giovedì, aprile 23, 2015

SENTINELLA, A CHE PUNTO E' LA NOTTE?

“Sentinella, a che punto è la notte?”. I militanti dell’area democratica, i tanti “partigiani della Costituzione” che si sono mobilitati a difesa dei principi della Carta hanno affidato mille volte la domanda del viandante di Isaia alle tenebre del ventennio berlusconiano, animati dalla speranza di trovare una sentinella in grado di rispondere loro che le tenebre stavano per lasciare spazio alla luce di una nuova stagione, di rassicurarli in ordine al fatto che l’alba stava per arrivare.  

“Sentinella, a che punto è la notte?”. E’ stata lunga, la notte che il berlusconismo ha imposto all’Italia: una notte scandita dal costante tentativo di imporre la voce del padrone sul sistema di garanzie delineato dai costituenti, di sospendere quel sistema di garanzie per favorire una pericolosa modificazione delle regole della dialettica democratica. Eppure, proprio l’esito del referendum confermativo del 2006 aveva idealmente certificato l’esistenza di un ampio schieramento di forze capace di individuare nella Costituzione la ragione fondante del suo proporsi quale credibile alternativa per il governo del Paese. Il sistema aveva ancora degli anticorpi, l’alba era davvero sul punto di sorgere.

“Sentinella, a che punto è la notte?”. Condanne, scandali, crisi economica e il normale incedere degli anni sembrano aver affidato una volta per sempre Berlusconi alle cure di amazzoni e servizi sociali; Forza Italia è diventata terra di conquista per ambiziosi cacicchi e clientes più o meno attempati; la componente più radicale della destra italiana trova nelle sortite di Salvini la propria unica valvola di sfogo. E allora, perché si continua a discutere di svolte autoritarie, di democrazia in pericolo, di apologia dell’Uomo solo al comando? Perché l’alba tarda tanto ad arrivare?

Forse, quegli anticorpi a cui si è poc’anzi fatto cenno non hanno impedito che il verbo berlusconiano contaminasse anche parte dell’area democratica, forse il ventennio appena concluso ha irreversibilmente stravolto i principi cardine del sistema politico italiano. Tanto basta a spiegare la lenta de-strutturazione dei partiti (che hanno dismesso la loro funzione di strumento di partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese, per assumere quella di semplice cassa di risonanza delle decisioni di un Capo), l’iper-personalizzazione della leadership – con gli amministratori locali spesso elevati all’impropria funzione di fantasiose icone popolari - , la trasformazione della militanza in brutale fidelizzazione, ispirata alla costante reiterazione del mantra “o con il principe, o traditore”. La semplificazione prevale sul ragionamento, gli slogan sui programmi di ampio respiro, lo scontro generazionale sterilizza il confronto delle idee: è la politica del nuovo millennio, osservano alcuni commentatori; è l’inizio della post-democrazia, rilevano altri.

“Sentinella, a che punto è la notte?”. Politica degli hastag o post-democrazia giustificano la graduale erosione della qualità democratica che caratterizza la stagione di riforme in atto, rendono quasi ineluttabile l’allontanamento dei depositari del potere politico dal sentiero tratteggiato dai costituenti. Le crisi di governo si consumano su twitter e non attraverso il voto parlamentare, il continuo ricorso alla questione di fiducia costituisce il normale strumento per rimuovere gli ostacoli che rallentano la marcia trionfale degli innovatori, l’immagine di Montecitorio ridotto a bivacco di manipoli sembra più una prospettiva da perseguire che una minaccia da scongiurare. Democrazia degli hastag, post-democrazia, o, se preferite, “democrazia decidente”: come prima e più di prima, pericolosamente imperniata sulla sublimazione della figura del “primus super pares”.

“Sentinella, a che punto è la notte?” Allora come ora, una parte dei democratici italiani cerca una sentinella che indichi la strada verso l’alba, che offra una prospettiva di cambiamento in attuazione di quel programma politico che dalla Costituzione è divisato. Ma la sentinella non può che fornire una risposta per certi versi meno incoraggiante di quella con cui viene congedato il viandante di Isaia: se volete interrogare, interrogate pure. Ma se aspettate l’alba, vi conviene tornare un’altra volta.


