sabato, marzo 23, 2013

TOCCA A PIERLUIGI, MAGO A META'


Pierluigi Bersani percorre in solitudine la discesa che, dal Quirinale, si dipana verso l'ingresso della Camera dei Deputati: in solitudine, con la consapevolezza che solo una magia potrà favorire l'ascesa dei progressisti al governo di un Paese attanagliato dall'autoritarismo egocratico di Berlusconi e dal populismo reazionario di Grillo; in solitudine, affidando le speranze di cambiamento di un popolo intero alla luce che muore tra i tetti di Roma; in solitudine, con le mille fazioni di un partito mai unito pronte a rivendicare lo scalpo di un segretario troppo “a sinistra” per farsi amare dai cantori del nuovo che avanza; in solitudine, come chi combatte da anni con l'ingrata (e forse ingenerosa) etichetta di “mago a metà”.
            Pierluigi, mago a metà: abile ad intuire per primo i rischi insiti nella strategia veltroniana del partito liquido, ma non abbastanza deciso nel contrastare la corsa dell'ex sindaco di Roma alla guida del partito; determinante per porre fine all'ultima epopea berlusconiana, ma poco risoluto nell'orientare la gelida azione dei tecnici di governo; risoluto nel neutralizzare l’intifada dei rottamatori, ma poco incisivo nel momento di sovrapporre la serietà della sua proposta politica ai latrati del duetto tra comici. La magia inizia, ma pare spezzarsi sul più bello: serietà e competenza non sembrano argomenti paganti nell'epoca della politica-spettacolo, e Pierluigi si ritrova da solo, a fare i conti con la maledizione del mago a metà.
            Mentre completa il percorso tra il Quirinale e Montecitorio, Bersani inizia ad esplorare le macerie di un sistema politico prossimo al collasso: Renzi affila le armi, in attesa di un'altra rottamazione annunciata; Grillo scaglia l'ennesimo anatema via web, scatenando gli istinti bellicosi dei suoi sempre meno convinti adepti; Berlusconi risfodera la maschera dello statista per proporre un altro patto scellerato, manifestando la disponibilità a barattare un pugno di voti con un salvacondotto in grado di paralizzare definitivamente l'azione delle Procure. Il mago a metà scuote la testa, indifferente ai malumori della sempre più nutrita pattuglia di dissidenti: le istituzioni non sono un mercato delle vacche, con il PDL non possiamo trattare.
            Ma i numeri continuano a palesare la cruda realtà dei fatti: sulla carta, la maggioranza proprio non c'è, per governare serve una magia. Bersani lancia un'altra occhiata verso il cielo di Roma: la luce non è ancora scomparsa del tutto, un filo di speranza è ancora intatto. Bisogna tentare, vale la pena di tentare: lo chiedono i militanti presentatisi in massa alle primarie per rivendicare l'orgoglio che deriva dall'appartenenza ad una storia collettiva; lo chiedono i milioni di cittadini che, sostenendo il Partito democratico, hanno dimostrato di credere che il modello di “Italia giusta” declinato durante la campagna elettorale coincidesse con la prospettiva di un'Italia migliore; lo chiede un Paese costretto a vivere da anni sul baratro di una crisi senza ritorno, pericolosamente sospeso tra la prospettiva di una svolta democratica e quella, assai più inquietante, di una deriva autoritaria.
            E allora, avanti con gli otto punti: avanti con un programma  ispirato ai valori della legalità, della moralità e della giustizia sociale, avanti con il tentativo di coinvolgere le coscienze libere presenti tra gli scranni di Palazzo Madama in un progetto di cambiamento non più derubricabile a mero libro dei sogni. Coinvolgere le coscienze libere in un effettivo progetto di cambiamento: sarebbe una magia. Tocca Pierluigi, mago a metà.

Carlo Dore jr.
(articolo pubblicato su cagliari.globalist.it).

venerdì, marzo 01, 2013

LA FUGA DELL’ETICA DALLA PIAZZA CHE VUOLE I COLONNELLI

La notizia è di quelle destinate a terremotare il sistema politico di qualunque democrazia occidentale: Sergio Di Gregorio – il rubicondo senatore napoletano, già presidente della Commissione difesa di Palazzo Madama e leader dell’associazione “Italiani nel Mondo” – confessa di avere ricevuto, nel non lontano 2006, tre milioni di euro per transitare da IDV al PDL, facendo così mancare il suo appoggio al traballante esecutivo allora presieduto da Romano Prodi. Delegato al pagamento: Walter Lavatola, insostituibile factotum tra Arcore e Palazzo Grazioli e infaticabile globe trotter verso l’oceano di Santa Lucia; committente, per forza di cose, Silvio Berlusconi, che nella forza persuasiva del suo immenso potere economico ha da sempre individuato lo strumento privilegiato di moltiplicazione dei propri consensi.

Miliardari e faccendieri, banconote che girano e senatori a la carte, la magistratura che indaga sulla base di una confessione: sarebbe legittimo aspettarsi una massa di gente indignata che invade le piazze invocando giustizia e legalità, sarebbe legittimo aspettarsi una presa di distanza da parte dei vari esponenti del PDL rispetto alle logiche padronali del loro capo politico, sarebbe legittimo attendersi una netta mobilitazione, da parte di tutte le istituzioni, a presidio dell’autonomia degli inquirenti.

Sarebbe legittimo aspettarsi un sussulto di etica: ovunque, ma non qui, non da noi. Non in questa Italia, all’indomani di un voto che ha confermato la scarsa qualità democratica di un Paese soggiogato dal culto dell’Uomo forte; non in questa Italia, in cui le grandi questioni della lotta alla corruzione e della moralità politica sono violentemente oscurate dalle gag sul rimborso dell’Imu e del reddito di cittadinanza; non in questa Italia, dove la comprensione dei principi costituzionali è diventata un lusso per pochi, dove i richiami alla difesa della legalità svaniscono in un florilegio di battute da osteria.

La piazza si schiera, ma dalla parte sbagliata: l’arroganza del corruttore viene accolta con un misto di applausi e grasse risate. La piazza sghignazza e tuona: non vogliamo serietà, non vogliamo legalità, vogliamo i colonnelli contro il cancro della magistratura bolscevica.

L’etica è fuggita, vogliamo i colonnelli.

Si mobilita l’ANM, offesa e annoiata dall’ennesima batteria di insulti sparati via etere dagli oplites del Cavaliere; si mobilitano le Associazioni, da sempre in prima linea per riaffermare l’attualità dei principi della Carta fondamentale; si mobilitano i militanti del centro-sinistra, ostili a qualunque forma di compromesso con quanti basano il consenso politico sulle varie forme di delegazione di pagamento, degradando il dibattito parlamentare a squallido baratto da fiera domenicale.

Ci mobilitiamo tutti, come nel 2001, come nel 2009, come sempre in questi vent’anni. Ci mobilitiamo tutti, ma la nostra disperata richiesta di etica risuona sempre più flebile nella piazza occupata militarmente dalle truppe di questo o di quell’uomo forte, avide di proposte ad effetto, di slogan urlati a pieni polmoni, di barzellette fuori posto. E inizia ad insinuarsi tra di noi, gelida ed incalzante, l’ombra di un sospetto: che l’etica abbia definitivamente abbandonato questo povero paese privo di qualità democratica; che per l’etica non ci sia più posto nella piazza che vuole i colonnelli.

Carlo Dore jr.

(Articolo pubblicato su cagliari.globalist.it )