venerdì, giugno 24, 2011

LA FORZA DI NICHI E LE RAGIONI DI MASSIMO: LEADERSHIP DI POPOLO O LEADERSHIP DI PROGETTO?


“Sono i movimenti collettivi quelli che determinano i cambiamenti più profondi, più duraturi. Naturalmente la politica oggi è fortemente personalizzata, e ci vogliono leader in grado di interpretare questi movimenti collettivi: però un leader che non sia espressione di un movimento di fondo della società è un finto leader, e alla fine non produce nulla al di là delle sue fortune personali. Un leader che produce un cambiamento profondo nella società è la forma della leadership più moderna e democratica”.

Le riflessioni affidate da Massimo D’Alema al quotidiano “IlPost” hanno ulteriormente alimentato il dibattito relativo alla futura leadership del centro-sinistra, tornato d’attualità dopo l’autocandidatura di Nichi Vendola alle primarie per la guida della coalizione. Le ultime elezioni amministrative – scandite dalle travolgenti affermazioni di Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli – sono state caratterizzate più dalle vittorie dei leader che dalle “vittorie di progetto”: si è infatti spesso riscontrata una forte empatia tra leader e popolo, empatia che ha trascinato il successo dei leader talvolta a prescindere dai consensi dei partiti che ne sostenevano la candidatura. Il leader viene applaudito indipendentemente dai suoi errori e dalle sue debolezze, i partiti vengono depotenziati indipendentemente dai loro meriti: nel pactum subiectionis con cui il popolo affida al leader le chiavi del potere, viene dunque messo in discussione il ruolo dei partiti come strumento di formazione e selezione della classe dirigente, come veicolo di partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese.

Proprio questa magica empatia - capace persino di trasformare il mite Giuliano Pisapia, degnissimo politico di lungo corso con alle spalle oltre quindici anni di attività parlamentare, in un campione della riscossa civica – è la linfa vitale che alimenta la narrazione vendoliana: Vendola è la freschezza che mette i brividi ai vecchi castosauri della politica militante, è il grande affabulatore che scalda teste e cuori. E’ il leader che parla al popolo: fuori dagli schemi, fuori dai partiti, fuori dai binari di un progetto di governo. Il leader davanti al progetto, che si rapporta direttamente alla base: questa è la forza di Nichi.

Eppure, la forza di Nichi non sembra tanto intensa da scalfire le ragioni di Massimo: del segretario del PDS che per due volte ha costretto Emilio Fede a riempire di bandierine rosse la mappa della Penisola, del delfino di Berlinguer che per anni ha studiato da naturale punto di riferimento dello schieramento progressista, per poi crollare all’ultima curva del suo brillante cursus honorum. Massimo ha vinto e ha perso: ha chiuso gli occhi dinanzi alle incongruenze del progetto della Bicamerale, ed ha sottovalutato la carica di veleno che poteva trasmettere il morso di un Caimano da tutti dato per moribondo. Ha combattuto chi, nel non lontano 2007, liquidava Prodi come un poeta morente, ed ha denunziato per primo l’intrinseca debolezza che si celava sotto lo smagliante “I care” veltroniano.

Massimo ha vinto e ha perso, ha sbagliato e ha pagato. Ma Massimo ha capito: ha capito che l’empatia tra leader e popolo, i sorrisi patinati, le magliette multicolori ed i manifesti in stile dark possono essere sufficienti per vincere un’elezione, non per governare un Paese. Ha capito come la più volte invocata “alternativa” al berlusconismo passa dalla creazione di un vasto campo di forze afferenti all’area democratica e riformatrice, che sappiano rendersi interpreti di un disegno politico di ampio respiro, fondato sui valori dell’equità, della solidarietà, della giustizia sociale. Ha capito che il carisma di un leader che impone a caratteri cubitali il suo nome sul simbolo della coalizione non è sufficiente a colmare la mancanza di un progetto degno di tale nome, a sopperire alla endemica debolezza di partiti de-strutturati in quanto ridotti a mera cassa di risonanza della voce del capo. Ha capito che la leadership di popolo mantiene una consistenza diversa (e per forza di cose inferiore) rispetto alla leadership di progetto.

E’ proprio su questo punto che la forza di Nichi non può non cedere alle ragioni di Massimo: senza strategie definite, senza una coalizione predeterminata, senza un programma condiviso, le eventuali primarie per la designazione del prossimo candidato premier del centro-sinistra rischiano di creare l’ennesimo leader dimezzato o falso leader, in quanto mero prodotto di un brutale scontro di personalità, del definitivo redde rationem tra quanti si entusiasmano per la leadership di popolo e coloro i quali ancora ravvisano la necessità di sostenere un’autentica leadership di progetto.

Carlo Dore jr.