lunedì, marzo 07, 2016

CALAMANDREI, MONTESQUIEU E “L’OCCASIONALISMO COSTITUZIONALE”


“Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del Governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il Governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana”.
“Le leggi siano poche, semplici, chiare: affinché nessuno, per capirle, abbia bisogno di nessuno”.

La lettura di questi celebri passi di Calamandrei e Montesquieu è di per sé sufficiente a rilevare le principali criticità del disegno di revisione costituzionale di prossima approvazione: criticità rinvenibili da un lato nella trasformazione dei principi della Carta in instrumentum regni, dall’altro nelle perplimenti ragioni ispiratrici e nella poco lineare formulazione di un testo normativo ben lontano dalla chiarezza adamantina che contraddistingue la Costituzione al momento vigente.

Sotto il primo profilo, non è un mistero che il Presidente del Consiglio in carica ha di fatto individuato nel completamento del percorso riformatore in atto il punto qualificante del suo programma di governo e, di conseguenza, la condicio facti da cui dipende la prosecuzione stessa della legislatura: scelta azzardata, se si considera che la sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale – nell’affermare, in virtù del principio di continuità dello Stato emergente dagli artt. 61 e 77 Cost., l’attitudine dell’attuale Parlamento a svolgere le sue funzioni malgrado la rilevata incostituzionalità della abrogata legge elettorale – sembrava individuare nei novanta giorni successivi alla pronuncia della citata sentenza il termine finale della legislatura in corso; scelta azzardata, nella quale è possibile rinvenire le tracce di quell’occasionalismo costituzionale brillantemente segnalato da Gaetano Azzariti.

Alla base del disegno di riforma della seconda parte della Carta al momento all’esame della Camera dei deputati non è infatti dato rinvenire quel substrato di valori condivisi tra forze di diverso orientamento sul quale deve fondarsi un patto costituente destinato a sopravvivere alle contingenze di un dato momento storico; non è dato rinvenire quell’affermazione assoluta di sovranità parlamentare di cui una legge di revisione costituzionale dovrebbe risultare espressione. I banchi del Governo non sono vuoti: il Presidente del Consiglio brandisce l’arma della fiducia per imporre ad un Parlamento quasi silenziato l’approvazione a tappe forzate della “sua” riforma, per non perdere, appunto, l’occasione di utilizzare quella stessa riforma come strumento di moltiplicazione del suo consenso personale. L’occasionalismo costituzionale prevale sulle esigenze di stabilità del patto costituente, la Carta fondamentale perde la sua funzione di strumento di controllo del potere politico per assumere quella di strumento di affermazione di tale potere: instrumentum regni, nel senso precedentemente chiarito.

Sotto il secondo profilo, l’occasionalismo costituzionale traspare, si diceva, dalle scelte contraddittorie di un legislatore frettoloso e, forse, non preparato a cimentarsi in un percorso tanto impegnativo come quello diretto a riscrivere la seconda parte della Carta. Scelte contraddittorie e poco lineari che ispirano tanto il nuovo art. 57 Cost. - inficiato dal grande equivoco dei Senatori “eletti dai Consigli regionali” tra “i propri componenti e i sindaci dei territori, ma al contempo “eletti in conformità delle scelte degli elettori”-  quanto lo stesso art. 55, che sostanzialmente riduce la Camera alta al ruolo di tribuna per i rappresentanti delle istituzioni locali. Scelte contraddittorie e poco lineari che emergono dalla lettura del nuovo testo degli artt. 70 ss. Cost, laddove il bicameralismo paritario viene sostituito da una sorta di monocameralismo spurio (o, se si preferisce, di bicameralismo azzoppato), presupposto logico di un procedimento legislativo che – dipanandosi lungo un inestricabile reticolato di termini perentori, corsie preferenziali, pareri non vincolanti – rischia di appesantire la produzione normativa, allontanandosi fatalmente da quell’ideale di “poche leggi, semplici e chiare” invano declinato da Montesquieu.  

Una Costituzione riconducibile esclusivamente all’atto di volontà della maggioranza politica contingente, un procedimento legislativo governato da mille regole difficilmente coordinabili tra loro, un Senato in parte eletto e in parte “nominato” e comunque condannato a una sostanziale condizione di irrilevanza rispetto all’altro ramo del Parlamento. L’occasionalismo costituzionale costituisce unica ragione giustificativa del progetto di riforma di prossima approvazione, l’occasionalismo costituzionale è la radice di quelle stesse criticità che la lettura dei passi di Calamandrei e Montesquieu porta fatalmente ad emersione.


Carlo Dore jr.