Di seguito, il testo dell'intervento svolto in occasione del dibattito dal titolo: Taglio dei parlamentari - Rappresentanza politica e legge elettorale svoltosi a Cagliari il 14 novembre 2019.
La
legge di revisione costituzionale del 12 ottobre 2019 offre diversi spunti di
riflessione, che investono non solo e non tanto il suo contenuto (relativo
alla, forse oltre misura, invocata riduzione del numero dei parlamentari),
quanto le modalità che ne hanno caratterizzato l’approvazione. Modalità che
generano svariati interrogativi sull’idea di Costituzione che anima le forze
politiche impegnate nell’approvazione della riforma, e, prima ancora, sull’idea
di democrazia di cui le stesse forze risultano portatrici.
In
questo senso, il primo degli interrogativi al quale si è appena fatto cenno viene
ispirato dall’immagine (grottesca o sconfortante, a seconda dei punti di vista)
dei parlamentari del M5S che festeggiano in piazza l’approvazione della riforma
con tanto di forbici di cartapesta brandite a beneficio di telecamere. Chiaro
il messaggio all’opinione pubblica: via gli sprechi, via i politici
inefficienti, via privilegi e borboniche guarentigie. In tre parole: "costituzionalizziamo il Vaffa".
Tuttavia,
premesso che le considerazioni elaborate in occasione del referendum del 2016
pongono più di un dubbio sulla reale entità del risparmio che la riduzione del
numero di deputati e senatori assicurerebbe alle casse dello Stato, è lecito
chiedersi: può la determinazione degli assetti di una democrazia esaurirsi
nella prospettiva dickensiana del “due penny sono due penny”? E l’inefficienza
denunciata dagli alfieri del forbicione cartonato dipende da un malfunzionamento
dell’istituzione parlamentare (dunque da riformare) o dall’inadeguatezza di chi
in quell’istituzione vive e opera?
Ancora:
a seguito della formazione di una maggioranza di governo diversa da quella che
ha sostenuto l’Esecutivo in carica dal maggio 2018 all’agosto 2019, la legge in
commento è stata approvata con il voto favorevole di gruppi parlamentari che ad
essa si erano opposti nelle precedenti letture (e di deputati e senatori che,
ad oggi, sono paradossalmente impegnati nella raccolta delle firme per
promuovere il referendum confermativo). Le ragioni di un simile cambiamento di rotta
si risolvono ora in argomenti di brutale realpolitik ("la politica è l’arte del compromesso: era necessario concedere al M5S il
taglio dei parlamentari per porre fine alla deriva fascioleghista"), ora
nell’impegno, intervenuto tra i partiti della stessa maggioranza, a elaborare
un ulteriore pacchetto di riforme volto a razionalizzare il sistema
costituzionale, nonché ad avviare il confronto che dovrebbe condurre
all’approvazione di una legge elettorale di impostazione proporzionale.
Detto
però che gli ulteriori interventi sulla Carta Fondamentale sono esposti alle
forche caudine del procedimento aggravato e che sulla legge elettorale l’intesa
tra i sostenitori del Governo in carica sembra tutt’altro che prossima, non si
può non chiedere se la Costituzione – nella sua più alta accezione di complesso
di regole che presiede al funzionamento del gioco democratico, destinato in
quanto tale a rimanere estraneo all’indirizzo politico di governo – possa
essere degradata a merce di scambio tra le varie forze politiche impegnate
nella formazione di una sorta di Gabinetto d’emergenza, scambio per giunta
ispirato alla perplimente logica del “oggi in contanti – domani a credito”.
Dickens
e “i due penny sono due penny”; costituzionalizzazione del “vaffa”; la Carta
fondamentale ridotta a merce di scambio nell’indirizzo politico di maggioranza.
Che idea di Costituzione, che idea di democrazia alimenta questa riforma?
Dubbi,
domande, opacità, che confluiscono in un interrogativo più generale: perché
tutte le maggioranze (di differente colore ed orientamento) alternatesi dal
1994 ad oggi hanno tentano di mettere mano alla Carta costituzionale, malgrado
il corpo elettorale – per ben due volte negli ultimi quindici anni – ne abbia confermato
attualità e vitalità? E perché nessuna delle suddette maggioranze ha mai
provato ad individuare nella Costituzione quel “programma politico” al quale
ispirare la sua azione, magari partendo da una proposta di legge volta a
regolamentare il funzionamento dei partiti politici, restituendoli alla
dimensione di strumento di partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato,
ad essi assegnato dall’art. 49 Cost?
Dubbi,
domande e opacità, che inducono a pensare ad una politica debole che tenta di
scaricare sulle istituzioni la propria strutturale mancanza di un’idea di
democrazia degna di tale nome, nella speranza che il forbicione cartonato
dell’ennesima legge di revisione costituzionale basti a sopperire
all’incapacità di riformare sé stessa, assecondando le istanze che provengono
dal corpo elettorale. Perché è la politica, nei suoi protagonisti e nelle sue
articolazioni, a necessitare di una penetrante riforma: e la politica, in quanto
tale, non si può riformare per legge.
Carlo Dore jr.