giovedì, luglio 26, 2007


ATTUALITA’ DELLA QUESTIONE MORALE:
RITORNANO GLI ANNI DI FANGO?

In uno dei suoi ultimi libri dedicati alla storia d’Italia, Indro Montanelli descriveva la stagione di Tangentopoli come “l’epoca degli anni di fango”, come una fase storica dominata dal rovinoso tracollo di una sistema di potere che trovava nelle connessioni perverse tra politica, mondo economico e settori della criminalità più o meno organizzata il suo stesso asse portante.
Sotto i colpi del maglio purificatore delle indagini della procura di Milano caddero uno dopo l’altro tutti i partiti che avevano governato il dopoguerra, mentre i principali protagonisti dell’epopea del CAF sfilavano sul banco degli imputati nella disperata ricerca di risposte sensate da opporre alle incalzanti domande dell’allora PM Di Pietro.
Nella stagione degli anni di fango, le forze della sinistra venivano chiamate a guidare quel processo di moralizzazione della res publica di cui i cittadini auspicavano l’attuazione: agli occhi degli elettori, il neonato PDS assumeva infatti ancora i contorni propri del partito di Berlinguer.
Berlinguer credeva nella dimensione “etica” della politica, intesa come strumento di partecipazione e non come veicolo per assecondare bramosie di potere o velleità di prestigio e ricchezza; Berlinguer vedeva lontano, ed aveva per primo compreso il pericolo che l’avvento del craxismo rappresentava per il Paese; Berlinguer aveva sfidato il sistema del CAF, e la sua “questione morale” era stata frettolosamente bollata come l’ultima invettiva di un estremista fuori dal tempo.
Tangentopoli sconfessava in toto queste valutazioni: la questione morale non poteva più essere considerata priva di fondamento, i partiti risultavano davvero ridotti al ruolo di grigi apparati di un disegno corruttivo troppo radicato nella società per essere spazzato via senza un radicale mutamento a livello di classe dirigente. Dieci anni dopo la sua morte, Berlinguer aveva definitivamente vinto la sua personale partita con la Storia.
Ma la grande speranza di rinnovamento a cui in precedenza abbiamo fatto cenno è stata rapidamente frustrata dall’avvento di Berlusconi, e dall’incomprensibile pulsione delle forze del centro-sinistra ad adottare lo stesso modus operandi del Caimano nella speranza di conquistare il consenso degli elettori moderati. Questa irresistibile attrazione di alcuni esponenti dell’attuale maggioranza di governo per i principi – cardine del berlusconismo non emerge solo dal progetto volto alla creazione del PD (più volte descritto come la riproduzione in chiave “riformista” di quel modello di partito commerciale di cui Forza Italia rappresenta la massima attuazione), ma anche dal contenuto delle intercettazioni oggetto dell’ordinanza formulata dal GIP di Milano Clementina Forleo.
Premesso infatti che, dal punto di vista giuridico, risulta del tutto immotivata l’indignazione “per l’ingiustificata fuga di notizie” manifestata dai politici indirettamente coinvolti nelle indagini sulle scalate bancarie (è infatti noto che il segreto istruttorio viene praticamente meno con riguardo ai provvedimenti che, una volta depositati in cancelleria, sono messi a disposizione degli altri soggetti del procedimento penale), dinanzi al “facci sognare!” con cui D’Alema dimostrava di approvare le operazioni programmate da Consorte o all’entusiasmo manifestato da Fassino per “essere diventato padrone di una banca”, lo spettro degli anni di fango, della triste stagione delle connivenze tra politici ed imprenditori inizia ad aggirarsi incessantemente tra le stanze del Botteghino.
Indipendentemente dalle conclusioni a cui i PM titolari delle suddette indagini potranno pervenire - nella speranza che la Casta delle aule parlamentari non si schieri a difesa dei suoi autorevoli esponenti impedendo ancora una volta alla Magistratura di esercitare appieno le sue funzioni- , i militanti dei DS hanno ora il dovere di interrogarsi sulla “legittimità politica” di quegli “atti di sana tifoseria” posti in essere dai massimi dirigenti del partito a sostegno della strategia finalizzata ad attribuire ad UNIPOL il controllo della Banca Nazionale del Lavoro, nella piena consapevolezza del fatto che ogni forma di connessione tra partiti ed imprenditori collide apertamente con i presupposti su cui si fondava la “questione morale” prospettata da Berlinguer nel lontano 1981. Se si afferma che proprio la questione morale mantiene ancora oggi determinati profili di attualità, è allora anche possibile sostenere che la stagione degli anni di fangonon può, al momento, considerarsi davvero esaurita.

