venerdì, gennaio 14, 2011

LEGALITA' E DIFESA DELLA COSTITUZIONE

Di seguito, il testo dell'intervento che ho preparato per l'assemblea dell'ANPI in programma a Cagliari il 15 gennaio 2011. 

Vorrei impostare il mio intervento sulla base di due frasi che sono state, di recente, proposte all’attenzione dell’opinione pubblica. Sono due frasi diverse pronunciate da due persone che appartengono a differenti realtà: eppure tra queste frasi può essere, a mio avviso, individuato un ideale punto di congiunzione. La prima frase è stata scandita con forza da Pierluigi Bersani in occasione della manifestazione dell’11 dicembre, allorquando il segretario del PD ha ribadito che la nostra è “La Costituzione più bella del Mondo”; la seconda, invece, appartiene ad un insigne giurista cagliaritano con un passato da partigiano azionista, il quale, in un’intervista rilasciata a “L’Unione Sarda” la scorsa domenica, ha osservato che “la legalità non si fa andando in giro tenendo bene in mostra la Costituzione. Si fa e si pratica rispettandola ogni giorno, la Costituzione”.

Ecco, la nostra è la Costituzione più bella del Mondo, ma il concetto di legalità (come quello di democrazia) non può ridursi al leit motiv che governa un comizio ben riuscito, o - peggio ancora - ad un mero argomento a disposizione dei collettori di voti impegnati in questa o quella campagna elettorale. No, la Costituzione e l’idea di legalità che essa declina devono essere comprese, vissute, praticate: dalla lettura della Costituzione, si può infatti rilevare quali e quante anomalie caratterizzano la realtà in cui oggi viviamo, la realtà di un Paese ridotto alla triste condizione di democrazia minore.

In un’epoca in cui il significato di alcune norme della Carta Fondamentale viene brutalmente distorto nelle piazze come nei salotti televisivi dall’arroganza di giuristi improvvisati costretti, per conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione forense, a percorrere il cammino che separa Brescia da Pizzo Calabro, siamo tenuti a chiederci: cosa c’è scritto nella Costituzione?

C’è scritto che tutti i cittadini hanno diritto al lavoro, che il lavoro è il substrato fondamentale della nostra Repubblica e che la Repubblica deve promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto; c’è scritto che la Magistratura è un ordine autonomo rispetto ad ogni altro potere, che i giudici sono soggetti solamente alla legge e che i pubblici ministeri sono tenuti a perseguire qualsiasi reato, dal furto di una mela al fatto di corruzione all’abuso commesso dall’amministratore pubblico nell’esercizio delle sue funzioni; c’è scritto, soprattutto, che tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla legge, senza distinzione di condizioni personali e sociali, risultando la Repubblica impegnata a rimuovere gli ostacoli che limitano il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, politica e sociale del Paese.

Ora, non è mio compito, in questa sede, avanzare conclusioni: ma già dalla lettura di questi semplici principi emerge quanto lontana sia dal disegno del Costituente la realtà nella quale il posto di lavoro viene inteso come un privilegio da difendere fino alle lacrime, nel quadro di una fredda logica di mercato che sacrifica i diritti fondamentali sull’altare della produttività dell’impresa; in cui la Magistratura viene descritta a reti unificate come una metastasi che paralizza il normale funzionamento della vita democratica, allorquando la sua azione contrasta con i disegni del potere politico; in cui la titolarità di una carica di governo viene interpretata non come una funzione da svolgere nell’interesse della collettività, ma come un privilegio tale da giustificare la creazione di figure istituzionali legibus solutae.

Mentre il berlusconismo volge al crepuscolo, ecco che proprio dalla combinazione delle due frasi che ho citato nella fase introduttiva del mio intervento può essere individuato lo scopo principale che anche questa associazione deve impegnarsi a perseguire nel prossimo futuro. Noi abbiamo la più bella Costituzione del Mondo: non limitiamoci ad esibirla nelle manifestazioni, ma pratichiamola e rispettiamola ogni giorno, diffondendo il messaggio di eguaglianza che in essa è contenuto.

A distanza di sessant’anni dalla sua entrata in vigore, la lettura della Costituzione offre ancora un’idea di giustizia, di democrazia e di tutela della persona che conserva intatta la sua carica di vitalità: un’idea di speranza, la stessa speranza che promana dalle parole di un protagonista della lotta partigiana come il Comandante Diavolo: “noi sognavamo un mondo diverso, ma quel mondo ancora non c’è. Perciò riflettete, ragionate con la vostra testa, e continuate nella vostra lotta”.

Carlo Dore jr.

martedì, gennaio 04, 2011

NEL BUIO DI VIA CAETANI

Questo non è un articolo nel senso tradizionale del termine: non mira ad offrire la ricostruzione di un fatto di cronaca, ad individuare una particolare lettura di situazioni controverse, a proporre nuove soluzioni per i tanti problemi che affliggono la nostra difficile quotidianità. No, la funzione di questo scritto è un’altra: riflettere su una storia, su come questa storia si è sviluppata e su come avrebbe potuto ipoteticamente svilupparsi, considerate quelle che erano le sue premesse iniziali.

