domenica, gennaio 28, 2007

A.R.S.- Associazione per il Rinnovamento della Sinistra
Associazione aprile - Cagliari


Conferenza dibattito su


Quale alternativa al partito democratico?



Venerdì 2 febbraio
Ore 17.00


Sala Conferenze Banco di Sardegna
Viale Bonaria Cagliari

PROGRAMMA
Presiede:
Andrea Pubusa -Università di Cagliari


Introduce:
Carlo Dore jr. - Avvocato


Discutono
Giorgio Mele
Senatore sinistra DS



Ottavio Olita, giornalista RAI
Gianfranco Macciotta – Avvocato Segr. Ass. Naz. Forense di Cagliari



Segue Dibattito


Sono previsti interventi di esperti,
di esponenti delle associazioni e
delle forze politiche e sindacali.


giovedì, gennaio 25, 2007

LA SCURE DELLA CONSULTA SULLA LEGGE 46/2006:
LA LEGGE DEL Più FORTE E LA CULTURA DELLA LEGITTIMITA’.


La decisione della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune delle norme contenute nella c.d. Legge Pecorella (legge n. 46 del 20 febbraio 2006) – norme che precludevano al P.M. la possibilità di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento- ha riacceso il dibattito, in realtà mai sopito, relativo ai rapporti tra giustizia e politica.
Così, mentre Berlusconi monopolizza tutti i microfoni a disposizione delle sue emittenti per tuonare contro l’uso politico della giustizia perpetrato in suo danno da quella sinistra liberticida di cui la Corte Costituzionale rappresenterebbe il braccio armato, l’ANM prende atto con soddisfazione del recepimento, da parte del Giudice delle Leggi, di alcuni dei rilievi a suo tempo sollevati in confronto di una legge che, violando il principio della “parità” tra le parti del processo penale proprio del modello accusatorio, si poneva in aperto contrasto con quanto stabilito dal comma 2 dell’art. 111 Cost.
Tuttavia, questa ennesima censura avente ad oggetto un atto normativo entrato in vigore durante la vigenza del regime del Caimano non può non costituire lo spunto per alcune considerazioni al veleno. Confermando la correttezza del leggendario aforisma di Indro Montanelli, secondo cui “Berlusconi non ha idee, al massimo ha interessi”, il centro-destra ha operato nel corso degli ultimi cinque anni al solo scopo di assecondare, attraverso l’approvazione di una serie di provvedimenti diretti a precludere alla Magistratura l’esercizio delle prerogative ad essa riconnesse dalla Carta Fondamentale, le esigenze (economiche e giudiziarie) proprie dello stesso Cavaliere di Arcore e di alcuni suoi stretti sodali.
All’imperversare di un legislatore dimostratosi arrogante nelle sue scelte e risibilmente grossolano ed approssimativo nell’elaborazione delle disposizioni attuative di siffatte determinazioni non si è opposta la sola società civile, i cui rappresentanti hanno più volte invaso le piazze di tutta Italia per manifestare la loro volontà di difendere le istituzioni democratiche. Le norme adottate in esecuzione delle illuminate strategie di quel manipolo di avvocati d’assalto a cui Berlusconi aveva demandato il compito di destabilizzare il pianeta – giustizia sono infatti spesso cadute sotto la scure della Consulta, coraggiosa nel rilevare, attraverso le sue decisioni, come la “cultura del processo” ripetutamente esaltata dall’on Pecorella fosse al limite qualificabile come una “cultura dell’incostituzionalità”, figlia della perversa concezione aziendalista dello Stato propria del Presidente – Padrone.
Ora che Berlusconi è stato faticosamente sfrattato da Palazzo Chigi, stupisce però come il primo intervento politicamente significativo in tema di giustizia assunto nel corso della nuova legislatura sia contenuto in un’altra decisione della Corte Costituzionale, e non rappresenti invece l’attuazione di una scelta della nuova maggioranza di centro-sinistra, dimostratasi tanto determinata ad approvare la legge sull’indulto quanto poco propensa ad abrogare in tempi rapidi le tante norme-vergogna imposte dalla Casa delle Libertà.
In questo senso, le posizioni quotidianamente assunte da intellettuali “scomodi” del calibro di Furio Colombo, Marco Travaglio e Franco Cordero confermano che proprio sulla materia della giustizia l’Unione dovrà dimostrare la propria capacità di rispondere alle istanze di quegli elettori che continuano ad ispirarsi ai valori della sinistra tradizionale: dopo cinque anni caratterizzati dal brutale spregio di ogni regola democratica e dalla rigorosa imposizione della volontà del Padrone, i cittadini si aspettano una politica finalmente ispirata al perseguimento di interessi generali ed al ripristino della cultura della legittimità.

