lunedì, marzo 22, 2010


IL CAIMANO HA PAURA, ATTENTI AL CAIMANO!


Nella magica luce di un tramonto romano, il vecchio Caimano, per la prima volta, ha iniziato a sentirsi solo. Ha osservato a lungo la grande piazza piena di banchetti e gazebo, ha studiato ancora una volta la struttura del grande palco più adatto ad un ritrovo di rock star che ad un semplice comizio politico, ha seguito passo dopo passo l’incedere dei tre cortei che confluivano verso San Giovanni. Quindi, quella domanda stizzita “Ma quanti sono?”La fiesta è cominciata, con tamburelli e tromboni: risuonano alte le note della colonna sonora di Guerre Stellari, con La Russa in formato Skywalker e Brunetta perfettamente a suo agio nei panni del piccolo capo della setta Jedi. Ci sono Cicchitto e Gasparri, la Carfagna e la Gelmini; mancano i finiani? No, ecco Ronchi a rappresentare l’ala irredentista del PDL. Ci sono tutti, nessuno ha disertato l’appello. Verdini tuona dal microfono: “siamo più di un milione”; al Caimano si incrina il sorriso di cartapesta: “Un milione? Ma dove?”Un’altra occhiata alla Piazza: non è piena come nel 2006, quando il jngle “Meno male che Silvio c’è!” spopolava tra gelatai e casalinghe da copertina, quando il mantra dei magistrati politicizzati scaldava cuore e fegato dell’elettorato post-fascista, quando il mito del “Governo del Fare” trovava nell’efficientismo decisionista di Bertolaso la sua più alta rappresentazione.La Piazza non è piena come nel 2006, Verdini ha toppato di nuovo: stavolta, bisogna fare i conti con il malessere crescente di un Paese al collasso, stanco di sentirsi ripetere che “la crisi non esiste”; con il mito del Governo del Fare che affonda nel magma gelatinoso degli scandali e delle veline, delle liste non presentate e dei decreti-truffa, della corruzione e delle intercettazioni; con una opposizione che recupera fiducia e consensi grazie alle scelte di un leader finalmente capace di parlare delle vere emergenze nazionali, senza fare concessioni alla logica del “ma anche”.La Piazza non è piena, l’incubo dell’astensione di massa è sempre più minaccioso: il Caimano sente, lontano lontano, il fastidioso odore della sconfitta, ed inizia ad avere paura. Poi, mentre La Russa non ha ancora esaurito le presentazioni, prende il microfono e parte all’attacco con la grinta dei giorni migliori: contro i giudici comunisti, i giornalisti faziosi, l’opposizione che genera pessimismo, le Questure che rifiutano di confermare i numeri di Verdini.Quando infine i tredici potenziali Governatori in quota PDL sono costretti a salire al centro del palco per sottoporsi ad un giuramento degno della cerimonia inaugurale di un campo delle Giovani Marmotte, tutti gli osservatori imparziali non riescono a trattenere un moto di stupore: l’epopea del Grande Comunicatore sta per concludersi come un filmaccio di quart’ordine; questo è il crepuscolo del Caimano, il crepuscolo di un uomo solo con la sua paura.Ma se la paura davvero è la via che conduce al lato oscuro, allora attenti a sottovalutare la paura del Caimano. La colonna sonora di Guerre Stellari potrebbe infatti essere il preludio più adatto per un ultimo, disperato, violentissimo attacco dei cloni, basato su una riforma della giustizia volta a sottoporre la magistratura requirente al giogo dell’Esecutivo, e su una revisione della Costituzione diretta ad attuare quel presidenzialismo forte che consentirebbe al Premier investito dal consenso popolare di governare senza la fastidiosa intermediazione del Parlamento e delle altre Istituzioni di garanzia.Per questo, indipendentemente dall’esito delle prossime elezioni amministrative, è necessario che la mobilitazione dell’area democratica mantenga il livello di rigore e di incisività osservato negli ultimi venti giorni: perché il Caimano impaurito difficilmente rinuncerà all’ultimo colpo di coda, all’ultimo passaggio della deriva cesarista che più volte ha rischiato di trasformare l’Italia in una democrazia minore.Il Caimano adesso ha paura: ora come non mai, bisogna avere paura del Caimano.


