domenica, aprile 17, 2011

QUELL’UOMO MORTO CON IL CODICE IN MANO


In una strana mattina di aprile, sui muri di Milano sono apparsi dei grandi manifesti bianchi e rossi, recanti un messaggio sconvolgente nella sua violenta brutalità: “fuori le BR dalle procure”. Indipendentemente da chi ha confezionato questi strani volantini, è facile cogliere la connessione tra il testo in essi riportato e le parole urlate dal Presidente del Consiglio a beneficio dello sparuto drappello di oplites che, lo scorso lunedì, lo attendeva plaudente all’uscita del Palazzo di Giustizia: “contro di me, brigatismo giudiziario”.

“Brigatismo giudiziario”, “I giudici sono matti, antropologicamente diversi dal resto della razza umana”, “Fuori le BR dalle Procure”: come in un film di seconda visione, le immagini e le parole di queste strane giornate di aprile si confondono e si intrecciano, per lasciare improvvisamente spazio ad altre immagini e ad altre parole, emerse dagli archivi della memoria di quella fetta di Paese che ancora non ha smarrito la propria capacità di ricordare, la propria capacità di pensare, la propria capacità di indignarsi. Sono le immagini sgranate di un filmato della Milano dei primi anni’80, sono le immagini di un uomo riverso in una pozza di sangue, crivellato dai colpi di P38 davanti alla porta dell’aula universitaria in cui doveva tenere la sua lezione. A pochi centimetri dalla mano inerte, un codice aperto: quell’uomo è morto, è morto con il codice in mano.

Un uomo morto con il codice in mano. Chi era quell’uomo? Quell’uomo era un giurista, un professore, un magistrato: quell’uomo era Guido Galli, giudice istruttore presso il Tribunale milanese, a cui erano state assegnate le più delicate indagini relative al terrorismo brigatista. Guido Galli era un modello di magistrato democratico al quale (come acutamente ha osservato Armando Spataro nel suo ultimo libro) difficilmente oggi sarebbe stata risparmiata la patente di “toga rossa”. Era un magistrato indipendente, soggetto, come tale, soltanto alla legge: le contaminazioni ideologiche non ne intaccavano la lucidità e la serenità di giudizio, il codice che portava sempre con sé costituiva la sua stella polare.

I gruppi di fuoco di Prima Linea ne avevano pianificato l’omicidio proprio per questo: perché era un esponente della “fazione riformista e garantista della magistratura, impegnato in prima persona per ricostruire l’ufficio istruzione di Milano come un centro di lavoro giudiziario efficiente”. Guido Galli era bravo, era indipendente, era pericoloso: per questo è stato ucciso, per questo è caduto davanti a quell’aula universitaria, mentre rileggeva le norme su cui avrebbe dovuto impostare la sua lezione. Morto perché applicava la legge, morto con il codice in mano.

“Contro di me, brigatismo giudiziario”. “Fuori le BR dalle procure!”. Sugli slogan urlati a squarciagola dai trombettieri del Cavaliere si impone, ferma e serena, la voce di Edmondo Bruti Liberati: “Abbiamo già avuto le BR qui in procura. Vennero per uccidere Emilio Alessandrini e Guido Galli”. Eppure, anche la dura replica del procuratore di Milano non basta a cancellare del tutto lo sdegno che ogni sincero democratico prova di fronte alla violenza di quelle parole scritte in lettere bianche su sfondo rosso: “Fuori le BR dalle Procure”. I magistrati additati come eversori solo perché conducono inchieste sgradite ai sostenitori del Princeps, paragonati ai brigatisti solo perché colpevoli di applicare la legge anche contro la volontà di certi settori del potere politico. Eversori perché indipendenti, terroristi perché non controllabili, se non attraverso il potente silenziatore delle leggi ad personam.

Indipendenti, non controllabili, soggetti solamente alla legge.

“Contro di me brigatismo giudiziario”. “Fuori le Br dalle Procure”. Le lettere bianche di quei manifesti sono anch’esse macchiate di rosso, ma non si tratta dell’inchiostro dello sfondo che perde consistenza sotto l’ultima pioggia di Milano. Sono macchiate dal sangue dei tanti magistrati uccisi perché applicavano la legge contro le pallottole, contro il fanatismo, contro le stragi di Stato, contro il silenzio figlio della paura.

Sono macchiate del sangue di Emilio Alessandrini, di Bruno Caccia e di Guido Galli: l’uomo morto con il codice in mano.

Carlo Dore jr.