nei suoi meccanismi funzionali, i vertici del Botteghino si sono dimostrati per lo più indifferenti alle istanze che venivano quotidianamente avanzate da iscritti e militanti, imponendo candidature per lo più insostenibili anche a discapito di personalità eminenti la cui unica colpa consisteva nel fatto di non essere contigue a determinati centri di potere. Le conseguenze di un simile modus operandi possono essere ravvisate proprio negli avvenimenti che scandirono la folle notte del 10 aprile dello scorso anno, in cui il centro-sinistra rischiò di perdere in maniera rovinosa un’elezione universalmente considerata già vinta.
Favorendo l’inserimento in posti di responsabilità di soggetti provenienti da vari settori della c.d. società civile (come il mondo della scuola, dell’università o delle libere professioni), l’esperienza di Sinistra Democratica può costituire in questo senso il momento iniziale di quella fase di rinnovamento della politica italiana di cui da troppo tempo si auspica l’attuazione.
Rinnovamento, identità, e socialismo gentile: un nuovo treno è pronto a partire su un binario parallelo a quello che governa la folle corsa del Partito Democratico verso il centro moderato. C’è bisogno di sinistra: che questa necessità non resti ancora una volta inevasa.

Carlo Dore jr.