Carlo Dore jr.

domenica, marzo 07, 2010


PICCOLA STORIA IGNOBILE

"Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare: così solita e banale come tante. Che non merita nemmeno due colonne su un giornale, o una musica, o parole un po' rimate: che non merita nemmeno l'attenzione della gente, tante cose più importanti hanno da fare..."
Le parole di Francesco Guccini, provenienti dal lontano 1976, introducono il racconto di questa ennesima piccola storia ignobile dell'Italietta berlusconiana, solita e banale come tutte le altre vicende a cui siamo stati costretti ad assistere in questi anni, ora manifestando sconcerto, ora rassegnazione, ora speranza, ora un disperato desiderio di reazione.
E' la storia di una lista presentata, ritirata, e poi ripresentata fuori tempo massimo, quando l'ufficio elettorale aveva già chiuso i battenti. E' la storia di una candidata sull'orlo di una crisi di nervi che apostrofa con un inequivocabile “manica di imbecilli” gli autori del colossale papocchione; di firme non riscontrate e di timbri non visibili; di una piazza gremita di neo-fascisti urlanti che scandiscono ossessivamente lo slogan “boia chi molla!” sotto la pioggia gelida da cui sono sferzati i tetti di Roma.
L'epilogo di questa storia dovrebbe essere scontato: ci si aspetta che le liste irregolari risultino escluse dalla competizione elettorale; che il leader del partito estromesso dalle elezioni pretenda la testa dei dirigenti dimostratisi incapaci di assolvere al loro compito se non con efficienza, quantomeno con dignità; che i responsabili dell'autogol vengano identificati ed esposti alla reazione degli elettori inferociti.
Tuttavia, questo lineare percorso logico collide con la strana realtà di fatto che al momento caratterizza un Paese alla deriva: le liste indubbiate non sono liste qualsiasi, sono le liste del Partito del Capo, di un partito che da anni declina una concezione della politica in forza della quale la cultura delle regole, il rispetto degli equilibri tra le Istituzioni, l'autonomia dei garanti sono costantemente sopraffatte dal risuonare della voce del Princeps, sempre amplificata dall'immancabile coro a bocca chiusa condotto da giornalisti asserviti, solerti scherani, intellettuali fasulli, sottoposti più o meno ambiziosi. Le regole si cambiano, la Costituzione si aggira, le garanzie si sabotano, le Istituzioni si attaccano: conta solo la voce del Princeps, conta solo ciò che lui impone o vieta.
E così, al termine dell'ultima delle tante notti dai lunghi coltelli che hanno scandito l'evoluzione della Seconda Repubblica, ecco che il Princeps promette e minaccia, programma e smentisce, e alla fine vede e provvede: arriva il decreto che sana le irregolarità, che cancella i ritardi e le omissioni, che consente a dirigenti e candidati di tirare il classico sospiro di sollievo, che restituisce il fiato ai neofascisti congelati dall'incessante pioggia romana. Il tutto, come da copione, in ragione della suprema necessità di tutelare il supremo diritto (invero, mai messo in discussione) dei cittadini di esprimere correttamente il loro voto.
Ora, mentre quest'ultima piccola storia ignobile trova rapidamente il suo epilogo, mentre il popolo viola invade le piazze e mentre l'opposizione si prepara all'ennesima battaglia democratica, non è forse più il caso di evidenziare ancora una volta i molteplici profili di illegittimità che contraddistinguono un provvedimento volto semplicemente a realizzare l'ennesimo abuso di potere. Per quanti individuano nella Costituzione il substrato fondamentale del proprio pensiero politico, rimane spazio solo per un ultimo, disperato grido di indignazione: di quella indignazione sottile e fastidiosamente abituale accumulata in occasione della vicenda di Eluana Englaro e dell'approvazione del Lodo Alfano, dello scandalo della Protezione Civile e della Vallettopoli del potere.
E' l'indignazione di chi fatica a riconoscersi in un Paese ormai privato dei tradizionali punti di riferimento che governano la normale convivenza democratica, dove – volendo riproporre le parole di Gustavo Zagrebelsky – “le Leggi con la maiuscola” sono state “piegate a interessi partigiani perché chi dispone della forza dei numeri ritiene di poter piegare a fini propri anche il più pubblico degli atti”.E' l'indignazione di chi proprio non si rassegna a dover fungere da silente comparsa in una delle solite, banali, piccole storie ignobili che il risuonare della voce del Principe quotidianamente impone agli assuefatti reduci di questa povera, triste Italietta berlusconiana.

Carlo Dore jr.