CRAXI, BERLINGUER E IL “PANTHEON DELLA MEMORIA”
La proposta del Sindaco di Milano Letizia Moratti di intitolare una strada a Bettino Craxi ha contribuito a riaccendere, in seno all’opinione pubblica, il dibattito sulla figura dell’ex segretario socialista e sull'opportunità di procedere ad una “revisione” di alcune fasi della stagione politica in cui egli si trovò ad operare.
La posizione di quanti affermano la necessità di “riabilitare” la figura di Craxi, di scindere l'analisi politica dalle vicende giudiziarie, di riconoscerne il ruolo di leader indiscusso di una pretesa “sinistra moderna” si colloca in verità nella più generale ed italianissima tendenza a riscrivere la storia, nel tentativo di sovrapporne artificiosamente le pagine così da trasformare i colpevoli in innocenti, gli sconfitti in vincitori, gli eroi in carnefici, i corruttori in benefattori, i corrotti in integerrimi difensori dell'ordinamento democratico.
Al fine di eludere questa strana tendenza, si deve in primo luogo osservare come ogni analisi relativa alla figura dell'ex Presidente del Consiglio non può che muovere dalle due sentenze aventi l'efficacia del giudicato, mediante cui dei giudici terzi ed imparziali lo hanno condannato ad una pena complessiva di quasi dieci anni di reclusione. Posto dunque che i risultati delle indagini di quegli stessi Pubblici Ministeri di cui oggi si critica duramente l'operato – lungi dall'esaurirsi in un mero teorema ordito in danno di una classe dirigente illuminata da un manipolo di toghe militanti - hanno trovato ampi riscontri in sede dibattimentale, l'operazione (di chiara matrice berlusconiana) volta a gettare un'ombra sulle inchieste del Pool di Mani Pulite appare per certi versi poco obiettiva, per altri tremendamente pericolosa.
Poco obiettiva, in quanto riduce alla semplice condizione di “braccio armato” della sinistra post-comunista un gruppo di magistrati dimostratisi in grado di svolgere, a prescindere dalla particolare condizione degli indagati, le loro funzioni con l'indipendenza e l'autonomia richieste dalla Carta Fondamentale. Pericolosa, perché mira ad occultare sotto il fuoco della polemica politica il quadro complessivo che emerge dalle indagini della Procura milanese.
Testimonianza dopo testimonianza, perquisizione dopo perquisizione, verbale dopo verbale, il Pool di Borrelli e D'Ambrosio giunse a disvelare l'esistenza di un sistema di corruzione istituzionalizzata talmente da radicato nel Paese da diventare il volano stesso di parte della nostra economia; un sistema in cui risultavano coinvolti politici troppo disinvolti, imprenditori senza scrupoli, manager con patrimoni a dodici zeri, faccendieri, nani e ballerine oggi riciclatisi in massima parte sotto le insegne del “Partito dell'amore”. Di questo sistema tutte le forze del pentapartito (imperniato sull'asse Craxi – Andreotti – Forlani) erano parte integrante; a questo sistema il PCI di Berlinguer tentò strenuamente di opporsi, rilanciando la cultura della diversità che doveva caratterizzare la sinistra della questione morale rispetto ai protagonisti della Milano da bere.
Eppure, sotto il confuso cielo della politica deideologizzata che accompagna l'aurora del nuovo millennio, sono in tanti, anche nell'area democratica, a voler riscrivere questa strana storia, riscattandola dalle tenebre della Notte della Repubblica: Tangentopoli non è mai esistita, o se è esistita, rappresenta una stagione di furore giustizialista da dimenticare in fretta, in nome di una rinnovata concordia nazionale; Craxi era il geniale precursore della moderna socialdemocrazia, Berlinguer un grigio moralista votato all'eterna sconfitta; nel pantheon del PD, messo insieme nel 2007 da Veltroni e Fassino attraverso criteri di selezione quantomeno rivedibili, c'è posto per Bettino, non per Enrico.
Ma sempre, nell'area democratica, sono in tanti a credere nella forza della memoria, a continuare a mettere in fila i fatti per cercare di non perdere di vista il filo rosso che li tiene uniti, a rinnegare il revisionismo per poter ancora gridare, con le parole del poeta delle “Ceneri di Gramsci”, che loro sanno.
Sanno cosa è stata Tangentopoli, e cosa i giudici hanno accertato a seguito delle inchieste dei PM di Mani Pulite; sanno che Craxi non è un esule, e che Berlinguer non è uno sconfitto; sanno emozionarsi al ricordo della sinistra della questione morale, e sanno indignarsi di fronte alla degradazione di partiti dal passato glorioso alla triste condizione di macchine di potere, rimarcata dalla furia di una pioggia di monetine nel freddo di una notte di gennaio. Sanno che, nel loro personale Pantheon, tra Turati e i fratelli Rosselli, tra Gramsci e Pertini, Nenni e Amendola, c'è posto per Enrico e non per Bettino.
Sanno che la forza della memoria può superare la tendenza a “revisionare”, “rivedere”, “riscrivere”, “riabilitare”; sanno che dalla forza della memoria può sempre provenire un barlume di speranza: anche per questa povera sinistra, anche in questa povera Italia.
