domenica, giugno 22, 2008


LA “VOCE DEL PRINCIPE” E LA CULTURA DELLA LEGITTIMITA’


L’ennesimo attacco scagliato da Berlusconi all’indirizzo delle “toghe politicizzate che tentano di sovvertire per via giudiziaria l’intangibile volontà popolare” ha paralizzato sul nascere quelle prospettive di dialogo tra magistratura e potere politico delineate dal Guardasigilli Alfano in occasione del suo intervento all’assemblea dell’ANM.
Tuttavia – lasciando per un attimo da parte le valutazioni di merito in ordine alla consueta raffica di invettive sui PM militanti, di minacce di rivelazioni clamorose e di giuramenti sulla testa dei cinque figli che tradizionalmente caratterizza le esibizioni verbali offerte dal Caimano alla sempre più incredula platea dei cronisti afferenti alle principali testate straniere – è sufficiente procedere all’esame del contenuto del nuovo pacchetto di misure ad personam all’esame del Parlamento per trovare un’ulteriore conferma del fatto che, nella concezione berlusconiana della dialettica democratica, la “voce del Principe” non può lasciare nessuno spazio alla cultura della legittimità.
Come è noto, a seguito dell’emanazione da parte dell’Esecutivo di un decreto-legge contenente una serie di misure urgenti in tema di sicurezza pubblica, il Senato - eseguendo direttamente le indicazioni impartite dallo stesso Premier attraverso l’ormai famosa lettera al Presidente Schiffani – ha approvato in sede di conversione un emendamento attraverso cui viene disposta la sospensione per un anno di tutti i processi, non ancora definiti in primo grado, che riguardano reati (come la corruzione, la violenza privata o l’associazione per delinquere) clamorosamente classificati “non socialmente allarmanti”.
Stando a quanto dichiarato da tutti gli esponenti della maggioranza di Governo, l’approvazione di siffatto emendamento prelude alla riproposizione del c.d. Lodo Maccanico - Schiffani (già annullato dalla Consulta nel 2004 in quanto contrastante con gli articoli 3 e 111 della Costituzione) attraverso cui si introduce una forma di immunità che assicura alle più alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica; Presidente del Consiglio; Presidenti delle Camere) la sospensione dei procedimenti penali in atto nei loro confronti per un periodo di tempo pari alla durata del loro mandato.
Risultando questo complesso impianto di ingegneria giuridica ovviamente perfetto per assicurare a Berlusconi l’immediata paralisi dei procedimenti nei quali egli è indagato o addirittura imputato (procedimenti in certi casi destinati ad essere comunque posti nel nulla grazie ai nuovi divieti di utilizzazione delle prove acquisite attraverso intercettazioni telefoniche), alcuni tra i più eminenti giuristi italiani non hanno esitato a rilevare come un simile disegno normativo appare caratterizzato molteplici di profili di illegittimità costituzionale.
Premesso infatti che l’approvazione del Lodo Schiffani determinerebbe l’introduzione nel nostro sistema costituzionale di una forma di immunità di gran lunga più stringente di quella prevista dall’ordinamento francese (laddove la sospensione dell’azione penale per il periodo di permanenza in carica è prevista solamente a favore del Presidente della Repubblica e non anche del Primo Ministro), l’emendamento “blocca-processi” non solo evidentemente contravviene a quanto stabilito dall’art. 111 Cost. che del processo assicura la ragionevole durata, ma si pone peraltro in netto contrasto con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 della Carta Fondamentale. Attraverso la norma appena richiamata, il Costituente da un lato sottrae al Pubblico Ministero ogni libera valutazione in ordine ai delitti da perseguire, ma d’altro lato sembra escludere che possa essere il legislatore ad indicare i delitti da perseguire prioritariamente, attraverso l’introduzione di una sorta di corsia preferenziale utile a distinguere i reati “di serie A” da quelli “di serie B”.
Inoltre, come correttamente ha osservato il costituzionalista Michele Ainis, se è vero che il Parlamento, in sede di conversione dei decreti governativi, può introdurre nella medesima legge di conversione delle disposizioni nuove rispetto a quelle contenute del decreto originario, esistono molti dubbi sulla possibilità di inserire nella legge in questione previsioni che non presentano alcun punto di contatto con la materia su cui verteva il decreto convertito.
Tutto ciò chiarito, spetterà al Presidente della Repubblica e soprattutto alla Corte Costituzionale il compito di rilevare e sanzionare le violazioni della Carta conseguenti all’approvazione delle misure appena richiamate. Tuttavia, nemmeno l’intervento della Consulta, per forza di cose successivo all’entrata in vigore delle norme indubbiate, potrà impedire che siffatte disposizioni producano il loro devastante effetto sul sistema della giustizia penale, imponendo che su numerosi processi prossimi alla definizione del giudizio di primo grado cali inesorabile la scure della prescrizione. Ma questa eventualità non è stata evidentemente presa in considerazione dai sostenitori del Caimano, una volta riconquistato il loro posto nei palazzi del potere: di fronte alla necessità di assecondare la voce del Principe, gli integralisti del berlusconismo non possono che sacrificare la cultura della legittimità.