Carlo Dore jr.

giovedì, gennaio 11, 2007


ETICA, POLITICA E QUESTIONE MORALE
(intervento alla presentazione del libro “Il Costo della democrazia
di
C. Salvi e M. Villone, svoltasi a Cagliari l’11 gennaio 2006)
Intendo concentrare le mie riflessioni sui capitoli XII e XIII del libro che oggi viene presentato, capitoli dedicati alla trattazione delicatissimo tema dei rapporti tra etica e politica ed all’esame dei profili di attualità della questione morale.
Nel procedere alla disamina degli argomenti in questione, gli Autori si interrogano su “cosa sia accaduto in Italia tra il 1992 e il 1994”, durante quella che viene considerata la legislatura più travagliata della storia repubblicana. Sul piano storico, la risposta a tale quesito appare drammatica nella sua semplicità: a oltre vent’anni di distanza dalla sua scomparsa, è infatti impossibile non rilevare l’assoluta correttezza delle valutazioni sulle quali era basata la “questione morale” posta da Enrico Berlinguer nel lontano 1981.
Dalla famosa intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari nel luglio di quell’anno, emerge infatti come il Segretario del PCI avesse compreso che l’Italia era di fatto attanagliata da una sorta di regime mascherato, il quale trovava il suo nucleo fondante nel perverso ed inscindibile legame tra alcune forze politiche anticomuniste, determinati settori del mondo economico ed ambienti vicini alla criminalità organizzata.
Ai magistrati di Milano deve in questo senso essere riconosciuto l’altissimo ed impareggiabile merito di avere rivelato un determinato aspetto di questa triste realtà, portando alla luce quel sistema di clientele e diffusa corruzione proprio degli anni della “Milano da bere” ed avviando il rapido processo di implosione delle varie componenti del CAF.
Se si ritiene di dover accogliere il postulato in base al quale non tutti i partiti avevano concorso allo stesso modo all’instaurazione del suddetto sistema, appare chiaro come i cittadini si aspettassero principalmente dai discendenti del PCI una rapida e radicale azione di rinnovamento della classe dirigente, la riproposizione di una questione morale in grado di portare una salutare ventata d’aria nuova nelle grigie stanze della politica italiana.
Ebbene, hanno ragione gli Autori del libro allorquando affermano che una simile azione di rinnovamento della classe dirigente non è mai stata di fatto avviata; che la sopra descritta aspettativa di moralizzazione della politica è stata finora miseramente delusa, anche a causa delle discutibili strategie recentemente poste in essere dai DS.
Siffatta aspettativa è andata delusa una prima volta nel 1996, allorquando il Parlamento, a maggioranza di centro-sinistra, non solo rifiutò di concedere l’autorizzazione all’arresto di Cesare Previti, ma non si dimostrò nemmeno in grado di approvare quella legge sul conflitto di interessi la cui entrata in vigore avrebbe impedito a Berlusconi di ridurre le Istituzioni alla triste condizione di sedi secondarie delle società del gruppo Mediaset.
Del pari, la medesima aspettativa è stata frustrata anche in questi primi mesi della nuova legislatura: l’Unione non ha infatti esitato un solo istante a ricomprendere i c.d. reati economici nell’ambito della legge sull’indulto, ma non sembra rientrare nell’ambito dei più immediati programmi dell’attuale maggioranza di governo l’abrogazione delle tante leggi-vergogna approvate al solo scopo di risparmiare ad alcuni sodali del Cavaliere l’onta di una condanna.