Carlo Dore jr.
La proposta del Sindaco di Milano Letizia Moratti di intitolare una strada a Bettino Craxi ha contribuito a riaccendere, in seno all’opinione pubblica, il dibattito sulla figura dell’ex segretario socialista e sull'opportunità di procedere ad una “revisione” di alcune fasi della stagione politica in cui egli si trovò ad operare.
La posizione di quanti affermano la necessità di “riabilitare” la figura di Craxi, di scindere l'analisi politica dalle vicende giudiziarie, di riconoscerne il ruolo di leader indiscusso di una pretesa “sinistra moderna” si colloca in verità nella più generale ed italianissima tendenza a riscrivere la storia, nel tentativo di sovrapporne artificiosamente le pagine così da trasformare i colpevoli in innocenti, gli sconfitti in vincitori, gli eroi in carnefici, i corruttori in benefattori, i corrotti in integerrimi difensori dell'ordinamento democratico.
Al fine di eludere questa strana tendenza, si deve in primo luogo osservare come ogni analisi relativa alla figura dell'ex Presidente del Consiglio non può che muovere dalle due sentenze aventi l'efficacia del giudicato, mediante cui dei giudici terzi ed imparziali lo hanno condannato ad una pena complessiva di quasi dieci anni di reclusione. Posto dunque che i risultati delle indagini di quegli stessi Pubblici Ministeri di cui oggi si critica duramente l'operato – lungi dall'esaurirsi in un mero teorema ordito in danno di una classe dirigente illuminata da un manipolo di toghe militanti - hanno trovato ampi riscontri in sede dibattimentale, l'operazione (di chiara matrice berlusconiana) volta a gettare un'ombra sulle inchieste del Pool di Mani Pulite appare per certi versi poco obiettiva, per altri tremendamente pericolosa.
Poco obiettiva, in quanto riduce alla semplice condizione di “braccio armato” della sinistra post-comunista un gruppo di magistrati dimostratisi in grado di svolgere, a prescindere dalla particolare condizione degli indagati, le loro funzioni con l'indipendenza e l'autonomia richieste dalla Carta Fondamentale. Pericolosa, perché mira ad occultare sotto il fuoco della polemica politica il quadro complessivo che emerge dalle indagini della Procura milanese.
Testimonianza dopo testimonianza, perquisizione dopo perquisizione, verbale dopo verbale, il Pool di Borrelli e D'Ambrosio giunse a disvelare l'esistenza di un sistema di corruzione istituzionalizzata talmente da radicato nel Paese da diventare il volano stesso di parte della nostra economia; un sistema in cui risultavano coinvolti politici troppo disinvolti, imprenditori senza scrupoli, manager con patrimoni a dodici zeri, faccendieri, nani e ballerine oggi riciclatisi in massima parte sotto le insegne del “Partito dell'amore”. Di questo sistema tutte le forze del pentapartito (imperniato sull'asse Craxi – Andreotti – Forlani) erano parte integrante; a questo sistema il PCI di Berlinguer tentò strenuamente di opporsi, rilanciando la cultura della diversità che doveva caratterizzare la sinistra della questione morale rispetto ai protagonisti della Milano da bere.
Eppure, sotto il confuso cielo della politica deideologizzata che accompagna l'aurora del nuovo millennio, sono in tanti, anche nell'area democratica, a voler riscrivere questa strana storia, riscattandola dalle tenebre della Notte della Repubblica: Tangentopoli non è mai esistita, o se è esistita, rappresenta una stagione di furore giustizialista da dimenticare in fretta, in nome di una rinnovata concordia nazionale; Craxi era il geniale precursore della moderna socialdemocrazia, Berlinguer un grigio moralista votato all'eterna sconfitta; nel pantheon del PD, messo insieme nel 2007 da Veltroni e Fassino attraverso criteri di selezione quantomeno rivedibili, c'è posto per Bettino, non per Enrico.
Ma sempre, nell'area democratica, sono in tanti a credere nella forza della memoria, a continuare a mettere in fila i fatti per cercare di non perdere di vista il filo rosso che li tiene uniti, a rinnegare il revisionismo per poter ancora gridare, con le parole del poeta delle “Ceneri di Gramsci”, che loro sanno.
Sanno cosa è stata Tangentopoli, e cosa i giudici hanno accertato a seguito delle inchieste dei PM di Mani Pulite; sanno che Craxi non è un esule, e che Berlinguer non è uno sconfitto; sanno emozionarsi al ricordo della sinistra della questione morale, e sanno indignarsi di fronte alla degradazione di partiti dal passato glorioso alla triste condizione di macchine di potere, rimarcata dalla furia di una pioggia di monetine nel freddo di una notte di gennaio. Sanno che, nel loro personale Pantheon, tra Turati e i fratelli Rosselli, tra Gramsci e Pertini, Nenni e Amendola, c'è posto per Enrico e non per Bettino.
Sanno che la forza della memoria può superare la tendenza a “revisionare”, “rivedere”, “riscrivere”, “riabilitare”; sanno che dalla forza della memoria può sempre provenire un barlume di speranza: anche per questa povera sinistra, anche in questa povera Italia.
Carlo Dore jr.
Nessun commento:
Posta un commento