PICCOLA STORIA IGNOBILE
"Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare: così solita e banale come tante. Che non merita nemmeno due colonne su un giornale, o una musica, o parole un po' rimate: che non merita nemmeno l'attenzione della gente, tante cose più importanti hanno da fare..."
Le parole di Francesco Guccini, provenienti dal lontano 1976, introducono il racconto di questa ennesima piccola storia ignobile dell'Italietta berlusconiana, solita e banale come tutte le altre vicende a cui siamo stati costretti ad assistere in questi anni, ora manifestando sconcerto, ora rassegnazione, ora speranza, ora un disperato desiderio di reazione.
E' la storia di una lista presentata, ritirata, e poi ripresentata fuori tempo massimo, quando l'ufficio elettorale aveva già chiuso i battenti. E' la storia di una candidata sull'orlo di una crisi di nervi che apostrofa con un inequivocabile “manica di imbecilli” gli autori del colossale papocchione; di firme non riscontrate e di timbri non visibili; di una piazza gremita di neo-fascisti urlanti che scandiscono ossessivamente lo slogan “boia chi molla!” sotto la pioggia gelida da cui sono sferzati i tetti di Roma.
L'epilogo di questa storia dovrebbe essere scontato: ci si aspetta che le liste irregolari risultino escluse dalla competizione elettorale; che il leader del partito estromesso dalle elezioni pretenda la testa dei dirigenti dimostratisi incapaci di assolvere al loro compito se non con efficienza, quantomeno con dignità; che i responsabili dell'autogol vengano identificati ed esposti alla reazione degli elettori inferociti.
Tuttavia, questo lineare percorso logico collide con la strana realtà di fatto che al momento caratterizza un Paese alla deriva: le liste indubbiate non sono liste qualsiasi, sono le liste del Partito del Capo, di un partito che da anni declina una concezione della politica in forza della quale la cultura delle regole, il rispetto degli equilibri tra le Istituzioni, l'autonomia dei garanti sono costantemente sopraffatte dal risuonare della voce del Princeps, sempre amplificata dall'immancabile coro a bocca chiusa condotto da giornalisti asserviti, solerti scherani, intellettuali fasulli, sottoposti più o meno ambiziosi. Le regole si cambiano, la Costituzione si aggira, le garanzie si sabotano, le Istituzioni si attaccano: conta solo la voce del Princeps, conta solo ciò che lui impone o vieta.
E così, al termine dell'ultima delle tante notti dai lunghi coltelli che hanno scandito l'evoluzione della Seconda Repubblica, ecco che il Princeps promette e minaccia, programma e smentisce, e alla fine vede e provvede: arriva il decreto che sana le irregolarità, che cancella i ritardi e le omissioni, che consente a dirigenti e candidati di tirare il classico sospiro di sollievo, che restituisce il fiato ai neofascisti congelati dall'incessante pioggia romana. Il tutto, come da copione, in ragione della suprema necessità di tutelare il supremo diritto (invero, mai messo in discussione) dei cittadini di esprimere correttamente il loro voto.
Ora, mentre quest'ultima piccola storia ignobile trova rapidamente il suo epilogo, mentre il popolo viola invade le piazze e mentre l'opposizione si prepara all'ennesima battaglia democratica, non è forse più il caso di evidenziare ancora una volta i molteplici profili di illegittimità che contraddistinguono un provvedimento volto semplicemente a realizzare l'ennesimo abuso di potere. Per quanti individuano nella Costituzione il substrato fondamentale del proprio pensiero politico, rimane spazio solo per un ultimo, disperato grido di indignazione: di quella indignazione sottile e fastidiosamente abituale accumulata in occasione della vicenda di Eluana Englaro e dell'approvazione del Lodo Alfano, dello scandalo della Protezione Civile e della Vallettopoli del potere.
E' l'indignazione di chi fatica a riconoscersi in un Paese ormai privato dei tradizionali punti di riferimento che governano la normale convivenza democratica, dove – volendo riproporre le parole di Gustavo Zagrebelsky – “le Leggi con la maiuscola” sono state “piegate a interessi partigiani perché chi dispone della forza dei numeri ritiene di poter piegare a fini propri anche il più pubblico degli atti”.E' l'indignazione di chi proprio non si rassegna a dover fungere da silente comparsa in una delle solite, banali, piccole storie ignobili che il risuonare della voce del Principe quotidianamente impone agli assuefatti reduci di questa povera, triste Italietta berlusconiana.