Carlo Dore jr.

domenica, giugno 15, 2008


La duplice opposizione e la “Rana delle Favole”


Prendendo atto del rinnovato clima di confronto costruttivo e legittimazione reciproca creatosi tra le forze politiche di maggioranza e opposizione all’indomani delle elezioni del 14 aprile, i tanti elettori che – soprattutto in applicazione della c.d. “teoria del voto utile”a fermare comunque le destre – avevano accordato il loro consenso al PD non riuscivano a mascherare una sottile, fastidiosa sensazione di disagio.
Possibile –si sono più volte domandati gli irriducibili sostenitori dello sgangherato schieramento dei progressisti italiani – che i dirigenti del centro-sinistra, preposti in quanto tali a rappresentare quella parte di società civile da sempre schierata a protezione dell’autonomia della Magistratura e del corretto funzionamento delle Istituzioni democratiche, possano individuare in Berlusconi e nella sua corte di nani e ballerine il naturale interlocutore per il dialogo sulle riforme? Possibile che la nefasta esperienza della Bicamerale – D’Alema venga alla lunga derubricata come un insignificante errore di strategia? Possibile che il Caimano si sia di colpo trasformato in un illuminato premier liberale, presentandosi come una moderna versione di quelle rane delle favole capaci di assumere i connotati di meravigliose principesse dagli occhi azzurri grazie ad un semplice tocco di bacchetta magica? Fortunatamente, esiste un’ampia fetta di popolo della sinistra la quale, avendo rinunciato da tempo ad ogni possibile astrazione dalla fredda realtà contingente, ha ormai raggiunto la piena consapevolezza del fatto che, se è difficile che Veltroni si trasformi in Obama, è praticamente impossibile che Berlusconi si cali nel ruolo della simpatica rana delle favole.
E così, mentre i maggiorenti del PD risultavano impegnati nello stucchevole gioco del governo-ombra, quella sottile inquietudine che fino a ieri pervadeva i militanti dell’area democratica non poteva che lasciare il posto ad un naturalissimo sconcerto dinanzi alle anticipazioni giornalistiche relative ai primi provvedimenti che l’Esecutivo intende assumere in materia di intercettazioni e sicurezza.
Le conseguenze che potranno infatti derivare dall’approvazione di misure dirette a limitare l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche ai reati punibili con pena superiore ai dieci anni di reclusione e ad attribuire all’esercito mansioni inerenti all’ordine pubblico appaiono facilmente prevedibili. La presenza dei “pattuglioni” di militari per le strade di Roma (triste riedizione delle parate che avevano luogo nei viali di Santiago all’inizio degli anni ’70) farà da contraltare al totale svilimento delle funzioni della magistratura requirente, nel quadro di un progetto di politica criminale in cui le tanto invocate misure di protezione della sicurezza dei cittadini sono destinate ad esaurirsi nella semplice repressione di alcune situazioni collegate al dramma dell’immigrazione clandestina e nella corrispondente impossibilità di perseguire reati pur contraddistinti da un altissimo livello di pericolosità sociale come la corruzione, la truffa, la rapina o i delitti associativi non connessi al fenomeno mafioso.
Considerato inoltre che l’approvazione di una disposizione transitoria volta ad impedire l’utilizzo, nei procedimenti in corso, del materiale probatorio acquisito attraverso intercettazioni non compatibili con le nuove norme implicherebbe la brutale cancellazione di anni e anni di lavoro di indagine (oltre a garantire la sostanziale impunità al solito manipolo di indagati eccellenti), la previsione di sanzioni penali a carico dei giornalisti che rendono pubblico il contenuto di ogni forma di intercettazione non può che essere interpretata come una statuizione diretta non tanto a garantire la privacy del comune cittadino – le cui conversazioni non sono mai oggetto di interesse da parte dei mass media –, ma ad impedire di fatto la diffusione nell’opinione pubblica di notizie non compatibili con i messaggi che quotidianamente promanano dai centri di potere. In altre parole: al di là dei riferimenti al confronto ed alla legittimazione reciproca, al di là delle esortazioni a considerare conclusa la stagione dell’odio, il Caimano è sempre il Caimano, e non ha ancora smesso di mostrare la sua faccia feroce.
Di fronte ad un simile status quo, all’indignazione che trapela dalle reazioni dell’Associazione Nazionale Magistrati e della Federazione Nazionale della Stampa ed alla mancanza di determinazione che caratterizza le dichiarazioni dei vari esponenti del governo-ombra, il popolo progressista è atteso da cinque lunghissimi anni di duplice opposizione: opposizione al rigido modello di Stato azienda teorizzato da Berlusconi, sempre più incline a togliere rilevo ogni corrente di pensiero contrastante con la voce del Principe; opposizione ai fautori del ma-anchismo e della politica deideologizzata, presupposto indispensabile per la creazione di un centro-sinistra dotato di un gruppo dirigente finalmente capace di assecondare quel bisogno di giustizia e di legalità che emergeva tanto dalle manifestazioni del Palavobis quanto dalle iniziative dei ragazzi di Locri. E questa duplice fase di opposizione non può che prendere le mosse dall’accettazione di quella difficile realtà a cui si è in precedenza fatto cenno: se da un lato è vero che Veltroni è privo del substrato ideologico e della base di consenso che sta spingendo la corsa di Obama verso la Casa Bianca, è d’altro lato innegabile che sia l’esperienza della Bicamerale –D’Alema sia i primi provvedimenti del “Berlusconi quater” confermano come non sia possibile trovare Rane delle Favole nei giardini di Villa Certosa.

Carlo Dore jr.