domenica, dicembre 18, 2011

ELOGIO DEL MORALISMO

Stefano Rodotà – Laterza Editore – 2011 - pp. 91

«Tra una politica che affonda e un populismo che di essa vuole liberarsi, bisogna riaffermare la moralità delle regole, che è cosa lontanissima da ogni suggestione di Stato etico, trovando in primo luogo il suo fondamento in una politica “costituzionale”. E il moralismo non è la rivolta delle anime belle, la protesta a buon mercato, fine a sé stessa. S’incarna sempre più in azione, e si fa proposta politica».

Insigne giurista e intellettuale da sempre in prima linea nelle grandi battaglie a difesa della legalità e dei diritti fondamentali, Stefano Rodotà regala al lettore 90 pagine dense di riflessioni lucide come cristalli e taglienti come lame affilate. Le riflessioni di uno studioso capace di offrire una visione obiettiva e spietata della realtà che ci circonda, le riflessioni di una mente libera che non ha smesso di credere in una concreta prospettiva di cambiamento, e di declinare tale prospettiva alla luce di una rinnovata tensione verso i valori dell’etica pubblica.

Le riflessioni di un moralista.

Elogio del moralismo” può essere definito “un saggio poliedrico”. E’ innanzitutto il diario di un viaggio: il viaggio di un Paese destinato ad affogare tra le paludi di Tangentopoli e le sabbie mobili del berlusconismo, di un Paese che ha trovato nella politica della “Milano da bere” e del “ghe pensi mì” (brutale svilimento dei principi costituzionali e costante esaltazione del Vangelo degli “uomini del fare”) la propria road to perdition.

Rodotà mette in fila fatti e situazioni, che esamina utilizzando la lente del giurista e che descrive con l’entusiasmo del grande intellettuale. Racconta di come una classe dirigente non degna di tale qualifica abbia cercato di obliterare la linea di confine che separa responsabilità politica e responsabilità penale, al solo scopo di far apparire politicamente (e moralmente) sopportabile ogni comportamento degli uomini di potere in tutto o in parte estraneo all’area del penalmente rilevante. La “questione morale” sparisce così dall’attualità politica, liquidata con poche battute dai tanti scherani del poteri chiamati a presidiare i salotti dei talk - show: l’harem dell’ex Presidente del Consiglio (per sua stessa ammissione, “utilizzatore finale” dei servigi offerti dal personale delle “cene eleganti”)? Politicamente sopportabili perché “non penalmente rilevanti”; l’ascesa delle veline al cuore delle istituzioni? Politicamente sopportabile perché “non penalmente rilevante”; la costante presenza di una variegata pletora di faccendieri, questuanti, menestrelli e barbe finte al piano nobile dei palazzi del potere? Politicamente sopportabile perché “non penalmente rilevante”.

Rodotà ricostruisce e racconta fatti e misfatti della lunga stagione de-costituente di cui è stata oggetto la sempre più traballante Repubblica italiana. Racconta del tentativo di sostituire la forma di governo tratteggiata dalla Carta Fondamentale con un sistema imperniato sulla centralità dell’Esecutivo, di sovvertire il rapporto tra le fonti del diritto attribuendo all’ “arbitrio” della legge - in quanto tale, atto di volontà della maggioranza politica - la regolamentazione di materie (come l’obbligatorietà dell’azione penale o il rapporto tra PM e polizia giudiziaria) al momento coperte dalle disposizioni costituzionali, di sterilizzare gradualmente le garanzie che la Costituzione prevede per tutelare le minoranze contro i possibili abusi della maggioranza politica operante un determinato momento storico.

L’immunità diventa certezza di impunità, il consenso elettorale viene interpretato come fonte di legittimazione di ogni possibile conflitto tra potere pubblico e interessi individuali, la funzione istituzionale snaturata all’interno di satrapie private: la de-costituzionalizzazione appare inarrestabile, anche se il sistema dimostra di non essere privo di anticorpi. Il Presidente della Repubblica ha operato con pazienza a tutela dell’integrità del dettato costituzionale; la Consulta ha fulminato puntualmente l’infinita sequenza di norme ad personam approvate per tutelare la posizione del solito manipolo degli imputati eccellenti, mentre il colpevole silenzio dei partiti sulla “questione morale” ha imposto alla Magistratura il difficile compito di rilevare - oltre alla responsabilità penale degli indagati - anche le responsabilità politiche di una classe dirigente squassata dal vulnus della corruzione.

Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Magistratura indipendente: gli eterni baluardi di una democrazia imperfetta che il ventennio berlusconiano ha in ogni modo cercato di radere al suolo; i primi destinatari di questo potente “Elogio del moralismo”. Proprio in quanto “saggio poliedrico”, il libro di Rodotà non è infatti “solo” il diario di un viaggio attraverso gli anni della stagione de-costituente: è anche un coraggioso appello a tutti quei “partigiani della Costituzione” a cui ha fatto di recente riferimento Antonio Ingroia, a tutti coloro i quali individuano nel “moralismo costituzionale”, nei principi ispiratori della Carta Fondamentale il manifesto del proprio agire politico. Un appello a non rinunciare a “riaffermare prepotentemente la propria identità”, a riflettere sul fatto che «un public committent, un impegno che ci riscatti e ci costituisca come parte attiva di una comunità politica, non può nascere soltanto da una registrazione di rapporti di forze. Deve essere sorretto dai fuochi che possono sprigionarsi dalla trasformazione dei principi costituzionali in una spinta insieme politica e morale, che riscatti tutti dalla “stanchezza civile” e renda ineludibile quell’inflessibile controllo di legalità che è la sola via per evitare che tutti, nella politica siano considerati perversamente eguali. Quando si associa alle virtù civiche, il moralismo diventa una potente risorsa, che vale la pena d’impiegare con convinzione» .

Carlo Dore jr.