Così, mentre il suddetto on. Previti –malgrado una sentenza definitiva ne disponga la perpetua interdizione dai pubblici uffici- continua a sedere impunemente sui banchi del Parlamento, le forze politiche della sinistra sembrano di nuovo cadute in quella sorta di immobilismo già dimostratosi fatale nel 2001, risultando tali forze politiche del tutto insensibili alle istanze che vengono avanzate con preoccupazione sempre crescente da elettori e militanti.
Quello dei rapporti tra partiti e cittadini è l’altro grande problema affrontato nelle pagine in commento, ed è un problema che coinvolge principalmente gli stessi DS, alle prese con un processo di trasformazione dai discutibili presupposti e dalle inquietanti prospettive. Riservandomi di affrontare in altra sede le delicatissime questioni che stanno alla base del dibattito sul PD, mi limito al momento a rilevare l’esistenza di una frattura tra i vertici del principale partito della sinistra italiana e gli elettori che lo sostengono.
Tale frattura si sta consumando sia sul piano delle scelte operative (l’approvazione della già citata legge sull’indulto ha in questo senso costituito un vero e proprio schiaffo per le migliaia di cittadini che avevano impostato proprio sulla difesa dei valori della legalità, dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura la loro spontanea opposizione all’imperversare del Caimano), sia sul piano dei principi ideologici che tali scelte ispirano, sia sul piano degli uomini preposti a ricoprire incarichi di rilievo.
La riforma della legge elettorale ha in questo senso ulteriormente accentuato la già netta propensione delle segreterie ad imporre agli elettori candidati logori, compromessi o più in generale poco credibili, il cui unico merito può essere individuato nell’adesione a determinate logiche o nella contiguità ad un gruppo di potere.
Le conseguenze di un simile status quo sono state efficacemente descritte dagli Autori del libro di cui oggi discutiamo: generalizzata sfiducia dei militanti verso il Partito,
mancanza di rappresentatività, astensionismo crescente. Tuttavia, il superamento di questa sorta di autentica deriva moderata che attualmente coinvolge gli eredi di Gramsci e Berlinguer non dipende dall’artificiosa creazione di un nuovo soggetto politico, ma dal radicale ripensamento degli assetti che contraddistinguono il partito allo stato attuale.
Come giustamente si osserva nelle pagine in commento, occorre che i DS riprendano il loro cammino ispirato ai principi del socialismo europeo ed internazionale; occorre che i militanti si riappropino del Partito, imponendo ai dirigenti scelte coerenti con i valori e le idee a cui la base sente di fare riferimento.
Avviandomi a concludere, sento di dover far notare una volta di più come la “questione morale” non ha ancora perso la sua carica di attualità: l’esigenza di un radicale rinnovamento della classe dirigente, di una riaffermazione dell’idea della politica come perseguimento di interesse generale emerge in tutta la sua evidenza dalle riflessioni proposte da Salvi e Villone.
E in questo senso, la sussistenza di una forza politica espressione della sinistra tradizionale, consapevole della sua identità e non disposta a dissolversi in un inutile “contenitore moderato” costituisce il presupposto indispensabile per avviare quell’opera di moralizzazione della res publica che i cittadini da dieci anni attendono.
Carlo Dore jr.