Enrico Palmas

(Coordinatore provinciale SD Cagliari)

Carlo Dore jr.
(SD Cagliari)

venerdì, luglio 13, 2007


REFERENDUM: L’AUTOGOL DI VELTRONI

Dopo l’ormai celebre discorso attraverso cui Walter Veltroni ha ufficializzato la propria candidatura alla guida del Partito Democratico, il sindaco di Roma è stato individuato da un’ampia schiera di vecchi barricaderi delle aule parlamentari, ora riciclatisi nel ruolo di riformisti made in USA, come il campione della “buona politica” in grado di smantellare - grazie alla sua concezione “lieve” della dialettica democratica, imperniata sul confronto e non sullo scontro, sulle soluzioni concrete e non sui vuoti proclami ideologici – quella grigia “casta” di potere, privilegi e rendite di posizione attraverso cui l’antipolitica attualmente opprime la società italiana.
Tuttavia, la necessità di traghettare il centro-sinistra fuori dalle secche dell’antipolitica non ha impedito all’ex segretario del PDS di manifestare la propria adesione (rigorosamente virtuale e non effettiva) alla recente proposta di referendum abrogativo della legge elettorale che dei principi dell’antipolitica costituisce una perfetta attuazione.
Alcuni tra i più eminenti costituzionalisti italiani hanno infatti più volte rilevato come il “referendum truffa” sostenuto da Giovanni Guzzetta e dal sempreverde Mariotto Segni, lungi dall’essere finalizzato al perseguimento degli obiettivi della semplificazione della politica e della stabilità del sistema, risulta esclusivamente diretto a rafforzare (attraverso il consolidamento del sistema delle “liste bloccate” e l’attribuzione un elevato premio di maggioranza alla lista che riporta i maggiori consensi, indipendentemente dal numero effettivo di voti conseguiti dalla stessa) il controllo delle segreterie dei partiti più forti sulla vita della res publica, a stabilizzare quindi la già citata rete di clientele, connivenze e rendite di posizione che rappresenta il sostrato fondamentale della famosa “casta” descritta nel libro di Rizzo e Stella.
Premesso che costituisce una macroscopica contraddizione in termini l’assunto in base alla quale il buon esito della campagna referendaria imporrebbe alle Camere un’accelerazione in ordine all’approvazione della riforma della legge elettorale (in una democrazia evoluta non può infatti considerarsi necessario un referendum peggiorativo dell’ordinamento preesistente per indurre il Parlamento ad esercitare la funzione legislativa ad esso attribuita dalla Carta Costituzionale), la causa effettiva di questo primo, macroscopico autogol compiuto dal Sindaco di Roma deve essere ancora una volta ricercata in quell’insieme di contraddizioni e di equivoci su cui si basa la strategia diretta alla creazione del PD, più volte descritto come una forza politica realizzata non già per rispondere alle istanze quotidianamente proposte dal popolo progressista, ma per garantire la conservazione di quella stessa classe dirigente a cui va imputata la responsabilità dell’emorragia di consensi subita dai DS negli ultimi dieci anni.
Tutto ciò premesso, un leader che intende avviare un effettivo processo di cambiamento della politica non può delineare le linee programmatiche che devono caratterizzare la sua azione attraverso mere strategie di compromesso: forte di un consenso quasi unanime in seno alla maggioranza di Governo, Veltroni è tenuto ad impegnare i parlamentari dell’Unione nell’elaborazione di una riforma della legge elettorale in grado di garantire rappresentatività e governabilità, semplificazione e stabilità del sistema.
E in questo senso, la proposta (avanzata da determinati settori della sinistra c.d. “radicale”) diretta all’introduzione di un sistema proporzionale corretto, caratterizzato cioè dalle preferenze individuali in seno alla singola lista e da un’elevata soglia di sbarramento, può costituire una ragionevole base di discussione per avviare questa stagione di riforme, considerato che tale proposta non risulta essere in alcun modo influenzata da quelle logiche di tipo trasversale rispetto alle quali gli attuali sostenitori del movimento referendario hanno dimostrato più volte di non essere estranei.

