lunedì, febbraio 23, 2009


QUANDO NON BASTA IL LEADER FORTE

La bruciante sconfitta subita da Renato Soru in occasione delle elezioni regionali in Sardegna e le conseguenti dimissioni di Veltroni dalla carica di segretario nazionale del PD impongono una approfondita riflessione sulle cause di questa ennesima debacle riportata dall’area democratica e sulle prospettive che attendono il centro-sinistra tanto a livello locale quanto a livello nazionale.
Le analisi del voto finora proposte all’opinione pubblica risultano infatti caratterizzate, in massima parte, da quella sottile vena di radicalismo che ha trasformato la campagna elettorale appena conclusa in una sorta di grottesca “corsa a perdere” tra soriani ed anti-soriani, tra democratici autentici e ciechi sostenitori di un Principe poco illuminato, tra riformisti moderni e sodali dei vecchi “castosauri” della politica.
Se infatti gli eterni avversari di Mr. Tiscali interpretano la vittoria di Cappellacci esclusivamente come un fallimento di Soru (è Soru che ha impostato la campagna elettorale e che ha deciso le candidature; è Soru che ha sottovalutato la questione democratica rimanendo soffocato dal suo stesso autoritarismo; è Soru che ha male interpretato l’impatto assunto da determinate riforme sull’elettorato), i sostenitori dell’ex Presidente rilevano come, dati alla mano, la sconfitta del 15 febbraio deve essere intesa più come una conseguenza dell’emorragia di consensi a cui sono andati incontro i vari partiti della coalizione che come il risultato degli errori tattici del candidato Governatore.
In verità, come sopra accennato, entrambi questi punti di vista risultano condizionati da una certa parzialità: è infatti indubbio che, staccato di quasi dieci punti da un avversario non irresistibile – per quanto palesemente supportato dal colossale circo mediatico su cui si basano i tour elettorali di Berlusconi - , l’attuale dominus de “l’Unità” debba farsi carico in prima persona delle responsabilità di una Waterloo elettorale che ridimensiona seriamente la sua aspirazione a proporsi come leader nazionale, nelle vesti ormai un po’ abusate di “Obama italiano”.
Tuttavia, il voto sardo non può, per due ordini di ragioni, essere letto semplicemente come un voto “contro” il Presidente: in primo luogo, perché a perdere non è stato solo il Governatore uscente. Con Soru hanno perso anche quei tanti sardi che, magari con scarso entusiasmo, hanno scelto per ragioni di coerenza politica di mobilitarsi a favore del centro-sinsitra e del suo candidato; in altri termini: io ho sostenuto Soru, quindi con lui ho perso anch’io.
In secondo luogo perché l’esito del voto in Sardegna si presta ad una diversa valutazione se esaminato nel quadro complessivo della politica nazionale: in questa prospettiva, appare evidente che Soru non è stato sconfitto a causa della propria avversione al metodo democratico, della sua incapacità di interpretare gli umori dell’elettorato, del “fuoco amico” orchestrato dai vecchi oligarchi in rivolta.
No, Soru ha pagato lo stesso errore di fondo che alla lunga ha bruciato la segreteria di Veltroni: l’illusione che un pilota di prima grandezza possa far correre una macchina senza motore; l’illusione che il carisma del “leader forte” o la legittimazione plebiscitaria di un segretario dalla faccia pulita, ben supportato dalla presenza di alcuni candidati – copertina, possa risultare sufficiente a coprire la mancanza di un progetto politico, a colmare l’assenza di un partito capace di farsi interprete delle istanze di una fetta più o meno ampia di società civile.
Ora, se si tiene presente l’attuale conformazione del PD – terra di conquista per quel manipolo di “cacicchi” della politica a cui faceva riferimento Gustavo Zagrebelsky nella bellissima intervista rilasciata a Repubblica solo pochi mesi fa - , per quanti fin dal 2007 denunciavano i rischi che stavano alla base della fusione tra DS e Margherita sarebbe oggi tanto facile quanto inutile gridare “avevamo ragione noi!”. Sarebbe facile, perché è facile fare la storia con i “se”; sarebbe inutile, perché al momento oltre il PD c’è il vuoto, e perché un PD forte è il presupposto imprescindibile per la creazione di un centro-sinistra in grado di rappresentare una alternativa credibile allo strapotere berlusconiano.
Occorre ripartire, dunque, ma da dove? In questo momento, l’unica strada percorribile appare quella tracciata dal “modello – Bersani”: basta con l’utopia del partito leggero, basta con gli “I care”, i “ma anche” ed i “si può fare”; l’America è lontana, ed ora serve un partito diverso. Serve un PD non più equidistante tra lavoro ed impresa, ma vicino al sindacato ed alle esigenze dei ceti più deboli; serve un PD mobilitato a difesa dei valori costituzionali della legalità, della democrazia e della laicità, valori oggi messi sotto attacco dalla cultura del razzismo strisciante, del monocratismo più assoluto, del fascismo in doppio petto urlata a tutta forza dai componenti delle ronde padane. Serve, in altre parole, un PD più progressista, capace di intercettare il consenso di quella sinistra diffusa, comunque ben radicata sul territorio del Paese.
Forte del consenso di più di quattrocentomila elettori, Soru, da capo dell’opposizione democratica in Sardegna, ha il diritto ed il dovere di dare il suo contributo alla creazione di questo nuovo soggetto politico, di recitare un ruolo importante in questa cruciale stagione di rinnovamento del centro-sinistra italiano. Ma attenzione: questo contributo non deve tradursi in una semplice opera di egemonizzazione, nella creazione dell’ennesimo “partito personale”. Proprio l’esperienza della campagna elettorale appena conclusa conferma come la presenza del leader forte non basta, da sola, a colmare la mancanza di un progetto politico.

