lunedì, ottobre 17, 2011

DALLA SOCIALDEMOCRAZIA AL “PROGRESSISMO PLURALE”: PROBLEMI E PROSPETTIVE DELLA NUOVA BAD GODESBERG.

Un mio intervento pubblicato oggi, 17 ottobre, sul sito www.liberiasinistra.it


In un lungo articolo pubblicato su “Il Riformista”, Massimo D’Alema si interroga sulle prospettive della socialdemocrazia nell’epoca della crisi globale: in un’epoca che pone le forze socialiste dinanzi alla drammatica alternativa tra eclissi e rilancio.

Muovendo dall’analisi di alcuni momenti della stretta attualità politica (la vittoria della coalizione tra verdi e liberali in Danimarca; le primarie per designare il candidato socialista all’Eliseo; il progetto di una coalizione tra Verdi ed SPD in Germania), l’ex Presidente del Consiglio rileva come il modello socialista appaia di per sé insufficiente ad affrontare le sfide della modernità, e ritiene che le forze socialdemocratiche siano pertanto chiamate a ripensare sé stesse nel quadro di un più ampio “progressismo plurale”, capace di attrarre sia alcune componenti del cattolicesimo democratico, sia quelle realtà (come i Democratici americani; i progressisti brasiliani o il Partito del Congresso indiano) per forza di cose estranee rispetto alla tradizione del socialismo europeo.

La strategia indicata da D’Alema presenta una serie di evidenti punti di contatto con la situazione politica in Italia, dove, una volta certificato il fallimento della “vocazione maggioritaria” teorizzata da Veltroni nel 2008, la creazione di un “Nuovo Ulivo” – e cioè di un’ampia coalizione democratica, costituita da forze di ispirazione cattolica, ambientalista e più marcatamente progressista – appare come l’unica strada praticabile per superare una volta per sempre l’egemonia berlusconiana.

Ma proprio i riferimenti alla realtà del nostro Paese impongono la formulazione di due interrogativi, riferibili ad alcuni snodi fondamentali della riflessione dalemiana: in quali fattori risiedono le cause della “crisi di identità” della socialdemocrazia, da cui deriva la necessità di accelerare il percorso verso il progressismo plurale? E, soprattutto, quale ruolo i socialisti dovranno assumere in questo rinnovato campo di azione?

Venendo al primo dei quesiti appena prospettati, le “critiche da sinistra” recentemente mosse al modello socialdemocratico non appaiono del tutto prive di fondamento: la “crisi” di tale modello inizia a manifestarsi proprio nel momento in cui – per avviare una non ben precisata fase di rinnovamento, di fatto ispirata dall’esclusiva esigenza di intercettare il consenso dell’elettorato moderato- i partiti che della sinistra democratica costituivano la spina dorsale (penso tanto ai DS e poi al PD in Italia, quanto alla stessa SPD in Germania) hanno rinunciato ad individuare nelle materie dell’uguaglianza, della giustizia sociale, della tutela dei diritti dei lavoratori, della legalità e della questione morale i punti centrali del loro programma di governo, preferendo inseguire le forze conservatrici sul piano della tutela del capitale e della contiguità rispetto alle realtà espressione del potere economico.

Questa stagione “moderatizzatrice” ha prodotto due conseguenze essenziali: da un lato, ha contribuito a creare quel vuoto di rappresentanza più volte denunziato dall’elettorato progressista in tutta Europa; d’altro lato, ha permesso ad alcuni pallidi esponenti delle aree radical (a lungo relegati nel grigiore della minorità) di candidarsi a riempire quel vuoto, spesso agitando ossessivamente le effimere bandiere del rinnovamento e del ricambio generazionale.

L’affermazione appena proposta costituisce l’antecedente logico necessario per affrontare il secondo interrogativo a cui si è in precedenza fatto riferimento: se è vero che le forze socialiste sono chiamate ad una sorta di “nuova Bad Godesberg”, ricollocandosi nell’area del progressismo plurale e globale, è altrettanto vero che le stesse forze socialiste non possono limitarsi a subire questo processo di aggregazione. Esse sono infatti tenute a porre al centro di questo vasto campo di forze quei valori (giustizia sociale, eguaglianza e questione morale) che da sempre fanno parte del patrimonio della sinistra democratica; ad attribuire a questo sistema di valori il rilievo e l’attualità smarrita negli ultimi anni; ad evitare, in altri termini, che il “progressismo plurale” si traduca nell’ennesima concessione della socialdemocrazia alle istanze del moderatismo o del nuovismo “radical” che quotidianamente pervade parte della politica italiana.

La consapevolezza degli errori commessi e la chiara individuazione dell’obiettivo da perseguire devono accompagnare i progressisti di tutto il mondo di fronte a questa “nuova Bad Godesberg”, ad un tornante della storia che davvero propone l’alternativa tra eclissi e rilancio.


Carlo Dore jr.