martedì, dicembre 14, 2010

L’ESTASI DEL PREDONE


Il finale di quello che alcuni commentatori hanno descritto come “il giorno più lungo dell’era berlusconiana” sembra davvero ispirata alla scena conclusiva de “Il Caimano” di Nanni Moretti: il Cavaliere si concede all’applauso della sua variegata platea di ministre, coordinatori, pontieri e cortigiani di vario ordine e grado; il suo governo è salvo grazie al ribaltone praticato da tre ex oppositori reclutati in tutta fretta attraverso pratiche di mala politica di cui spetta alla Magistratura verificare la legalità. Intanto, fuori da Montecitorio, Roma è messa a ferro e fuoco da una moltitudine di contestatori inferociti: siamo alla sintesi perfetta, Berlusconi regna su un Paese in fiamme. Siamo alla sintesi perfetta: La Russa ride e Pompei crolla; Letta ragiona e L’Aquila è sommersa dalle macerie; la Mussolini si agita e Napoli affoga nei rifiuti. Arrivano Razzi, Calearo e Scilipoliti: il Governo è salvo, dove non arriva la fedeltà al Capo arrivano le mediazioni di Denis il banchiere e la forza persuasiva di Silvio il tycoon che idolatra Putin ed imita Gheddafi. Razzi e Calearo, Scipoliti e le colombe finiane: è l’estasi del berlusconismo, l’estasi del premier che Giuseppe D’Avanzo ha efficacemente definito “Il Predone”.

Ma ora che l’aula è vuota e che la battaglia è finita, ora che le grida dei vincitori si perdono nel buio di questa ennesima Notte della Repubblica, cosa resta di questa folle giostra di incontri e scontri, vertici e caminetti, dichiarazioni e smentite, conversioni e riconversioni che da mesi alimenta il sempre più derelitto circuito della politica italiana? Resta un Governo appeso all’esile filo del consenso di tre acrobati dei banchi parlamentari, contorti nel linguaggio e spudorati nella ricerca di prestigio e potere. Resta un Presidente del Consiglio in crisi di consensi e di credibilità, in fuga dagli anni che passano e dai processi che incombono, disperatamente abbarbicato alla sua immagine di self made man ed allo scudo del legittimo impedimento. Resta un Paese pericolosamente anestetizzato nella sua capacità di indignarsi, in cui opportunismo, trasformismo, corruzione e meretricio vengono proposti agli occhi dell’opinione pubblica come le normali componenti di quella falsa realtà che trasuda ogni giorno dagli editoriali di Minzolini come dalle interviste di Straquadanio.

Resta soprattutto quel “Vergogna! Vergogna! Vergogna!” sparato a pieni polmoni da Bersani sulla folla riunita in Piazza San Giovanni, meravigliosa zattera di democrazia sulla quale si appuntano le residue speranze di quanti ancora progettano giorni migliori per questa Italia alla deriva. “Vergogna! Vergogna! Vergogna!”: tre parole per sigillare il giorno più lungo di Razzi e Scilipoti, dei cambi di casacca e dei mutui da pagare. “Vergogna! Vergogna! Vergogna!”: le ultime parole da spendere al crepuscolo dell’estasi del Predone.

Carlo Dore jr.

mercoledì, dicembre 08, 2010



PROSSIMA FERMATA: ARCORE. ROTTAMATE IL ROTTAMATORE.

Prossima fermata: Arcore. Il treno di Matteo Renzi, sindaco di Firenze nonché leader indiscusso ed indiscutibile del nuovo rinascimento democratico ispirato al rinnovamento ed all’archiviazione delle vecchie ideologie, fa tappa nel feudo del premier che della politica deidologizzata ed anti-ideologica è stato ispiratore e principale artefice. I quarant’anni di differenza che li dividono non impediscono a Silvio e Matteo di riconoscersi l’uno nell’altro. Berlusconi sorride e sospira: averne, di Renzi. Averne, di amministratori dalla battuta pronta e dal sorriso che cattura, capaci sempre e comunque di cavalcare la tigre del rinnovamento contro i vecchi parrucconi della politica. Averne, di oppositori che progettano di sacrificare le parole “sinistra”, “progressismo”, “giustizia sociale” sull’altare di internet, delle nuove tecnologie e della green economy, di rimpiazzare la polverosa icona di Berlinguer con le colorate immagini di Willy il coyote.

Renzi piace a Berlusconi, perché, politicamente parlando, Renzi è un prodotto di Berlusconi. E’ un prodotto di una politica semplificata ai minimi termini, radicalizzata a scontro tra tifoserie, dove lo spettacolo prevale sul contenuto, dove il carisma del leader basta a sopperire alla mancanza di contenuti appassionanti, di elaborazione programmatica, di proposte di alto profilo. Leaderismo, radicalismo, banalizzazione: in una parola, concezione anti-ideologica della politica. E’ questa l’idea di fondo di Renzi: la rottamazione come superamento di tutto ciò che sa di vecchio, di orientato, di ideologico; la proposizione di un modello fatto di parole semplici e gradevoli, in cui i concetti si alternano alle note sparate un po’ a caso dalla tastiera di una consolle. Matteo cresce e miete consensi, con la sua parlata toscana sa come bucare il video: è un Obama che sa un pò di Pieraccioni, un leader fuori dagli schemi, come il Berlusconi del 1994. Stessa strategia, identico percorso: la clava del rinnovamento utilizzata come strumento di potere.

Il rottamatore varca con passo sicuro i cancelli di Arcore: le critiche dei moralizzatori ad ore non lo sfiorano, per parlare di Firenze abbatte le barriere delle idologie. I passionari riuniti alla Leopolda si spellano le mani: scelta forse discutibile nella forma, ma ineccepibile nella sostanza; il problema è che in politica le forme contano eccome.

Pierluigi Bersani osserva e scuote la testa: lui ad Arcore non sarebbe andato. Ma Bersani è l’emblema della vecchia poltica, il primo rottamabile della lista di Matteo: è ancorato a quella fetta di popolo che - indifferente alla green economy, ad internet ed alle nuove teconologie - continua ad individuare nella concezione del partito strutturato, nelle battaglie sociali, nei temi del lavoro, nella lotta ad ogni forma di conflitto di interessi i presupposti imprescindibili per predisporre quell’alternativa in grado di assicurare giorni migliori ad un Paese alla deriva.

Bersani rappresenta un modello di politica che Renzi percepisce come lontano ed alieno: alieno come Obama rispetto a Pieraccioni, come Berlinguer rispetto a Willy il coyote. Un modello di politica che non rinuncia agli steccati ideologici, nella convinzione che il superamento del berlusconismo non passi necessariamente dalla riproposizione in chiave riformista dogma delle convention spettacolo, della contrapposizione tra vecchio e nuovo, del rapporto diretto tra leader e popolo. Un modello secondo cui le parole “sinistra”, “progressismo”, “giustizia sociale” non costituiscono soltanto simboli impolverati di un’epoca che non esiste più, ma continuano a rappresentare la chiave dell’alternativa, i punti di riferimento di quanti vogliono assicurare giorni migliori per l’Italia, senza individuare nel treno del rinnovamento la più comoda scorciatoia verso il potere.

Prossima fermata: Arcore. Berlusconi si specchia in Renzi. Prossima fermata: Arcore. Rottamate il rottamatore.

Carlo Dore jr.