lunedì, dicembre 10, 2007


LA “NUOVA STAGIONE” DELLE RIFORME E LE PROSPETTIVE DI REVISIONE DELLA COSTITUZIONE


L’insediamento di Walter Veltroni alla guida del Partito Democratico ha rappresentato il momento iniziale di una “nuova stagione” di dialogo tra maggioranza ed opposizione sui grandi temi delle riforme costituzionali e della legge elettorale. Ricorrendo alla stipulazione di un’intesa simile all’ormai famoso “patto della crostata” a cui fece seguito l’istituzione della c.d. “bicamerale – D’Alema” del 1998, i punti centrali della bozza elaborata dal Sindaco di Roma e dal Caimano in persona possono essere individuati nel superamento del bicameralismo perfetto, nell’attribuzione al Presidente del Consiglio del potere di nomina e revoca dei Ministri, nell’introduzione del meccanismo della sfiducia costruttiva, nell’introduzione di un sistema elettorale di tipo proporzionale caratterizzato da una (più o meno) elevata soglia di sbarramento.
Premesso che nessuna delle misure citate risulta di per sé incompatibile con i principi che devono governare il funzionamento di una democrazia moderna, la strategia impostata dal neo-segretario del PD impone la formulazione di due interrogativi fondamentali: esistono, in questa particolare fase della storia italiana, le condizioni politiche per la conclusione di un nuovo patto costituente? E soprattutto, le riforme di cui il Paese ha bisogno dipendono davvero da una modifica dell’attuale impianto costituzionale?
Identificandosi nella Costituzione la fonte preposta a governare il funzionamento delle istituzioni democratiche, a delineare gli equilibri tra i vari poteri dello Stato ed a disciplinare il rapporto tra libertà del cittadino e autorità statuale, l’approvazione di una Carta Fondamentale è sempre preceduta da un patto attraverso cui le varie forze politiche operanti in un determinato momento storico manifestano la loro adesione ad un sistema di principi e valori condivisi.
Posto che, nel lontano 1948, l’esistenza di tale substrato ideologico e culturale era assicurato dall’adesione dei partecipanti all’Assemblea Costituente ai valori della Resistenza e della lotta partigiana, un simile substrato di principi condivisi non contraddistingue, a nostro avviso, la stagione politica attuale. L’esperienza della legislatura appena conclusa conferma infatti come i democratici dell’Unione sono quotidianamente costretti a rapportarsi ad una destra caratterizzata dalla presenza di alcune componenti che solo negli ultimi anni hanno deciso di accogliere in toto i presupposti del vigente patto costituzionale e dall’azione di un leader il quale ha più volte manifestato la tendenza a preferire il decisionismo dell’uomo solo al comando alle dinamiche proprie della dialettica democratica.
Peraltro - risultando obiettivamente poco riguardoso ogni paragone tra i vari Berlusconi, Schiffani, Pili e Bondi e uomini del calibro di De Gasperi, Dossetti, e La Pira - , appare evidente come, al momento, non sia possibile rinvenire nella mediocrità del panorama politico generale quelle menti illuminate in grado di incidere con l’adeguata sensibilità sugli assetti istituzionali che caratterizzano la Seconda Repubblica.
Tutto ciò chiarito, venendo al secondo degli interrogativi inizialmente prospettati, non può sfuggire come questa rinnovata intesa raggiunta tra i poli curiosamente coincide con il sostanziale accantonamento di alcuni importanti disegni di legge, la cui approvazione appariva come un momento centrale per l’attuazione del programma elettorale della coalizione di governo.
E così, mentre la proposta elaborata da Furio Colombo per regolamentare in maniera definitiva la materia del conflitto di interessi è stata bollata dagli stessi dirigenti del Pd come un inutile tentativo di “demonizzazione dell’avversario”, il ddl Gentiloni relativo al riordino del sistema radio-televisivo sembra irreversibilmente incagliato nelle more delle procedure parlamentari.
Se si considera inoltre che le “leggi-vergogna” continuano a dispiegare i loro nefasti effetti in seno all’ordinamento e che – indipendentemente da ogni prospettiva di revisione costituzionale– l’approvazione di una singola norma sarebbe sufficiente per determinare la riviviscenza della legge elettorale in vigore prima dell’imposizione del porcellum, Veltroni dovrebbe prendere coscienza di una semplice realtà di fatto: la vocazione riformista di un partito si manifesta attraverso la sua capacità di elaborare una strategia ispirata non già alla semplice conservazione di fragili equilibri e di eterne rendite di posizione, ma alla necessità di affrontare con serietà e decisione le grandi sfide che il Governo del Paese ogni giorno propone.
Individuandosi nella normale attività legislativa della maggioranza parlamentare lo strumento utile per l’attuazione di siffatta strategia, appare evidente come l’avvento della “nuova stagione” di riforme invocata dal Sindaco di Roma prescinde del tutto da ogni modifica di quell’impianto costituzionale di cui gli elettori hanno, attraverso il referendum del giugno 2006, confermato l’assoluta attualità.

Enrico Palmas
Carlo Dore jr.