Carlo Dore jr.

venerdì, aprile 03, 2015

“LETTERA A UN FIGLIO SU MANI PULITE” Gherardo Colombo – Garzanti ed. – pp. 1-94

<<Perché ha vinto la cultura della corruzione rispetto alla cultura della Costituzione? Perché hanno vinto le regole secondo le quali la funzione pubblica viene esercitata per ottenere privilegi per sé e per coloro che fanno parte del sistema anziché nell’interesse di tutta la comunità? Io credo che le regole di Tangentopoli abbiano prevalso perché non è attraverso un processo penale che si può risolvere un problema endemico come la corruzione in Italia. Le indagini di Mani Pulite hanno infatti contribuito a svelare un sistema sommerso ma incredibilmente diffuso, rispetto al quale il processo penale può solo dare risposte specifiche su quel che è già successo. Altri avrebbero dovuto assumersi la responsabilità di prevenirlo>>.

Tangentopoli, ventitre anni dopo: il pamphlet di Gherardo Colombo ripercorre le tappe fondamentali di una rivoluzione mancata, raccontando le speranze e le delusioni intrecciate dai destini dei protagonisti dell’indagine che davvero poteva cambiare l’Italia. “Lettera a un figlio su mani pulite” non offre solamente un lucido spaccato del clima da basso impero che ha fatto da contorno al crepuscolo della Milano da bere, la descrizione obiettiva del sistema di corruzione istituzionalizzata che ha travolto la Prima Repubblica: no, questo libro è qualcosa di più, e, per certi versi, qualcosa di peggio. E’ il ritratto impietoso di un Paese incapace di autoriformarsi, è il filo rosso che disvela la connessione mai interrotta tra un passato da non dimenticare e un presente senza speranza.

Cosa è stata Mani Pulite? E’ stata la scintilla che poteva bruciare la prateria: è stata l’arresto di Mario Chiesa, avvenuto in un coriandolio di mazzette umide esplose dalle tubature del Pio Albergo Trivulzio. E’ stata “l’isolata mela marcia” che ha deciso di rivelare i segreti del resto del cestino; è stata la ricostruzione del sistema di potere governato dalla logica della “dazione ambientale”: la corruzione era divenuta regola inderogabile, tutti pagavano perché le tangenti erano considerate “fisiologicamente” dovute.

La gente trasudava rabbia e indignazione, i magistrati vennero (loro malgrado) eletti a nuovi eroi popolari: l’invettiva di Craxi contro il sistema dei partiti finì sommersa sotto un mare di monetine, il volto terreo di Forlani inchiodato al banco dei testimoni divenne l’icona di una classe dirigente al capolinea. Condanna dopo condanna, patteggiamento dopo patteggiamento, prescrizione dopo prescrizione, la Prima Repubblica era pronta a collassare, gli equilibri insuperabili che per mezzo secolo avevano retto le sorti del Paese venivano di colpo spazzati via da un irrefrenabile afflato legalitario. Questa è stata, Mani Pulite: un indagine giudiziaria, che alimentava il sogno di un’Italia diversa.

Poi, cosa è successo? Cosa ha trasformato quel sogno in una rivoluzione mancata? Perché la corruzione ha prevalso sulla cultura della Costituzione? E’ successo che il favor populi  verso l’azione degli inquirenti è venuto meno quando le inchieste hanno iniziato ad investire, oltre ai grandi della politica, anche quei tanti cittadini comuni che del sistema della dazione ambientali erano comprimari o testimoni consapevoli; è successo che il vento del cambiamento è stato intercettato non dagli epigoni della questione morale, ma dagli stessi grand commis della Milano da bere, abili nel trasformare, agli occhi dell’opinione pubblica, le indagini del pool di Borrelli in una violenta battaglia politica, mobilitando il Paese in una sorta di conflitto permanente tra i guelfi della legalità e i ghibellini dell’impunità. E’ successo, più in generale, che una politica incapace di autoriformarsi ha di fatto integralmente demandato alla magistratura l’improprio ruolo di forza moralizzatrice della res publica: l’area del “moralmente inaccettabile” è stata artificiosamente obliterata in quella del “non penalmente rilevante”, e lo strumento legislativo è stato spesso utilizzato non per favorire l’attuazione dell’interesse generale, ma per garantire la conservazione di privilegi e immunità.

Il resto è cronaca: dalla “cricca degli appalti” alla rete della P4, il sistema della dazione ambientale sembra avere recuperato la sua originaria efficienza, e della stagione di Mani Pulite rimane solo il ricordo, che le pagine di Colombo saldano alla stretta attualità. Il ricordo di una stagione attraversata dal sogno di un Paese diverso; il rimpianto, intenso e bruciante, che accompagna ogni rivoluzione mancata.
Carlo Dore jr.

(cagliari.globalist.it)