giovedì, aprile 24, 2008


QUELLA VELA CONTRO IL REGIME *
- Lussu, la Sardegna e il 25 Aprile –

Abbiamo riflettuto a lungo su quali parole potessero rappresentare nella maniera più adeguata il significato che una ricorrenza come il 25 aprile assume per ogni sincero democratico, specie nell’anno in cui il ritorno delle destre al potere ha coinciso con la cancellazione dal panorama parlamentare di alcuni partiti dell’area progressista, discendenti diretti di quelle forze della sinistra che della lotta partigiana costituirono il cuore e l’anima.
Ciò malgrado - di fronte al triste spettacolo offerto da un premier dilettante che dimostra candidamente di ignorare la storia dei fratelli Cervi o alle parole infuocate di un ex tribuno celtico che invita il suo popolo ad armare i fucili contro quanti si ostinano a definire l’Italia come “una e indivisibile”- , abbiamo pensato che un’immagine presa in prestito dalla Storia, dalla nostra Storia, costituisca ancora la miglior risposta a quanti di questa Storia vorrebbero riscrivere i passaggi fondamentali, nel vano tentativo di tramutare le vittime in carnefici, gli assassini in martiri, i dittatori in illuminati uomini di Stato. E’ l’immagine di un uomo in catene che naviga verso il confino, di una vela che attraversa veloce il golfo di Cagliari, di un grido di libertà scagliato in faccia ai gerarchi in camicia nera da un ragazzo di cui ignoriamo il nome.
Specializzatesi anche nel capoluogo isolano in temerarie azioni di rappresaglia verso uomini inermi, le legioni fasciste avevano individuato in Emilio Lussu “il tributo di sangue che la Sardegna doveva offrire alla Marcia su Roma”. C Cl tributo di sangue che la Sardegna doveva offrire alla Marcia su Roma.bambini, ce il golfo di Cagliari, di un grido di libertosì, in una notte d’autunno del 1924, una nutrita colonna di squadristi – capitanata (in base a quanto lo stesso Lussu racconta nel suo bellissimo “Marcia su Roma e dintorni”) da un ex parlamentare sardista, poi convertitosi al Fascio in cambio di un seggio sicuro in Parlamento e di un importante incarico governativo – si diresse alla volta di Piazza Martiri reclamando il pubblico linciaggio del Cavaliere dei Rossomori.
Tuttavia, al risuonare del primo colpo di pistola esploso dal vecchio capitano della Brigata Sassari all’indirizzo di uno dei militi che stentava la scalata al suo balcone, sembra che la vis guerriera che fino a quel punto aveva animato i moschettieri del Duce venne meno in un lampo. Mentre le Squadre della morte si disperdevano in ogni direzione, indifferenti agli ordini dei loro comandanti che invano tentavano di ricondurle all’assalto, le cronache del tempo raccontano di come un noto gerarca locale, credendosi a sua volta colpito, stramazzò al suolo tra lo sconcerto dei suoi stessi subordinati.
Ma nonostante la furiosa campagna colpevolista orchestrata nei giorni precedenti il processo dalla stampa di regime - i cui editorialisti richiedevano un verdetto esemplare sulla scia di quello assunto dai componenti dalla Corte d’Assise di Chieti, passati alla Storia per avere stretto la mano agli assassini di Matteotti dopo averne disposto il proscioglimento -, “c’era ancora un giudice a Cagliari” capace di considerarsi soggetto solamente alla Legge e non anche alla volontà del Tiranno.
In questo senso, la sentenza di assoluzione per legittima difesa pronunciata dalla Corte cagliaritana non si rivelò ovviamente idonea a salvare un uomo innocente dal confino, ma a risparmiare l’ennesimo affronto all’onore della Magistratura, già reiteratamente leso dalle inique pronunce dei tanti Tribunali speciali. E così, mentre Lussu veniva imbarcato sulla nave per Lipari, una vela bianca si materializzò inattesa nel porto del capoluogo, e il giovane che la conduceva agitò una mano gridando “Viva Lussu! Viva la Sardegna!”.
Non sappiamo a quale fine andò incontro quel ragazzo, né se quel grido riuscì a strappare l’ombra di un sorriso al Cavaliere dei Rossomori, ridotto in fin di vita da una malattia contratta durante la detenzione: tuttavia, ora che le destre sono tornate al potere e che un politico siciliano dal passato discutibile minaccia di emendare persino i testi scolastici “dall’ egemonia culturale della sinistra”, ci sembra ancora di sentire l’eco di quel grido salire alto dal porto fino ai bastioni.
Quel grido porta con sé la nostra speranza, la nostra capacità di ricordare da dove veniamo e a quali valori dobbiamo continuare a fare riferimento ora che il concetto stesso di “sinistra” sembra messo in discussione dall’incedere del tempo. Di più: quel grido esprime la nostra consapevolezza del fatto che qualsiasi tentativo di “revisionare” il corso degli eventi non potrà scalfire l’intensità di quell’immagine. L’immagine di un uomo incatenato per la forza delle sue idee, di una vela che squarcia l’azzurro del cielo, di un grido di libertà che si solleva contro un regime sanguinario, di un sorriso forse appena accennato: questa è la nostra Resistenza, questo è il nostro antifascismo, questa è l’idea di democrazia in cui vogliamo continuare a credere.

