PIAZZA NORMALE E OPPOSIZIONE ANORMALE
Le prevedibili polemiche che hanno fatto seguito alla manifestazione organizzata da Micromega e dal Movimento dei Girotondi per protestare contro le “leggi-canaglia” elaborate dal Governo - Berlusconi in questo primo scorcio di legislatura impongono una seria riflessione sul rapporto tra l’opposizione parlamentare e quella che viene tradizionalmente definita come “l’opposizione di piazza”, da considerare nella sua dimensione non contaminata dal qualunquismo fine a sé stesso di qualche comico riciclatosi nell’impegnativo ruolo di Savonarola del Terzo Millennio.
Scegliendo di non prendere parte “gratuitamente” a “manifestazioni organizzate da altri” (intendendo per “altri” anche intellettuali del calibro di Flores d’Arcais, Andrea Camilleri o Furio Colombo, i quali non hanno mai fatto mancare in questi anni il loro prezioso contributo di idee e proposte alla causa del centro-sinistra italiano), Veltroni ha confermato l’intendimento di “superare la stagione delle eterne contrapposizioni”, di proporre un modello di opposizione riformista che rifiuta il clima proprio di un’eterna emergenza democratica.
Tuttavia, l’appuntamento di Piazza Navona, debitamente emendato dalle incursioni di Beppe Grillo, ha messo in evidenza una realtà di cui la parte migliore del popolo progressista sembra avere ormai preso ampiamente coscienza: ad un’opposizione che vorrebbe essere “normale ed europea” si contrappone da quasi un ventennio una maggioranza guidata da un leader più adatto (parafrasando le parole di Marco Travaglio) allo Stato Libero di Bananas che ad una moderna democrazia occidentale. Esaltazione della Voce del Principe, Parlamento asservito alla volontà dell’Esecutivo, istituzioni di garanzia ridotte ad silenzio, compagnie di comici ingaggiate per allietare i vertici internazionali, magistrati definiti come “metastasi” del Paese, veline dal sorriso di cartapesta investite di incarichi ministeriali: quale “tela del dialogo” si può tessere in un simile status quo? Cosa c’è di “normale” nel regno del Caimano? La risposta è: nulla, nemmeno l’opposizione.
Dopo cinque durissimi anni di battaglie movimentiste incentrate proprio sui temi della giustizia e della legalità, all’indomani della vittoria del 2006 l’elettorato del centro-sinistra attendeva dall’Unione una svolta netta in ordine alle materie appena richiamate: una svolta che doveva passare attraverso l’adozione di tre provvedimenti fondamentali come l’abrogazione delle leggi ad personam, l’approvazione di una legge in grado di dirimere una volta per sempre ogni possibile ipotesi di conflitto di interessi, l’elaborazione di una disciplina idonea a regolamentare in maniera seria il mercato radio-televisivo. Ma le vicende che hanno condotto alla rapida conclusione della precedente legislatura non hanno assecondato queste concrete prospettive di cambiamento: è stato approvato l’indulto ma non sono state cancellate le leggi vergogna, e la discussione sul conflitto di interessi è stata ben presto sacrificata sull’altare delle sterili polemiche relative ai DICO ed al rifinanziamento della missione afgana.
Morale: Berlusconi è tornato a Palazzo Chigi, seguito da quell’eterna emergenza democratica che per forza di cose contraddistingue ogni esperienza di governo in cui l’interesse dell’Uomo solo al comando è destinato a prevalere sull’interesse generale. Berlusconi è tornato, ed il centro-sinstra non c’è più, rimpiazzato da un partito indecifrabile che – diviso tra loft, caminetti, correnti, fondazioni ed associazioni – risulta del tutto privo di canali di collegamento con la società civile, ed in particolare con quella fetta di elettorato progressista la quale, lungi dal recepire la logica del ma-anchismo, continua ad individuare nelle materie della giustizia e della questione morale il vero elemento di discontinuità rispetto al vangelo imposto dal demiurgo di Arcore.
Privata di un partito in grado di rappresentarne con incisività gli orientamenti, questa fascia di popolo della sinistra non può che rivolgersi alla Piazza per gridare la propria indignazione nel lungo inverno della politica italiana, indignazione che traspare dalle poesie incivili di Andrea Camilleri, dalle acute analisi di Marco Travaglio, dalle vibranti considerazioni di Furio Colombo e Paolo Flores d’Arcais. Ma a chi di politica vive e a chi alla politica non riesce a non appassionarsi resta pur sempre l’amarezza figlia di un’ultima considerazione al veleno: nel regno del Caimano, solamente la Piazza sembra essere rimasta normale.
