giovedì, dicembre 06, 2018

LA SARABANDA DELLE OCCASIONI MANCATE


Le prime note della sarabanda delle occasioni mancate iniziano a risuonare nella notte del 4 dicembre del 2016, quando il corpo elettorale, paralizzando l’entrata in vigore del ddl Renzi – Boschi di riforma dell’intera seconda parte della Costituzione, ha riaffermato l’attualità del modello di democrazia declinato dalla Carta Fondamentale, e dei principi ai quali quel modello risulta ispirato.

L’esito della consultazione referendaria veniva infatti percepito come il momento conclusivo della parabola del renzismo, come il requiem che doveva accompagnare la transizione dei protagonisti della stagione della rottamazione dai fasti dei palazzi del potere all’oblio della vita privata, e come il preludio di una nuova stagione per l’intera area democratica. Una nuova stagione basata sulla comprensione degli errori commessi nei due anni del Governo secondo Matteo, su un nuovo patto fondativo tra la sinistra e i suoi tradizionali riferimenti sociali, su una nuova proposta politica costruita proprio alla luce di quei principi costituzionali in cui gli elettori avevano appena dimostrato di volersi riconoscere.

Sì, la sconfitta del renzismo era un’occasione, e si è rivelata la prima di tante occasioni mancate: attraverso la logora liturgia di un congresso senza confronto, Renzi si è assicurato il controllo di (quello che restava di) un partito senza entusiasmo e senza prospettive, ridotto a vuota sovrastruttura di coordinamento per parlamentari e consiglieri. Ma quel risultato era un’occasione, anche per le forze collocate a sinistra del PD, un’occasione alimentata dal coraggio di alcune personalità di livello nazionale che, rinunciando alla rassicurante garanzia di una quasi scontata rielezione, hanno scelto di impegnarsi nella costruzione di una nuova proposta in grado di offrire un’alternativa ad un popolo orbato dei suoi tradizionali riferimenti.

Tuttavia, anche questa proposta è stata ben presto assorbita dalla sarabanda delle occasioni mancate, dalla pervicace tendenza di un’ampia fetta di ceto politico ad impadronirsi, nelle varie realtà locali, di queste forze di nuova creazione, allo scopo di garantirsi una fetta – seppure sempre più ridotta – di piccole e medie rendite di posizione. La sarabanda delle occasioni mancate è esplosa allora in uno stonato crescendo rossiniano con le elezioni del 4 marzo, overture del contratto di governo tra Salvini e Di Maio: la retorica del “fuori i negher” diventa linguaggio istituzionale, l’incompetenza è ostentata alla stregua di una medaglia al valore, la disapplicazione manifesta dei principi costituzionali diviene la bussola che orienta l’indirizzo politico della maggioranza.
Un grido di dolore si alza da associazioni, intellettuali, operatori economici, settori della cultura all’indirizzo dell’opposizione democratica: dateci un’alternativa, basata sulla formulazione di un programma finalmente coinvolgente, sulla formazione di una classe dirigente autenticamente rinnovata, capace di intercettare le energie sprigionate dalla campagna referendaria. Dateci un’alternativa, fin dalle prossime elezioni locali: fin dalle elezioni in Sardegna. Perché anche la Sardegna potrebbe, in questo senso, rappresentare un’occasione.

Ma la sarabanda delle occasioni mancate ha da tempo superato il Tirreno: smaltita rapidamente la depressione post-referendaria, gli epigoni del renzismo isolano si ritrovano oggi sotto le insegne di quel gruppo dirigente che, dall’Ora tocca a noi all’adesione alla riforma costituzionale, della rottamazione leopoldina ha saputo rendersi più precursore che semplice interprete, mentre i partiti prodotti dalla scissione del PD, archiviata rapidamente ogni velleità di rottura con il recente passato, aderiscono placidamente all’ennesima riproposizione di quel modello di centro-sinistra al cui superamento, nelle intenzioni dei fondatori, dovrebbero viceversa essere funzionali.

Ecco allora che la disperata richiesta di alternativa rivolta all’opposizione democratica sembra ancora una volta infrangersi sull’appello al voto utile dinanzi all’ennesima sfida secca tra conservazione dello status quo e resa incondizionata all’incedere del leghismo alla campidanese, che quel grido di dolore a cui si è poc’anzi fatto cenno è destinato a cadere nel vuoto della perenne mancanza di riferimenti, lasciando all’area democratica solo l’amarezza che sempre accompagna le ultime note della sarabanda delle occasioni mancate.

Carlo Dore jr.