Enrico Palmas
Carlo Dore jr.

* contributo destinato al sito http://www.democraziaoggi.it/

giovedì, aprile 17, 2008


DAL “BIPARTITISMO ANOMALO” AL “BIPARTITISMO INCONCEPIBILE”


L’incubo che ha tormentato i progressisti italiani negli ultimi due anni si è ineluttabilmente concretizzato al termine dell’ennesima “Notte della Repubblica”, quando Walter Veltroni – attenendosi ad una prassi istituzionale osservata presso tutte le democrazie occidentali – si è presentato ai giornalisti per riconoscere una sconfitta che, proiezione dopo proiezione, assumeva le dimensioni di un’autentica disfatta: il Popolo delle Libertà ha vinto, il Caimano marcia di nuovo alla volta di Palazzo Chigi.
E così, mentre i quotidiani di tutto il Mondo dedicano pagine e pagine all’analisi di quella che viene ormai comunemente definita “l’anomalia italiana” - nel vano tentativo di comprendere le ragioni che hanno indotto gli elettori a rimettere per la terza volta le sorti nel Paese nelle mani del Cavaliere, malgrado le molteplici disavventure che avevano caratterizzato le sue precedenti performance di premier dilettante -, alcuni pretesi studiosi della politica nostrana non hanno mancato di rilevare “il buon risultato comunque riportato dal PD”, nel più generale quadro di semplificazione del panorama parlamentare determinatosi dopo il voto del 13 aprile.
Tuttavia, le vuote costruzioni dei tanti cantori della politica deideologizzata che in queste ore si alternano nei principali salotti delle emittenti televisive nazionali e locali non possono che cedere di fronte all’impietosa realtà dei numeri, da cui risulta per forza di cose come i progressisti italiani siano andati incontro ad una debacle di gran lunga più grave, per diversi ordini di ragioni, di quella sofferta nel maggio del 2001.
Costituisce ormai una realtà incontrovertibile l’affermazione secondo cui, nel corso della precedente esperienza di governo del centro-destra, la vera opposizione allo strapotere di Berlusconi non fu portata avanti dall’asfittico drappello di parlamentari ulivisti, in gran parte corresponsabili della folle stagione della Bicamerale e della conseguente resurrezione politica del Cavaliere, ma da quelle migliaia di persone che, garantendo la loro partecipazione alle Marce della pace, agli scioperi organizzati dalla CGIL, alle manifestazioni dei Girotondi, alle attività dei Comitati per la difesa della Costituzione, si mobilitarono coraggiosamente a difesa dei valori fondamentali della civiltà democratica.
Ora, dopo le troppe delusioni inferte dall’Unione al nucleo fondamentale del suo elettorato, ci si deve domandare se quelle stesse persone sarebbero di nuovo disposte ad invadere le piazze d’Italia per una nuova, snervante stagione di opposizione civile . Di più: nel procedere all’esame di un sistema politico che ha appena attraversato le secche del bipolarismo imperfetto per schiantarsi sull’iceberg di un bipartitismo anomalo (in quanto imperniato non sul naturale confronto tra un partito socialista ed una forza del centro moderato, ma sulla contrapposizione tra il neocentrismo di Veltroni e la destra radicale di Berlusconi, Fini e Bossi), ci si deve domandare se, una volta venuti meno i DS, il variegato gruppo dirigente del PD sarà in grado di programmare con la dovuta intransigenza ed efficacia questa nuova fase di battaglie democratiche.
Premesso che è lecito nutrire qualche dubbio sulle capacità di mobilitazione dei vari Colannino, Calearo e Ichino, il risultato elettorale pone la c.d. sinistra diffusa di fronte al più classico bivio: rimasta priva di una rappresentanza parlamentare degna di tal nome, quell’ampia fetta di elettorato progressista che, pur non condividendo il progetto iniziale, ha interpretato il proprio voto al nuovo soggetto politico esclusivamente come un voto “contro” il Caimano può ora scegliere di disperdersi in una molteplicità di partitini e movimenti privi di qualsiasi incisività sulla scena nazionale. Oppure, può utilizzare il peso della propria storia e delle proprie idee per orientare “verso sinistra” la politica del PD, favorendo in particolar modo il ricambio generazionale necessario per completare il superamento di quelle eterne oligarchie che, sconfitta dopo sconfitta, hanno contribuito in modo determinante a riconsegnare il Paese a Berlusconi. Al di là delle dichiarazioni di facciata, le determinazioni assunte a livello locale dimostrano come Veltroni sia consapevole di non poter fare a meno del contributo di questa fascia di elettorato: senza una forza progressista degna di tale nome, il bipartitismo “anomalo” rischia infatti di risolversi in un bipartitismo “inconcepibile”.

