giovedì, aprile 19, 2007


NOI NON CI SAREMO


Mentre scrivo queste righe, Piero Fassino ha appena concluso, sull’onda delle note di Ivano Fossati e di Rino Gaetano, la sua relazione introduttiva del Quarto Congresso Nazionale dei DS, al termine del quale l’assemblea dei delegati conferirà al Segretario il potere di attivare le procedure dirette a far confluire la principale realtà della sinistra italiana nel nascente Partito Democratico.
A questa operazione di eutanasia politica non parteciperà la consistente minoranza interna facente capo a Fabio Mussi, i cui esponenti, dichiaratisi contrari al progetto del PD, hanno coerentemente deciso di non partecipare alla fase costituente del nuovo soggetto politico per dedicarsi alla costruzione di “qualcosa di nuovo a sinistra”.
Tuttavia, al cospetto del Caimano in persona, si è consumato l’ultimo atto di una fase congressuale fin troppo scontata nella sua drammaticità: nel giro di pochi mesi, quel partito che, nel bene e nel male, ha segnato gli ultimi ottantasei anni della storia repubblicana cesserà di esistere. Il messaggio che arriva dal Mandela Forum è in questo senso inequivocabile: una storia volge al termine, la nostra storia volge al termine.
L’intero secolo breve è stato, per il nostro Paese, caratterizzato dal continuo susseguirsi di battaglie ideologiche e tensioni sociali, gradualmente alimentate dal continuo imperversare di politici corrotti, finanzieri senza scrupoli, terroristi mercenari e prelati troppo sensibili alle effimere tentazioni del potere. All’azione di questo manipolo di oscuri demoni della politica, una molteplicità di più o meno noti angeli della democrazia ha tentato di contrapporre la forza delle idee e di valori come l’onestà, il lavoro, la passione civile, al fine di salvaguardare l’integrità delle istituzioni ed il sereno svolgimento della dialettica democratica.
Il PCI, pur con tutte le sue contraddizioni ed i suoi buchi neri derivanti in massima parte dalla rigidità strutturale figlia della concezione togliattiana del partito padre-padrone, ha saputo attraversare questa interminabile stagione di conflitti e tensioni, ponendosi, nei tanti momenti bui che hanno contraddistinto il ‘900 (dalla lotta partigiana alle battaglie sindacali; dalle campagne per i diritti civili all’azione anti-terrorismo; dalle iniziative a protezione dei diritti dei lavoratori all’opposizione in confronto del sistema corruttivo imposto dal CAF), come un fattore di stabilizzazione e di garanzia del nostro sistema politico.
Lo sguardo intenso del giovane Gramsci, il sorriso malinconico di Berlinguer, la commovente vicenda dei fratelli Cervi emergono in questa fase come fotografie istantanee in grado di rappresentare in modo reale ed obiettivo i momenti centrali di una storia. La storia di un partito in marcia verso la socialdemocrazia; la storia di una generazione lacerata dalle troppe contraddizioni del tempo in cui ha vissuto, ma capace di abbracciare un sistema di valori e di entusiasmarsi nell’esternare le idee in cui credeva attraverso gli slogan urlati nei cortei.
Ora che questa lunghissima fase di transizione è terminata, che l’approdo ai principi del socialismo europeo si è felicemente perfezionato, questa storia, la nostra storia non può finire così, obliterata in un indefinibile contenitore made in Usa per mano di quegli stessi dirigenti che, dopo aver condotto il partito al minimo storico, hanno rischiato clamorosamente di perdere un’elezione già vinta.
Mentre Fassino abbandona il palco del Mandela Forum, accompagnato dalle ultime note della canzone di Rino Gaetano e dal sorriso inespressivo del Cavaliere taroccato (ancora una volta legittimato come l’interlocutore più credibile dei nuovi riformisti di governo), una consistente parte dei militanti diessini prende definitivamente consapevolezza del fatto che esiste un’ampia fetta di elettorato progressista la quale, non riconoscendosi nel progetto del PD, cerca a sinistra “qualcosa di nuovo” in cui riconoscersi ed a cui accordare a propria fiducia.
Questa aspettativa non può essere disattesa: la nostra storia non è ancora giunta all’ultima pagina. Così ragionando, gli aderenti a quella sinistra che ancora preferisce i brani di Guccini alle più leggere melodie di Rino Gaetano non potranno non riconoscersi nella conclusione a cui Fabio Mussi desumibilmente perverrà nel suo intervento programmato per la serata di domani: nel Partito Democratico, noi non ci saremo.
Carlo Dore jr.