venerdì, agosto 31, 2007



CRONACHE DAL TITANIC

Il dibattito relativo alla leadership del Partito Democratico della Sardegna costituisce la migliore conferma dei timori di quanti, in seno ai DS, hanno condotto l’ultima campagna congressuale sostenendo che il progetto volto alla creazione del nuovo soggetto politico, lungi dal rispondere alle esigenze di rinnovamento continuamente richiamate dai sostenitori di Piero Fassino, fosse in realtà animato da mere logiche di potere.
E così, mentre Renato Soru si candida ad assumere il ruolo di dominus indiscusso del centro-sinistra sardo, i Signori dei Partiti temono che l’apertura di un confronto aperto con il governatore possa minare la stabilità di quella rete di privilegi, clientele e rendite di posizione che della famosa Casta rappresenta il fondamento.
In verità, la prospettiva di trasformare il dibattito in questione in una sorta di referendum sull’operato del Presidente della Giunta costituisce, a nostro avviso, un’operazione riduttiva e fuorviante: riduttiva, in considerazione del fatto che il suddetto confronto rischia alla lunga di risolversi in una sterile elencazione dei pregi e dei difetti che caratterizzano la figura di Mr. Tiscali; fuorviante, in quanto una riflessione così impostata sostanzialmente oblitera quello che è il grande equivoco che i progressisti sono tenuti a superare per proposi definitivamente quale credibile forza di governo.
Sostenuta da una notevole base di consenso, la candidatura di Soru asseconda le legittime aspettative di quell’ampia fetta di elettorato “deideologizzato” il quale (forse indifferente ai rischi che per la democrazia comporta l’eccessiva concentrazione di potere nelle mani dell’Uomo solo al comando) dimostra di preferire l’efficiente decisionismo del presidente-imprenditore alle grandi passioni ed ai logoranti tormenti intellettuali che costituiscono l’essenza della militanza tradizionale.
Tuttavia, se non è possibile imputare a Soru il semplice fatto di “essere Soru” (precludendogli la partecipazione ad una competizione elettorale che egli è destinato a vincere quasi senza colpo ferile), deve viceversa essere evidenziata l’incapacità dei partiti dell’Unione di contrapporre un’alternativa efficace allo strapotere del Presidente, incapacità figlia illegittima di quel grande equivoco a cui in precedenza abbiamo fatto riferimento.
La capacità di rinnovarsi, infatti, costituisce il presupposto indefettibile di una politica che voglia rendere palese la propria “diversità”. La sinistra storicamente ha sempre manifestato una simile propensione al rinnovamento, consentendo la crescita dei suoi giovani quadri, ma una simile propensione deve, orma da troppo tempo, considerarsi esaurita.
Lo spirito di autoconservazione ha prevalso inesorabilmente sulla indispensabile tensione al rinnovamento della classe dirigente: “il sonno della ragione genera mostri”, insomma, e il sempre più dilagante sentimento nefasto dell’antipolitica rappresenta appunto il “mostro” generato da tale sonno.
Così ragionando, risulta difficilmente confutabile l’assunto in base al quale il PCI, malgrado l’eccessiva rigidità che contraddistingueva le strutture del suo apparato, si è sempre dimostrato in grado di catalizzare l’attenzione dei militanti sui grandi temi che animavano lo scontro politico (si pensi all’eccezionale mobilitazione in ordine alle battaglie sul divorzio o sull’aborto) anche grazie al contributo fornito da dirigenti capaci di impartire alle successive generazioni di iscritti una formazione politica degna di tale nome.
Per contro, i DS hanno in pochi anni dilapidato un simile patrimonio organizzativo ed ideologico, vittime di una inesauribile emorragia di consensi derivante dalle scelte assunte da un gruppo di vertice troppo assorbito da brutali giochi di potere per affrontare con la dovuta incisività i drammatici problemi di un Paese allo sbando.
I risultati di un simile status quo possono essere individuati proprio nei consensi ottenuti dagli imprenditori “prestati” alla politica, nell’astensionismo crescente, nel generale appiattimento che contraddistingue le attività delle sezioni, nella sconcertante passività con cui la platea dei tesserati ha avallato il processo distruttivo che di fatto priva la sinistra italiana di un partito di riferimento.
Per uscire dalle sabbie mobili in cui lo scontro tra l’antipolitica di Soru e la “politica politicante” di Antonello Cabras rischia di trascinare i progressisti sardi, occorre che i militanti delle forze nate dallo scioglimento della Quercia spezzino una volta per sempre l’intramontabile oligarchia dei professionisti della politica, per individuare (anche sulla base della straordinaria esperienza movimentista venuta in essere tra il 2002 e il 2004) proprio nel mondo delle associazioni, della cultura, dell’università e delle libere professioni i componenti della classe dirigente chiamata a guidare l’Unione ai prossimi appuntamenti elettorali.
L’Uomo solo al comando, i Signori dei partiti ed i delfini della Casta sono infatti gli orchestrali che dettano i tempi delle ultime danze sul Titanic, gli autori della triste colonna sonora che accompagna la deriva del centro-sinistra verso gli iceberg predisposti da Berlusconi per incantare gli illustri ospiti di Villa Certosa: è necessario che i membri dell’equipaggio si approprino del timone per neutralizzare il rischio di un ennesimo naufragio.