Carlo Dore jr.

sabato, aprile 05, 2008


VELTRONI, IL SUSSULTO DEMOCRATICO E LA TEORIA DEL “VOTO CONTRO”


Il comizio tenuto a Cagliari da Walter Veltroni ha costituito l’ennesimo momento poco significativo della campagna elettorale meno coinvolgente della storia repubblicana. Mentre la consueta schiera di dirigenti ulivisti si disponeva in ordine sparso tra le tante bandiere di Piazza Garibaldi, il Segretario del PD proponeva alla platea di elettori e simpatizzanti un discorso ispirato al consueto low profile, in cui le grandi questioni di rilevanza nazionale venivano esaminate da una prospettiva per lo più non condivisibile agli occhi di chi ancora si ritiene ancorato ai valori della “sinistra tradizionale”.
Tuttavia, le ultime note della canzone di Jovanotti (inopinatamente scelta come inno elettorale del nuovo partito) lasciavano nella piazza che si svuotava la triste eco di una domanda rimasta in sospeso, figlia illegittima dell’inevitabile sequenza di riflessioni al veleno che questa triste stagione di quaresima della politica fatalmente ispira. Coloro i quali hanno sposato sin dall’inizio il progetto volto alla creazione del Partito Democratico si sono di fatto dichiarati disposti a sacrificare le grandi ideologie del ‘900 sull’altare di un non ben definito modello di cambiamento, evidentemente ignari del fatto che l’attuazione di una reale strategia riformatrice non può esaurirsi nella creazione di una mera “facciata elettorale”, ma presuppone inoltre la formazione di una classe dirigente in grado di subentrare, una volta per sempre, a quella ristretta cerchia di oligarchi che da troppo tempo regge le sorti del centro-sinistra italiano.
Premesso che la candidatura di alcuni autorevolissimi esponenti della società civile costituisce solo il primo passo per il completamento di siffatta strategia, le ragioni di perplessità suscitate (con particolare riferimento alle materie della riforma della legge elettorale e del sistema delle intercettazioni telefoniche) dall’intervento di Veltroni in occasione della kermesse dei riformisti cagliaritani impongono la formulazione di quell’interrogativo a cui si è in precedenza fatto cenno: in assenza di un progetto politico degno di tale nome, come può un leader che non raccoglie nemmeno il totale sostegno del suo tradizionale elettorato superare le resistenze di quell’ampia fetta di indecisi, i cui voti incideranno in maniera forse determinante sull’esito delle elezioni?
In questo senso, un notevole contributo alle speranze di vittoria del PD potrebbe derivare dall’applicazione di quella che alcuni opinionisti hanno qualificato come la “teoria del voto contro”: trovandosi senza un partito da sostenere e senza un candidato premier in grado di rappresentarne adeguatamente le posizioni, è infatti auspicabile che soprattutto gli aderenti a quella fascia di elettorato progressista che continua a non riconoscersi nella politica del “ma-anchismo” decidano comunque di mobilitarsi al solo scopo di impedire il ritorno delle destre al potere.
Costituisce infatti una verità ormai incontrovertibile l’assunto in base al quale ai democratici italiani non è data la possibilità di impostare un confronto con un avversario del calibro di Angela Merkel, Mariano Rajoy o David Cameron, di condurre cioè un dibattito politico di alto profilo con gli esponenti di un autorevole partito conservatore. Essi viceversa si trovano, dalla metà degli anni’ 90, nell’infelice condizione di dover semplicemente combattere contro Berlusconi, influente cortigiano della Milano da bere postosi a capo di una variegata compagine di ex democristiani, ex socialisti ed ex missini che Gloria Buffo (in una nota intervista rilasciata a “L’Unità” nel luglio del 2001) non esitò a bollare come espressione di una “destra a-costituzionale”.
Sconfessando una volta di più il buonismo fine a sè stesso di quanti ancora si ostinano a negare che l’antiberlusconismo sia un valore, dinanzi alla prospettiva costituita dall’inesorabile trasformazione delle sedi istituzionali in rampe di lancio per veline dal sorriso facile, in centri di aggregazione per il manipolo di squadristi in doppio petto capitanati dal redivivo Ciarrapico o in fermate periferiche del treno scelto dal sempreverde Mauro Pili per il suo nuovo tour elettorale, lo spettro del Caimano può alla lunga costituire l’unico fattore idoneo ad innescare nel popolo della sinistra quel “sussulto democratico” necessario non solo per spingere la corsa di Veltroni lungo il tragitto che separa il Campidoglio da Palazzo Chigi, ma anche per procedere nella creazione di quella nuova classe dirigente che dovrà guidare i progressisti italiani nelle difficili sfide che questa delicata fase politica quotidianamente propone.

Carlo Dore jr.