sabato, dicembre 26, 2015

IL GHIGNO DEL VINCITORE

“Che brutta fine ha fatto Silvio Berlusconi” osservano immalinconiti i commentatori di tutto il mondo, assistendo alla inarrestabile disgregazione di Forza Italia e alla disarmante diaspora di parlamentari azzurri verso l’orizzonte del Partito della Nazione. Già, che brutta fine ha fatto il Cavaliere: impegnato a respingere l’OPA ostile lanciata da Salvini su quel che resta del centro-destra, sbeffeggiato nelle aule giudiziarie dalle starlette delle notti di Arcore, abbandonato perfino dal luogotenente Verdini e dal citareda Bondi, partecipa da attore non protagonista alla new age della politica italiana, assecondando passivamente la transizione dal bipolarismo muscolare che ha caratterizzato il suo ventennio al sostanziale dominio del partito trasversale berevettato da Renzi. Si chiude un’epoca, ne comincia un'altra: da capo commedia a figurante, che brutta fine ha fatto Berlusconi.

Eppure, l’abbraccio tra Lotti e Verdini, la strombazzata adesione di Manuela Repetti al percorso riformatore in atto, perfino la conversione di Renata Polverini sulla via di Rignano bastano a far germinare il seme di un dubbio, volutamente snobbato da renziani della prima e della seconda ora: e se l’apogeo della Leopolda fosse, in verità, la sublimazione del berlusconismo nella sua più intima essenza? E se il Patto del Nazareno, utilizzato da Renzi come trampolino per intraprendere la sua personalissima scalata al piano nobile di Palazzo Chigi, avesse conservato intatto il suo vigore? E se Berlusconi, dietro il cadente mascherone del monarca morente, continuasse a celare il ghigno beffardo dell’eterno vincitore?

Cullato dalle amazzoni del Cerchio Magico, il Cavaliere vede allontanarsi lo spettro di processi ed eterni oppositori: la minaccia del Ruby-gate è stata disinnescata a seguito di una sentenza destinata ad impegnare (per la particolare lettura del reato di concussione per induzione in essa proposta) le riflessioni degli studiosi per gli anni a venire; il mito della rottamazione – lungi dal risolversi in un epocale ricambio generazionale – ha semplicemente condannato all’eterna minorità quei pochi esponenti dell’area democratica dichiaratisi indisponibili a barattare la loro coerenza personale con uno strapuntino sul carro del vincitore, lanciato in piena corsa sulla via delle larghe intese; la retorica del “o con noi, o rosicone” ha silenziato una volta per sempre quella fetta di società civile la cui mobilitazione a presidio dei valori repubblicani aveva impedito la metamorfosi delle istituzioni democratiche in apparati asserviti ai capricci del sultano di Cologno Monzese.

Il sindacato non esiste più, il jobs act realizza quel sistema di flessibilizzazione del mercato del lavoro (consistente in gran parte nell’abrogazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori) pervicacemente perseguito da Maroni e Sacconi, il combinato disposto Italicum – ddl Boschi delinea, nell’indifferenza generale, un sistema istituzionale non dissimile da quello tratteggiato dai saggi di Lorenzago, il tema del conflitto di interessi viene considerato pressoché irrilevante nell’ambito del dibattito politico attuale. C’è tanta conservazione nella rivoluzione, la rottamazione presenta un fortissimo retrogusto di restaurazione: il sistema – Paese imposto da Renzi non è lontano da quello promesso da Berlusconi agli adepti del nuovo miracolo italiano.

Gli alfieri del nuovo corso sorridono e scuotono la testa: ma quale conservazione? Ma quale restaurazione? La contrapposizione destra-sinistra non ha più ragion d’essere, le riforme servono all’Italia a prescindere dalla connotazione ideologica che le ispira: la nuova frontiera è il Partito della Nazione, perno di un sistema basato sulla ubris del capo carismatico, e appena vivacizzato dalle ruspe di Salvini e dagli urlacci di Grillo.

Eppure, il seme di quel maledetto dubbio continua a germinare, gettando una macchia di unto sul candore dei sorrisi che accompagnano l’attuazione della svolta buona: il dubbio che la brutta fine a cui Berlusconi sta andando incontro consista, in verità, nella piena realizzazione degli obiettivi personali ed economici perseguiti dall’anziano leader nel breve periodo, nel totale completamento di un progetto politico cullato nell’arco di un ventennio; il dubbio che la decomposta maschera del monarca morente sia utile a celare l’ennesima esibizione del beffardo ghigno del vincitore.


Carlo Dore jr.