Enrico Palmas
Carlo Dore jr

domenica, agosto 19, 2007




“COSA ROSSA”: QUALI PROSPETTIVE?


Le polemiche scaturite a seguito delle dichiarazioni rilasciate da Gavino Angius a “L’Unità” (polemiche rese ancor più roventi dalla dura replica proposta da Rina Gagliardi attraverso le colonne di “Liberazione”) impongono una riflessione in ordine alle prospettive ed alle modalità di realizzazione della c.d. “Cosa rossa”, la forza unitaria dei progressisti italiani destinata a collocarsi “a sinistra” del nascente Partito Democratico.
Le argomentazioni del Senatore di SD si basano infatti su una premessa difficilmente confutabile, anche in considerazione dei recenti outing di due integralisti di centro come Follini e Rutelli: il Partito Democratico non potrà mai essere qualificato come un partito di sinistra, ma come una realtà “di centro che guarda a sinistra”, in grado – grazie anche all’impatto mediatico derivante dalla presenza di un leader del calibro di Veltroni – di garantire ai gruppi dirigenti delle principali forze dell’Unione la conservazione di quel sistema di privilegi e clientele su cui si fonda la famosa “casta” che governa la politica italiana.
Così ragionando, Angius rileva come lo scioglimento dei DS ha per forza di cose determinato l’apertura di un”pazzesco spazio vuoto” a sinistra del nuovo soggetto politico, spazio vuoto che deve essere occupato da una forza capace di raccogliere le istanze di tutti quegli elettori che non si rassegnano a morire democristiani. E’ quindi necessario individuare il percorso più indicato per evitare che questo patrimonio di idee e valori vada a disperdersi nella molteplicità di partiti e movimenti che da sempre caratterizzano il sistema – Italia; si deve, in altre parole, proporre in tempi brevi un progetto credibile volto alla creazione di un’alternativa “di sinistra” al PD.
Tuttavia, premesso che – anche alla luce delle posizioni assunte con riguardo alle delicatissime materie della riforma del sistema previdenziale e della lotta al precariato - deve considerarsi priva di fondamento l’insinuazione, formulata dallo stesso ex capogruppo dei senatori diessini, in base alla quale Sinistra Democratica sarebbe ormai appiattita sulle posizioni di Rifondazione, la proposta di Angius diretta alla formazione di una costituente socialista aperta ai Radicali e ai vari reduci del craxismo appare tanto riduttiva quanto poco funzionale alla realizzazione del sopra descritto progetto di rinnovamento.
Ben più ambiziosa risulta invece la prospettiva, già tratteggiata da Mussi e Diliberto, di una casa comune dei progressisti italiani in grado di raccogliere sotto un’unica bandiera, attraverso un procedimento simile a quello che in Germania ha portato alla costituzione della nuova formazione politica guidata da Oskar Lafontaine, tutte le forze di sinistra che non si riconoscono nel Partito Democratico.
Ma affinché questa prospettiva si traduca in un obiettivo concretamente raggiungibile, affinché la tanto vagheggiata “Cosa Rossa” non si risolva in un miraggio destinato a svanire con l’arrivo dell’autunno caldo, è necessario che tutti i soggetti coinvolti in un simile processo unificante abbandonino posizioni preconcette e rendite di posizione per impegnarsi nella ricerca di effettivi punti di convergenza sui grandi temi del lavoro, della politica economica, della pace, della giustizia e della solidarietà sociale.
Occorre, in particolare, che Rifondazione Comunista compia un ulteriore salto di qualità democratica, superando una volta per sempre i caratteri propri del partito di lotta per elevarsi stabilmente alla condizione di matura forza di governo capace di individuare nelle istituzioni e non nella piazza la sede naturale per far valere le (in massima parte, condivisibili) rivendicazioni del proprio elettorato.
Se il partito guidato da Giordano e Bertinotti si dimostrerà in grado di compiere questo passaggio (acquistando la consapevolezza del fatto che il socialismo europeo non costituisce un nemico da abbattere, ma il naturale momento di evoluzione della strategia berlingueriana della “via europea al socialismo”), la “Cosa rossa”, di fatto qualificabile come la proposta italiana per il socialismo del nuovo secolo, può davvero rappresentare quell’alternativa “di sinistra” al PD di cui lo stesso Angius avverte la necessità.