Carlo Dore jr.

domenica, luglio 01, 2007

IL SOGNO DI WALTER

Il discorso con cui Walter Veltroni ha ufficializzato la propria candidatura alla guida del neonato Partito Democratico ha incontrato ampi consensi nell’ambito delle forze politiche che compongono l’attuale maggioranza di governo. Alle centinaia di persone che hanno affollato i saloni del Lingotto, il Sindaco di Roma ha rappresentato con indubbia efficacia i principi su cui si fonda il modello di “Italia che ha in mente”: definitivo superamento delle grandi contrapposizioni ideologiche; partiti “leggeri e più vicini alle esigenze del cittadino”; confronto politico da impostare esclusivamente sui problemi concreti, alla ricerca dell’ideale punto di equilibrio tra sicurezza e solidarietà, flessibilità e tutela del lavoro, modernizzazione e salvaguardia del patrimonio ambientale.
Dinanzi al sogno di Walter, esultano i sostenitori di Rutelli e Fassino, nella convinzione che l’idea veltroniana della “politica lieve” costituisca il percorso utile per creare quella forte base di consenso di cui al momento necessita il nuovo partito; ma applaude anche la c.d. “sinistra radicale”, che individua nell’ex segretario del PDS “l’uomo del dialogo” capace di traghettare senza scossoni la coalizione verso le elezioni del 2011.
Tuttavia - una volta superato il contagioso entusiasmo che deriva dalle parole di un leader il quale, con onestà e convinzione, si accinge ad affrontare una sfida importante ed impegnativa- , dalla relazione proposta al popolo del Lingotto emergono per forza di cose tutti i limiti che possono caratterizzare la posizione del segretario di un partito che (privo di solidi riferimenti culturali e di precisi obiettivi da perseguire) viene costruito esclusivamente sulla base di accordi, compromessi e giochi di potere.
Premesso infatti che i partiti vengono tradizionalmente decritti come gli strumenti utili a garantire la partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese, costituisce una verità inconfutabile l’affermazione secondo cui un partito non può essere da un giorno all’altro inventato nel chiuso di una delle tante stanze dei bottoni: un partito viene creato per dare rilievo politico ai processi evolutivi di cui può costituire oggetto un patrimonio di idee già ben presente in seno alla società in cui il medesimo partito viene a collocarsi.
In questo senso, se la strategia berlingueriana del compromesso storico, il crollo del muro di Berlino e il conseguente approdo, da parte della principale forza della sinistra italiana, ai principi della moderna socialdemocrazia costituiscono le ragioni giustificative della trasformazione del PCI in PDS, nessuna evoluzione ideologica o culturale può essere oggi individuata a fondamento della creazione del PD.
Consapevole di questa realtà, Veltroni rilancia la sua idea del “partito-gazebo”, della forza politica contraddistinta da una struttura agile, idonea a renderla “vicina alle esigenze del cittadino” e lontana dalle obsolete ideologie che hanno attraversato il ‘900. Tuttavia, premesso che già in passato la filosofia del “I care” si rivelò nefasta per i DS - i quali assistettero impotenti al crollo di una roccaforte rossa come Bologna dinanzi all’incedere della marcia trionfale di Guazzaloca-, il sogno del Sindaco di Roma presenta almeno due potenziali contraddizioni: in primo luogo, si è più volte ribadito che il già descritto modello del “partito – gazebo” made in USA costituisce un’evidente anomalia rispetto agli equilibri che governano i sistemi politici del resto d’Europa, considerato che tutti progressisti del Vecchio Continente sono rappresentati, nell’ambito dei paesi di riferimento, da realtà partitiche irreversibilmente ancorate ai valori del socialismo europeo.
In secondo luogo, le peculiarità del sistema – Italia impongono alle forze del centro-sinistra di impostare proprio sul piano delle idee, dell’etica dei principi e dell’incisività delle scelte operative il confronto con quella variegata banda di fascisti in doppio petto, preti invasati e razzisti in camicia verde che risponde agli ordini del Caimano, nella consapevolezza che solo la luce della buona politica può trionfare sulle tenebre dell’antipolitica.
Andando quindi oltre le delicate formule della “politica lieve” e del partito-gazebo, Veltroni ha l’obbligo di coltivare un più realistico sogno: il sogno di ridare all’elettorato progressista entusiasmo e fiducia in quel patrimonio di idee e valori di cui da sempre la sinistra italiana è portatrice, nella consapevolezza del fatto che la forza delle idee costituisce l’essenza stessa della buona politica.
Enrico Palmas
Carlo Dore jr.