Carlo Dore jr.
Le parole di Francesco Guccini, provenienti dal lontano 1976, introducono il racconto di questa ennesima piccola storia ignobile dell'Italietta berlusconiana, solita e banale come tutte le altre vicende a cui siamo stati costretti ad assistere in questi anni, ora manifestando sconcerto, ora rassegnazione, ora speranza, ora un disperato desiderio di reazione.
E' la storia di una lista presentata, ritirata, e poi ripresentata fuori tempo massimo, quando l'ufficio elettorale aveva già chiuso i battenti. E' la storia di una candidata sull'orlo di una crisi di nervi che apostrofa con un inequivocabile “manica di imbecilli” gli autori del colossale papocchione; di firme non riscontrate e di timbri non visibili; di una piazza gremita di neo-fascisti urlanti che scandiscono ossessivamente lo slogan “boia chi molla!” sotto la pioggia gelida da cui sono sferzati i tetti di Roma.
L'epilogo di questa storia dovrebbe essere scontato: ci si aspetta che le liste irregolari risultino escluse dalla competizione elettorale; che il leader del partito estromesso dalle elezioni pretenda la testa dei dirigenti dimostratisi incapaci di assolvere al loro compito se non con efficienza, quantomeno con dignità; che i responsabili dell'autogol vengano identificati ed esposti alla reazione degli elettori inferociti.
Tuttavia, questo lineare percorso logico collide con la strana realtà di fatto che al momento caratterizza un Paese alla deriva: le liste indubbiate non sono liste qualsiasi, sono le liste del Partito del Capo, di un partito che da anni declina una concezione della politica in forza della quale la cultura delle regole, il rispetto degli equilibri tra le Istituzioni, l'autonomia dei garanti sono costantemente sopraffatte dal risuonare della voce del Princeps, sempre amplificata dall'immancabile coro a bocca chiusa condotto da giornalisti asserviti, solerti scherani, intellettuali fasulli, sottoposti più o meno ambiziosi. Le regole si cambiano, la Costituzione si aggira, le garanzie si sabotano, le Istituzioni si attaccano: conta solo la voce del Princeps, conta solo ciò che lui impone o vieta.
E così, al termine dell'ultima delle tante notti dai lunghi coltelli che hanno scandito l'evoluzione della Seconda Repubblica, ecco che il Princeps promette e minaccia, programma e smentisce, e alla fine vede e provvede: arriva il decreto che sana le irregolarità, che cancella i ritardi e le omissioni, che consente a dirigenti e candidati di tirare il classico sospiro di sollievo, che restituisce il fiato ai neofascisti congelati dall'incessante pioggia romana. Il tutto, come da copione, in ragione della suprema necessità di tutelare il supremo diritto (invero, mai messo in discussione) dei cittadini di esprimere correttamente il loro voto.
Ora, mentre quest'ultima piccola storia ignobile trova rapidamente il suo epilogo, mentre il popolo viola invade le piazze e mentre l'opposizione si prepara all'ennesima battaglia democratica, non è forse più il caso di evidenziare ancora una volta i molteplici profili di illegittimità che contraddistinguono un provvedimento volto semplicemente a realizzare l'ennesimo abuso di potere. Per quanti individuano nella Costituzione il substrato fondamentale del proprio pensiero politico, rimane spazio solo per un ultimo, disperato grido di indignazione: di quella indignazione sottile e fastidiosamente abituale accumulata in occasione della vicenda di Eluana Englaro e dell'approvazione del Lodo Alfano, dello scandalo della Protezione Civile e della Vallettopoli del potere.
E' l'indignazione di chi fatica a riconoscersi in un Paese ormai privato dei tradizionali punti di riferimento che governano la normale convivenza democratica, dove – volendo riproporre le parole di Gustavo Zagrebelsky – “le Leggi con la maiuscola” sono state “piegate a interessi partigiani perché chi dispone della forza dei numeri ritiene di poter piegare a fini propri anche il più pubblico degli atti”.E' l'indignazione di chi proprio non si rassegna a dover fungere da silente comparsa in una delle solite, banali, piccole storie ignobili che il risuonare della voce del Principe quotidianamente impone agli assuefatti reduci di questa povera, triste Italietta berlusconiana.
Carlo Dore jr.
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