Carlo Dore jr.

venerdì, febbraio 13, 2009


LETTERA APERTA AD UN ELETTORE INDECISO


Caro Elettore Indeciso,

come avrai appreso dalla lettura dei giornali, l’esito della sfida tra Soru e Cappellacci per il governo della Regione Sardegna si deciderà sul filo dell’ultimo voto. Comprenderai quindi che la differenza tra una nuova drammatica sconfitta delle forze progressiste ed una vittoria in grado di rilanciare, anche in prospettiva nazionale, le ambizioni di un centro-sinistra in crisi di identità potrebbe risiedere nella linea di condotta che sceglieranno di seguire quegli elettori che, delusi come te dall’ultima esperienza di governo, minacciano di disertare le urne o di sostenere qualche lista minore, abbracciando la logica protestataria ed un po’ qualunquista del “tanto sono tutti uguali”.
Di discorsi come questi, caro Elettore Indeciso, ne hai ascoltati tanti: hai sentito dire Soru e Berlusconi sono due facce della stessa medaglia, due incarnazioni dello stesso autoritarismo animate da un analogo conflitto di interessi; hai sentito dire che una debacle del Governatore uscente sarebbe alla lunga il male minore per la Sardegna, posto che il superamento del “sorismo” favorirebbe l’attuazione di quell’effettivo rinnovamento dell’area democratica di cui la politica isolana avverte disperatamente il bisogno.
Ora, alcuni dei sostenitori di questa linea di pensiero sono dei democratici autentici che hanno dato (ed, io spero, vorranno continuare a dare) un notevole contributo al progresso ed allo sviluppo della società sarda. Però, queste posizioni meritano quantomeno una riflessione ulteriore.
Dobbiamo infatti domandarci: si può combattere l’autoritarismo ed il conflitto di interessi contribuendo – seppure per omissione – a rafforzare la posizione di un premier che non perde mai occasione per proporre all’opinione pubblica la sua visione squisitamente monocratica del potere? Può considerarsi compatibile con la necessità di difendere la democrazia partecipata un’indicazione di voto che di fatto favorisce i subordinati di quel Presidente del Consiglio il quale, forte del controllo della maggioranza dei mass-media, non fa mistero di individuare nella decretazione d’urgenza e nella questione di fiducia gli strumenti privilegiati della sua azione di governo, in chiaro spregio del ruolo del Parlamento e della funzione propria delle Istituzioni di garanzia? Può in definitiva definirsi coerente con i valori democratici chi, pur di contrastare Soru, accetta di consegnare senza colpo ferile la Sardegna nelle mani di Berlusconi?
Lascio a te la risposta, e procedo col proporti altre due osservazioni.
E’infatti incontestabile che Soru, imponendo la rigorosa applicazione del limite dei due mandati, è riuscito a dare corso ad un principio di ricambio generazionale nella formazione delle liste delle varie forze di centro-sinistra, per la prima volta emendate dall’ingombrante presenza di quelli che il sociologo Alessandro Mongili ha recentemente definito come i “castosauri” della politica sarda. Ora ti chiedo: siamo così sicuri del fatto che la conclusione dell’esperienza di governo di Mr. Tiscali favorirà l’attuazione di quella fase di rinnovamento della sinistra isolana più volte auspicata dai sostenitori del partito del non-voto?
Secondo me, la risposta è no: lungi dal risultare funzionale ad una qualsiasi strategia di rinnovamento, la sconfitta del Governatore uscente rappresenterà viceversa il momento iniziale di una stagione di restaurazione, della restaurazione di quelle eterne oligarchie post-democristiane e post-diessine con cui l’ex Presidente si è più volte scontrato nell’ultima fase del suo mandato.
Tuttavia, mettiamo per un attimo che la strategia della sinistra antisoriana risulti ai tuoi occhi convincente, e mettiamo conto che Cappellacci riesca ad insediarsi a Villa Devoto proprio sfruttando il dissenso che quella parte dell’elettorato progressista a cui tu intendi afferire nutre verso le politiche attuate dal dominus de “L’Unità”. Bene: come farai un domani a chiedere di partecipare alla costruzione di quel nuovo centro-sinistra a cui ho fatto più volte riferimento in queste pagine, quando la tua scelta di voto è stata determinante per favorire il ritorno delle destre al governo della Regione?
Su tutti questi argomenti ti invito a riflettere. Vedi, io sono sempre stato a sinistra: in ragione delle mie idee, non posso sentirmi integralmente rappresentato da un imprenditore dai grandi mezzi economici, che risulta portatore di una concezione della politica evidentemente ispirata ai principi dell’efficentismo aziendalista. Però, il senso di responsabilità che l’instaurazione di un sistema sostanzialmente bipolare impone all’elettorato mi induce a rivolgerti questo invito: caro Indeciso, non fare del male a te stesso e alla Sardegna. Domenica e lunedì vai a votare, per Soru e per il centro-sinistra.