mercoledì, gennaio 03, 2007


PARTITO DEMOCRATICO: GRANDI EQUIVOCI E GRANDI ILLUSIONI
Nei giorni scorsi, il quotidiano “L’Altra Voce” ha pubblicato un interessante intervento del prof. Paolo Pani, nel quale la prossima costituzione del PD veniva descritta come l’unico rimedio in grado di sopperire alle macroscopiche carenze strutturali proprie delle forze politiche che compongono l’attuale maggioranza di governo.
L’acuta analisi del prof. Pani - basata sull’ineccepibile assunto secondo cui i partiti del centro-sinistra si stanno rivelando drammaticamente inadeguati a svolgere la loro tradizionale funzione di “tramite” tra l’elettorato e le istituzioni, di veicolo preposto alla diffusione ed alla chiarificazione delle scelte assunte dall’Esecutivo - si presta, a mio sommesso avviso, ad alcune censure difficilmente superabili, risultando inficiata dalle stesse illusioni e dagli stessi equivoci che caratterizzano costantemente le argomentazioni di quanti aderiscono alla strategia delineata nell’assise di Orvieto.
Limitando, in questa sede, il discorso ad alcuni passaggi essenziali [1], costituisce infatti una pia illusione ipotizzare che la creazione del PD azzererebbe il ruolo delle segreterie degli attuali partiti, unitamente alle “loro burocrazie” e alle “rendite di posizione dei loro officianti”.
Con particolare riferimento ai DS, al prof. Pani non può essere sfuggito che la c.d. mozione unitaria altro non rappresenta se non il frutto delle valutazioni maturate in seno alla segreteria del partito, delle determinazioni assunte da quella ristretta cerchia di oligarchi che, appunto in quanto sostenuta da una nutrita cerchia di accoliti, seguaci ed “officianti”, da anni regge (con alterne fortune) le sorti della principale realtà della sinistra italiana.
I componenti di questa stessa oligarchia non sono destinati ad essere sostituiti in seno al nuovo partito da una classe dirigente rinnovata, illuminata ed efficiente, ma si accingono a confluire (una volta messe definitivamente a tacere le istanze di coloro i quali, fieri della loro identità socialista, ancora rifiutano l’idea di essere costretti a “morire democristiani”) nel Partito Democratico per costituirne l’effettivo gruppo di comando.
Una volta disvelato l’equivoco insito nell’affermazione secondo cui il PD può davvero rappresentare un fattore di rinnovamento della politica italiana, traducendosi il progetto in esame nel semplice consolidamento degli equilibri di potere al momento esistenti, occorre rilevare come il superamento di quelle carenze strutturali denunciate dal prof. Pani può comunque trovare attuazione attraverso il semplice ripensamento del ruolo degli attuali partiti e della loro struttura.
Guardando in particolare all’esperienza del movimento dei Girotondi, occorre che i tesserati si “riapproprino” dei partiti, che i militanti si mobilitino per imporre ai loro dirigenti l’elaborazione di strategie effettivamente in grado di rispondere alle istanze ed agli orientamenti di cui i suddetti militanti sono portatori.
Se si riuscisse a sanare la frattura che attualmente divide le segreterie dei partiti dalla base che queste dovrebbero rappresentare, se le forze politiche ritornassero alla loro autentica funzione di movimenti di opinione, di fusioni fredde, svolte riformiste, liste unitarie e di altre strane alchimie nessuno davvero sentirebbe più il bisogno.

Carlo Dore jr.



[1] Per una più ampia esposizione degli argomenti proposti nel testo, mi permetto di rinviare ai miei scritti Partito Democratico: le ragioni del NO; Partito democratico e alternative di sinistra; I DS sardi, tra PD e esigenze di rinnovamento, tutti disponibili sui siti http://www.dscagliari.it/ ; http://www.aprileonline.info/ ; http://www.pdcicagliari.altervista.org/ e sul blog http://www.sinistraeliberta.blogspot.com/ .
Di seguito, viene riportato l'articolo del prof. Paolo Pani, pubblicato il 31 dicembre 2006 sul quotidiano "L'Altra Voce" ( www.altravoce.net )

Il Partito democratico, via obbligata per un Governo lasciato solo dai partiti
di Paolo Pani,docente universitario

