Per
proporre alcuni ulteriori spunti di riflessione al dibattito in corso sul tema
della difesa della Costituzione, vorrei partite da un passaggio della relazione
preliminare al ddl 813/2013: “occorre in
primo luogo scongiurare quel conservatorismo costituzionale che, a volte anche
animato da nobili intenzioni, rischia di bloccare ogni percorso di riforma.
Sulla scorta dell’idea che la nostra sia la Costituzione più bella del Mondo,
vi è chi arriva a rifiutare qualunque intervento riformatore della Carta
Fondamentale”. Credo valga la pena di domandarsi in cosa consista questo
“conservatorismo costituzionale”, e quali possano essere le “nobili intenzioni”
che inducono i “conservatori” ad opporsi ad ogni riforma possibile.
C’è
un’immagine, a mio sommesso avviso, che più di ogni altra descrive la
condizione dei sostenitori del “conservatorismo costituzionale”: quella di
Ulisse legato all’albero della sua nave mentre persegue la rotta verso Itaca,
resistendo al canto delle sirene. Già, la Costituzione è come Itaca - attaccata
da mille nemici ed insidiata da qualche falso amico, principalmente
identificabile in quanti, rinnovando l’icona del sindaco d’Italia come modello
di stabilità, di fatto declinano una concezione di Stato imperniata sul carisma
dell’uomo solo al comando -, e proprio come il canto delle sirene suonano le
mille argomentazioni che dovrebbero giustificare l’integrale revisione della
seconda parte della carta.
Ma
il canto delle sirene genera solo illusioni: ed è un’illusione l’assunto
secondo cui è necessario modificare la Costituzione per riformare il sistema
elettorale, per ridurre i costi della politica, per restituire efficienza alla
pubblica amministrazione, per garantire più trasparenza nella gestione della
cosa pubblica. Il canto delle sirene genera solo illusioni, che portano la nave
ad infrangersi sugli scogli: gli scogli di una democrazia debole e poco
garantita, rimessa alla mercé delle contingenti esigenze di un capo politico,
identificabile ora nell’imprenditore dal sorriso di cartapesta, ora nel comico
da strada dallo sberleffo sgangherato.
Ulisse
resiste, l’albero non cede, la nave non perde la giusta rotta: c’è Itaca da
raggiungere e da difendere, c’è una Costituzione da salvare, c’è un patrimonio
di principi fatto di giustizia, di lavoro, di diritti, di uguaglianza a
disposizione di quanti non rinunciano a credere che la prospettiva dell’Italia
giusta coincida con quella dell’Italia migliore.
Tuttavia,
così come Ulisse non intende finire i suoi giorni al sicuro di un porto, il sostenitore del conservatorismo
costituzionale non concepisce la Carta come una sorta di intangibile monolite:
semplicemente, non accetta di confondere la “buona manutenzione costituzionale”
(che può identificarsi nella riduzione del numero dei parlamentari o nel
superamento del bicameralismo paritario) con il radicale stravolgimento della
forma di governo. No, lo sguardo del “conservatore costituzionale” non è
semplicemente rivolto al passato: egli intende la Carta come un programma
politico da aggiornare ma soprattutto da applicare, sia nella parte in cui
impone ai titolari di funzioni pubbliche di adempiere il loro mandato con
disciplina e onore, sia allorquando descrive i partiti come strutture
organizzate secondo il metodo democratico, e
in quanto tale incompatibile con l’autodafè
agli anatemi sparati via web o tramite videomessaggio dal princeps di riferimento.
Ecco,
sotto questo aspetto il sostenitore del conservatorismo costituzionale finisce
davvero con l’identificarsi con Ulisse: perché trova nella Costituzione la sua
Itaca, e la descrive non solo come una meta da raggiungere e come un porto da
difendere, ma anche come il punto di partenza per un viaggio che ancora deve
cominciare.
Carlo
Dore jr.