Cammino per il centro di Roma in una fredda serata di fine dicembre: le luminarie accese richiamano il Natale appena passato, i manifesti del PD denunciano lo scandalo della parentopoli allegramente creata da Alemanno (ex militante duro e puro di quella destra azionista e reazionaria, immeritatamente fregiatasi dello slogan: “mani pulite ed idee chiare”) nei suoi primi due anni al Campidoglio, e la bandiera tricolore davanti a Palazzo Grazioli ricorda beffardamente a tutti gli anti-berlusconiani inferociti che il crepuscolo del Cavaliere non è ancora terminato.

Dietro Piazza Venezia, il vecchio Bottegone ha conservato l’aspetto austero che lo caratterizzava nelle vittorie e nelle sconfitte, identico a se stesso tanto in occasione della debacle del 1979 quanto nella magica notte del 1996, quando una folla festante celebrava sotto la grande bandiera la realizzazione di un progetto sostenuto per cinquant’anni da due generazioni di progressisti: la sinistra al governo del Paese, il definitivo superamento dell’incubo del partito anti-sistema. Oggi, alcuni uffici hanno preso il posto della segreteria del PCI e del PDS, e la redazione de “Il Riformista” occupa i locali della mitica libreria “Rinascita”. Alemanno e “Il Riformista”, i manifesti bianchi del PD e la bandiera di Palazzo Grazioli: è come se Roma volesse comunicare la sentenza della Storia, la sentenza con cui la Storia afferma che la sinistra è stata sconfitta, che noi siamo stati sconfitti.

Poi, per uno di quegli strani scherzi che i ricordi sanno fare, il suono di una voce ha iniziato a coprire il frastuono delle auto, i rumori della città, il chiacchiericcio ossessivo dei turisti in marcia verso l’ultimo monumento della giornata: è una voce giovane, lievemente alterata da un apparecchio telefonico, riprodotta mille e mille volte in telegiornali, documentari e reportage di ogni tipo. Le parole pronunciate da quella voce giovane e metallica hanno attraversato un quarto di secolo senza perdere la loro drammatica intensità, scolpite come sono nella pietra della memoria, nella pietra della paura: “…in via Caetani…in via Cae-ta-ni…che è la seconda traversa a destra di via Delle botteghe oscure”. In via Caetani, in via Caetani: cosa è successo, in via Caetani?

Imbocco la seconda traversa a destra di via Delle Botteghe oscure e mi trovo in una strada stretta e senza lampioni, piena di macchine parcheggiate lungo il muro di un palazzo di ristrutturazione: una strada buia, che sembra davvero perdersi nelle tenebre della più profonda Notte della Repubblica. Perché quella strada non è solo una strada, perché in quel buio c’è qualcosa di più di una fila di auto in sosta: c’è la tomba di Aldo Moro, vittima consapevole di un gioco al massacro consumato all’ombra dei palazzi del potere, variamente dislocati tra Washington e Mosca, al solo scopo di rafforzare la consistenza di quel maledetto muro grigio che per anni ha determinato le sorti del Mondo. C’è la fine di un sogno, il sogno di due visionari che volevano trasformare l’Italia in una democrazia compiuta, affrancata sia dalle trame della CIA che dai carri armati dell’Armata Rossa: la DC, da Scelba al cattolicesimo democratico; il PCI, dagli Sputnik al centro-sinistra. C’è la speranza di un Paese diverso, spezzata a colpi di kalashnikov nel bagagliaio insanguinato di una Renault 4 rossa, parcheggiata lungo quello stesso muro di quello stesso palazzo in ristrutturazione.

Come in un film di seconda visione, dal buio di Via Caetani iniziano ad emergere volti, fatti, ipotesi, teorie e teoremi: politici e politicanti, eroi e spioni, monsignori americani e banchieri milanesi, bande criminali che sognavano di conquistare Roma e corpi paramilitari creati per alterare il regolare andamento della vita democratica. Treni che esplodono e strette di mano, logge nere e brigate rosse, Piazza Fontana e la stazione di Bologna: capitoli, paragrafi, protagonisti e comparse, di quel potentissimo,drammatico, dolente romanzo delle stragi che è stata la storia italiana del dopoguerra.

Nel buio di Via Caetani, mi trovo a immaginare quale Paese avrei conosciuto se quella telefonata non fosse mai partita, se quella Renault rossa non fosse mai stata parcheggiata lungo quel muro, se quella strada fosse rimasta solo una strada: forse, il CAF non sarebbe mai esistito, e non si sarebbe mai arrivati alla costruzione di quella città delle tangenti disvelata, indagine dopo indagine, dalla monumentale azione investigativa del Pool di Mani Pulite. Craxi sarebbe rimasto un piccolo capo-bastone privo di potere decisionale, incapace come tale di alimentare quel circuito vizioso della Milano da bere di cui il bunga-bunga di Berlusconi costituisce il prodotto principale: nessuna bandiera sventolerebbe dinanzi a Palazzo Grazioli, la parentopoli neofascista di Alemanno si ridurrebbe a qualche sparuta bicchierata tra nostalgici lontana anni-luce dagli splendori del Campidoglio, e il PD potrebbe orgogliosamente vantare la propria natura di partito di sinistra, senza dover ricorrere agli strani equilibrismi che lo vedono eternamente sospeso tra sostegno alla grande impresa e tutela del mondo lavoro. Forse, avrei conosciuto un Paese diverso, un Paese più giusto e più vivibile da quello che Roma offre agli occhi dei turisti in marcia in questa strana sera di fine dicembre, mentre mi allontano per le vie della Capitale, sconfitto ancora una volta dal buio di Via Caetani.

Carlo Dore jr.