Carlo Dore jr.
Le prevedibili polemiche che hanno fatto seguito alla manifestazione organizzata da Micromega e dal Movimento dei Girotondi per protestare contro le “leggi-canaglia” elaborate dal Governo - Berlusconi in questo primo scorcio di legislatura impongono una seria riflessione sul rapporto tra l’opposizione parlamentare e quella che viene tradizionalmente definita come “l’opposizione di piazza”, da considerare nella sua dimensione non contaminata dal qualunquismo fine a sé stesso di qualche comico riciclatosi nell’impegnativo ruolo di Savonarola del Terzo Millennio.
Scegliendo di non prendere parte “gratuitamente” a “manifestazioni organizzate da altri” (intendendo per “altri” anche intellettuali del calibro di Flores d’Arcais, Andrea Camilleri o Furio Colombo, i quali non hanno mai fatto mancare in questi anni il loro prezioso contributo di idee e proposte alla causa del centro-sinistra italiano), Veltroni ha confermato l’intendimento di “superare la stagione delle eterne contrapposizioni”, di proporre un modello di opposizione riformista che rifiuta il clima proprio di un’eterna emergenza democratica.
Tuttavia, l’appuntamento di Piazza Navona, debitamente emendato dalle incursioni di Beppe Grillo, ha messo in evidenza una realtà di cui la parte migliore del popolo progressista sembra avere ormai preso ampiamente coscienza: ad un’opposizione che vorrebbe essere “normale ed europea” si contrappone da quasi un ventennio una maggioranza guidata da un leader più adatto (parafrasando le parole di Marco Travaglio) allo Stato Libero di Bananas che ad una moderna democrazia occidentale. Esaltazione della Voce del Principe, Parlamento asservito alla volontà dell’Esecutivo, istituzioni di garanzia ridotte ad silenzio, compagnie di comici ingaggiate per allietare i vertici internazionali, magistrati definiti come “metastasi” del Paese, veline dal sorriso di cartapesta investite di incarichi ministeriali: quale “tela del dialogo” si può tessere in un simile status quo? Cosa c’è di “normale” nel regno del Caimano? La risposta è: nulla, nemmeno l’opposizione.
Dopo cinque durissimi anni di battaglie movimentiste incentrate proprio sui temi della giustizia e della legalità, all’indomani della vittoria del 2006 l’elettorato del centro-sinistra attendeva dall’Unione una svolta netta in ordine alle materie appena richiamate: una svolta che doveva passare attraverso l’adozione di tre provvedimenti fondamentali come l’abrogazione delle leggi ad personam, l’approvazione di una legge in grado di dirimere una volta per sempre ogni possibile ipotesi di conflitto di interessi, l’elaborazione di una disciplina idonea a regolamentare in maniera seria il mercato radio-televisivo. Ma le vicende che hanno condotto alla rapida conclusione della precedente legislatura non hanno assecondato queste concrete prospettive di cambiamento: è stato approvato l’indulto ma non sono state cancellate le leggi vergogna, e la discussione sul conflitto di interessi è stata ben presto sacrificata sull’altare delle sterili polemiche relative ai DICO ed al rifinanziamento della missione afgana.
Morale: Berlusconi è tornato a Palazzo Chigi, seguito da quell’eterna emergenza democratica che per forza di cose contraddistingue ogni esperienza di governo in cui l’interesse dell’Uomo solo al comando è destinato a prevalere sull’interesse generale. Berlusconi è tornato, ed il centro-sinstra non c’è più, rimpiazzato da un partito indecifrabile che – diviso tra loft, caminetti, correnti, fondazioni ed associazioni – risulta del tutto privo di canali di collegamento con la società civile, ed in particolare con quella fetta di elettorato progressista la quale, lungi dal recepire la logica del ma-anchismo, continua ad individuare nelle materie della giustizia e della questione morale il vero elemento di discontinuità rispetto al vangelo imposto dal demiurgo di Arcore.
Privata di un partito in grado di rappresentarne con incisività gli orientamenti, questa fascia di popolo della sinistra non può che rivolgersi alla Piazza per gridare la propria indignazione nel lungo inverno della politica italiana, indignazione che traspare dalle poesie incivili di Andrea Camilleri, dalle acute analisi di Marco Travaglio, dalle vibranti considerazioni di Furio Colombo e Paolo Flores d’Arcais. Ma a chi di politica vive e a chi alla politica non riesce a non appassionarsi resta pur sempre l’amarezza figlia di un’ultima considerazione al veleno: nel regno del Caimano, solamente la Piazza sembra essere rimasta normale.
Carlo Dore jr.
Nessun commento:
Posta un commento