Carlo Dore jr.

lunedì, agosto 06, 2007




BERSANI, SORU E IL PARTITO DEMOCRATICO

E’ SOLO POTERE

Una volta esaurito l’entusiasmo derivante dalla “discesa in campo” di Veltroni, tra le varie anime del nascente Partito Democratico sono subito sorte le prime polemiche. Dopo l’esclusione di Furio Colombo dalla rosa dei candidati cha parteciperanno alle primarie per il ruolo di Segretario del nuovo soggetto politico (esclusione motivata sulla base di cavilli burocratici sicuramente poco compatibili con i principi fondanti di un partito che dovrebbe essere “aperto” e “leggero nella sua struttura”), in una lunga intervista a “L’Unità” il Ministro Bersani ha rilevato come la sinistra sia poco rappresentata all’interno del PD, la cui fase costituente risulta pesantemente condizionata – nella scelta del leader, nella composizione del comitato promotore, nella determinazione dei segretari regionali- da “logiche di tipo verticistico”.
Alle pungenti osservazioni del Ministro dello Sviluppo Economico hanno prontamente replicato Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini, individuando proprio nell’auto-candidatura di Soru alla guida del PD sardo la migliore conferma dell’assunto secondo cui il Partito Democratico viene in essere sfruttando “le energie provenienti dai migliori settori della società civile”.
In verità, proprio lo scontro in atto in Sardegna sulla leadership della nuova forza politica costituisce la migliore conferma della fondatezza dei timori di Bersani: premesso infatti che l’attuale Governatore ha ormai definitivamente dismesso i panni dell’imprenditore prestato alla politica per assumere a tempo pieno il ruolo del premier forte, le due principali componenti della maggioranza che lo sostiene tentano di contrapporsi allo strapotere del Presidente sollevando il tema dell’incompatibilità tra ruoli istituzionali ed incarichi politici.
In questo senso, la volontà delle segreterie di DS e Margherita di assicurarsi, anche nell’Isola, il controllo assoluto del Partito Democratico costituisce la ragione giustificativa delle potenziali candidature alla carica di segretario regionale di due politici di lungo corso come Antonello Cabras e Graziano Milia, autorevolissimi esponenti di quell’intramontabile gruppo di vertice che, da almeno quindici anni, governa le sorti della Quercia sarda.
Dall’analisi della situazione delineatasi in Sardegna è quindi possibile trarre un’unica conclusione, tristemente coerente con le preoccupazioni di Bersani : il progetto del PD risulta contaminato da logiche di stampo verticistico in considerazione del fatto che tale progetto non è volto a perseguire un obiettivo di “rinnovamento”, ma di mera “conservazione”. Attraverso il sistema delle “liste istituzionali”, delle candidature pilotate, dell’esclusione preventiva di tutti i candidati “scomodi” in quanto non allineati al Vangelo della non-ideologia e dei toni soft che caratterizzano il modello del partito-gazebo tratteggiato sia da Veltroni che da Letta, si vuole semplicemente garantire la sopravvivenza di quella classe dirigente che attualmente occupa la stanza dei bottoni all’interno dell’Unione.
Funzionale al rafforzamento di questa classe dirigente risulta peraltro il Manifesto dei coraggiosi firmato da Rutelli e Follini, i quali, ipotizzando un “centro-sinistra di nuovo conio” e come tale più sensibile agli orientamenti del Vaticano ed alle istanze provenienti dalla Confindustria, mirano ad emarginare quelle componenti della coalizione che (pur senza scadere nelle pulsioni neo-giacobine che talvolta animano le scelte di Rifondazione comunista) intendono semplicemente vincolare il Governo –sui temi della tutela del lavoro, della lotta al precariato e dei diritti civili- al rispetto delle previsioni contenute ne programma elettorale.
La tendenza al verticismo denunciata da Bersani assume quindi un significato paradossalmente ulteriore rispetto a quello che traspare dall’intervista che il Ministro ha rilasciato a “l’Unità”: la strategia diretta alla creazione di un partito non supportato da una forte ideologia di riferimento, da un programma chiaro, da scelte di campo nette e coraggiose non può che esaurirsi in una mera questione di potere.
Facendo riferimento alle parole usate da Sergio Romano in uno dei suoi ultimi articoli, le vicende che attualmente animano il dibattito politico in atto in Sardegna in ordine alla determinazione del Segretario regionale del nuovo soggetto politico dimostrano una volta di più come, al momento, il progetto del Partito Democratico “è solo potere”.

Carlo Dore jr.