Carlo Dore jr.

sabato, febbraio 07, 2009


IL PREMIER CHE VORREBBE ESSERE PERON


Mentre scrivo queste righe, le polemiche nascenti dalla decisione del Governo di adottare, contro la volontà del Quirinale, un decreto legge in ordine al caso di Eluana Englaro non accennano a placarsi: nel tentativo di trovare una frase in grado di descrivere con semplicità e completezza i termini del cortocircuito che al momento inficia il corretto funzionamento del nostro sistema istituzionale, ho pensato di riprendere il titolo del bellissimo romanzo di Giovanni Maria Bellu per descrivere nel migliore dei modi la condizione di un “Premier che vorrebbe essere Peròn”.
Emergenza democratica: mai come in questo caso, appare appropriato il ricorso alla formula già utilizzata più volte per denunziare i vari tentativi, posti in essere dall’attuale maggioranza di governo, di superare l’attuale impianto costituzionale a favore di un modello di governo basato sulla figura di un Capo dell’Esecutivo concepito come “legibus solutus”. Ma oggi la situazione è diversa; oggi dobbiamo prendere atto di come, per la prima volta nella storia della Repubblica, l’emergenza democratica attraversa tre diversi livelli: quello istituzionale, quello giuridico e quello politico.
I termini dell’emergenza democratica a livello istituzionale sono stati messi in rilievo da tutti i più eminenti studiosi di diritto pubblico: premesso infatti che determinati atti governativi non assumono alcun valore senza la firma del Capo dello Stato – firma evidentemente non apponibile in calce ad un decreto - legge privo non solo dei requisiti della necessità ed urgenza previsti dall’art 77 Cost., ma anche di quei profili di generalità ed astrattezza che devono caratterizzare le norme poste dalle fonti di rango primario -, la decisione di Berlusconi di imporre al Consiglio dei Ministri l’approvazione di un decreto di cui il Colle già aveva evidenziato l’illegittimità costituzionale è chiaramente indicativa della volontà di considerare il Presidente della Repubblica alla stregua di un mero organo di ratifica delle decisioni assunte a livello governativo, di individuare nel ruolo delle istituzioni di garanzia un superfluo fattore di rallentamento per l’azione riformatrice dell’Esecutivo.
Di più: l’emergenza democratica assume anche una sua manifesta rilevanza giuridica, dato che ancora non si comprende come una legge dello Stato o un atto equiparato possa impedire l’esecuzione di una sentenza passata in giudicato prima della definitiva approvazione di tale legge, minando così una volta per sempre la credibilità della Magistratura agli occhi dei cittadini.
Infine, l’emergenza democratica non può non avere una sua rilevanza dal punto di vista strettamente politico: dopo avere indicato nella decretazione d’urgenza e nella questione di fiducia i soli strumenti di cui il Governo dispone per eludere quell’intollerabile sistema “di lacci e laccioli” che in verità caratterizza ogni democrazia parlamentare, il Presidente del Consiglio ha espresso la sua volontà di “ritornare al popolo” per riproporre una riforma organica della Carta Fondamentale, per forza di cose ispirata agli stessi criteri a cui faceva riferimento la famosa “Bozza di Lorenzago”, già sonoramente bocciata dagli elettori attraverso il referendum del giugno 2006. Il suo obiettivo è chiaro: cavalcare le divisioni interne all’area democratica e sfruttare il consenso di una parte del mondo cattolico per imporre quella sorta di iperpresidenzialismo in salsa nordista, che il Cavaliere già considerava la necessaria rampa di lancio per avviare la sua personale ascesa verso il Quirinale.
Ma se queste considerazioni sono esatte, l’emergenza democratica può assumere anche un diverso valore: può costituire l’estremo appello all’unità che il Paese rivolge ad un centro-sinistra indebolito e lacerato dalle mille dispute tra laici e credenti, riformisti e radicali, veltroniani e dalemiani, soriani ed antisoriani. In assenza di un partito capace di opporre una strategia convincente allo strapotere del Cavaliere, è infatti necessario che siano i cittadini a mobilitarsi a difesa della legalità costituzionale, contro la deriva autoritaria imposta al Paese da un Premier che vorrebbe essere Peròn.

Carlo Dore jr.