venerdì, agosto 06, 2010



"C’E’ VITA NEL PD?" IL PAESE LEGALE E L’ASSE ARCORE-PONTIDA

“C’è vita nel PD?”, si sono chiesti Marco Travaglio e Antonio Padellaro in due interessanti editoriali recentemente pubblicati su “Il Fatto Quotidiano”; “C’è vita nel PD?”, si sono chiesti i simpatizzanti dell’area democratica che hanno assistito sgomenti ed indignati alla diretta televisiva del dibattito sulla mozione di sfiducia presentata nei confronti del sottosegretario Caliendo.

Mentre Franceschini completava il suo bell’intervento – in cui, per una volta, la sincera esasperazione dell’opposizione progressista prevaleva sui discutibili tatticismi dettati dalle varie esigenze di real politik - la maggioranza affogava rapidamente in un folle vortice di prese di distanza e genuflessioni, crisi di coscienza e botte da stadio, conversioni e astensioni, occhiate assassine e saluti romani. L’espressione terrea del Cavaliere disperdeva rapidamente le ultime gocce di fiele distillate dalle parole di Cicchitto: la favola è finita, la maschera è caduta. Berlusconi appare agli italiani per quello che è: un vecchio caudillo del tutto indifferente al triste destino che attende un Paese allo sbando.

Dinanzi ad un simile status quo, l’atteggiamento del centro-sinistra dovrebbe essere ispirato da un unico slogan: il Governo ha fallito, si proceda con le elezioni anticipate così da aprire agli uomini di Bersani le porte di Palazzo Chigi. Invece, nelle dichiarazioni dei principali leader democratici, ecco prendere corpo l’ipotesi di un governo tecnico o di transizione, di un “Esecutivo di responsabilità” capace di fronteggiare l’emergenza. Le argomentazioni individuate a fondamento della posizione appena espressa sono apparentemente inattaccabili: la particolare congiuntura economica non può essere affrontata da un Governo non nel pieno delle sue funzioni; inoltre, la riforma della legge elettorale costituisce il presupposto indispensabile per impedire che i perversi meccanismi del “porcellum” conducano ad una sostanziale distorsione della volontà degli elettori.

Ma, numeri alla mano, Bersani sembra avere compreso che un eventuale voto autunnale finirebbe col premiare ancora una volta l’asse Arcore – Pontida, istituzionalizzando una volta per sempre quella perfetta combinazione tra arroganza impunitaria, egocratismo esasperato, moderna xenofobia e pulsioni separatiste mediante cui il Cavaliere ha, giorno dopo giorno, trascinato il Paese verso le secche di una democrazia minore. E allora il problema è: perché il PD non è riuscito ad intercettare il malcontento che obiettivamente pervade gran parte della società italiana, avvelenata dalle tante promesse non mantenute e lacerata dalle troppe ragioni di disuguaglianza imposte dal preteso Governo del Fare? C’è ancora vita nel PD, la vita necessaria per proporre agli elettori un modello alternativo a quello sintetizzato nel mantra del “ghe pensi mì”?

A fronte di un lodevole impegno su alcuni specifici temi di politica economica, il Partito Democratico continua a pagare la scelta di rimettere nelle mani di Di Pietro e dello stesso Fini il monopolio esclusivo di quelle materie che da sempre costituiscono il “terreno di caccia” del Cavaliere: la lotta al conflitto di interessi (argomento ormai pericolosamente caduto in desuetudine); la difesa dei valori della legalità e dell’indipendenza della Magistratura contro gli attacchi sferrata da parte del potere politico; la costante affermazione dell’attualità della questione morale e la declinazione di una concezione rigorosamente “etica” della politica.

La decisione di favorire l’ascesa del centrista Michele Vietti alla vicepresidenza del CSM - e la correlativa rinuncia ad imporre alle altre forze di opposizione la candidatura di personalità del calibro di Valerio Onida, Gustavo Zagrebelsky, Francesco Saverio Borrelli o Franco Cordero – è in questo senso indicativa delle difficoltà incontrate dal principale partito del centro-sinistra italiano nel rimarcare la contrapposizione in essere tra il Paese legale ed il Paese illegale, tra il Paese della trasparenza ed il Paese delle cricche e dei comitati di affari, tra il Paese della Costituzione ed il Paese dell’Uomo solo al Comando.

Ma allora: c’è ancora vita nel PD? Forse, e in ogni caso bisogna credere che ce ne sia: se – abbandonando una volta per sempre pulsioni nuoviste e sterili riferimenti al moderatismo - il PD saprà mobilitare tutto l’elettorato progressista attorno a quei valori di eguaglianza, etica pubblica e giustizia sociale che da sempre costituiscono il DNA della sinistra italiana, allora l’alternativa al berlusconismo non apparirà più come una vaga chimera. C’è ancora vita nel PD: è la vita del Paese legale che vuole prevalere sulle grida di guerra, sui saluti romani, sugli atti di fede e sulle trame oscure proliferate sotto l’asse Arcore – Pontida.

Carlo Dore jr.