Il Partito democratico: è necessario, ma non è impresa facile. Sono molti i sospetti, le rendite di posizione, le turbolenze, i residui ideologici, le burocrazie di partito. In un auspicabile bipolarismo, sembrerebbe che la Casa della libertà si sia già posizionata, a destra, senza perplessità, mentre il Partito democratico è ancora in corso d'opera.
È la tendenza dei Paesi occidentali, due schieramenti, uno a Destra, uno a Sinistra, anche se con frange residue in ambedue. Bisogna, tuttavia, intendersi sui significati di Destra e Sinistra. È stato detto e ripetuto: la caduta del muro di Berlino, nel 1989, ha rappresentato anche la fine delle cortine ideologiche. Quell'eredità è stata raccolta dai due schieramenti, ma oltre le vecchie e rigide categorie ideologiche.
La Destra si è posizionata sulle forme capitalistiche di neoliberismo economico, d'intransigenza sociale e di un cristianesimo d'esclusione, interpreta la ricchezza come bene individuale, non ritiene necessaria un ridistribuzione sociale della ricchezza, esclude gli antichi motivi di liberalismo politico e sociale. In Italia ha scelto come suo leader Silvio Berlusconi, mentre permangono, preoccupanti, le nostalgiche eredità di Alleanza nazionale, mai sopite, seppure tra tentativi di aggiornamento modernistico (democraticistico).
Sono questi alcuni degli argomenti-spartiacque fra Destra e Sinistra, almeno in Italia.
Il Partito democratico non ha una leadership certa. Quali i motivi dei ritardi? La Sinistra, nominalmente, genera ancora i sospetti della sua vecchia connotazione ideologica. Da una parte, essa è spesso richiamata per riaffermare una supposta egemonia politica di vecchia tradizione comunista, di rigida e superba ideologia e delle forme di Partito, mentre, da un'altra parte, è il tentativo di rifarsi ad una passata centralità democristiana, spesso definita dai suoi opportunistici compromessi.
Questi riferimenti vengono, seppur in forme diverse, dalle segreterie dei maggiori Partiti di riferimento, la Quercia e la Margherita. Il Partito democratico azzererebbe quelle segreterie, le loro burocrazie e le rendite di posizione dei suoi officianti. Sono forse queste le maggiori difficoltà per il Partito democratico.
Quelle stesse segreterie entrano, però, in palese contraddizione con la stessa democrazia da loro tanto evocata. Le primarie, infatti, hanno sancito in modo inequivocabile Romano Prodi come capo della coalizione. In quel momento sarebbe dovuto nascere il Partito democratico, nel modo trasparente di una democrazia elettorale. È successo il contrario: tutti a casa, a difesa dei propri orticelli, dei frammenti politici, e non sono solo Bertinotti, Diliberto, Pecorario Scanio, Di Pietro, Boselli.
Le primarie sono state dimenticate: è grave che lo siano anche a livello di Governo e dei suoi ministeri, dove ognuno cerca di curare il proprio particolare, quasi disinteressandosi del Governo. È politicamente corretto solamente quanto è prodotto dalla propria parte politica, mentre il resto è opinabile, oggetto di critica, dentro e fuori del Governo. Può essere detto, in modo trasparente: è masochismo politico.
Attorno a Prodi sono rimasti i dicasteri economici - Padoa Schioppa, Visco, Bersani - e, al Senato, l'Ulivo di Anna Finocchiaro. In termini pratici gli oneri del Governo e del Parlamento, senza onori. Le liberalizzazioni delle professioni, un atto dovuto per la modernizzazione, e la Finanziaria 2007 sono state molto impopolari. Le ragioni? Le difficoltà del Governo a mantenere una propria coerenza interna dietro le ripetute richieste di revisione e di correzione legislativa da parte delle diverse parti politiche, ma non solo.
In buona sostanza è stata decisiva l'assenza dei Partiti che avrebbero dovuto sostenere il Governo, necessario tramite fra Governo e Parlamento, fra Parlamento e società (le parti sociali). Avrebbero dovuto spiegare all'opinione pubblica le azioni di Governo. Questo non è successo. È mancata, in modo palese, una cassa politica di risonanza. Questo ha consentito all'opposizione la facile opportunità di dare fiato alle proprie trombe ed ai suoi tromboni.Il calo dei consensi per il Centro-sinistra dovrebbe vaccinare i suoi officianti, nei modi di Montanelli, metterli in allarme. Il Partito democratico è l'urgenza, ma a sostegno del suo leader, Romano Prodi, e delle sue azioni di Governo. È illusione ritenere che un recupero possa avvenire solo in seguito a concrete azioni politiche, nelle fasi successive del Governo