“Quando
l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del Governo
dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il Governo alla
formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla
libera determinazione dell’assemblea sovrana”.
“Le
leggi siano poche, semplici, chiare: affinché nessuno, per capirle, abbia
bisogno di nessuno”.
La lettura di
questi celebri passi di Calamandrei e Montesquieu è di per sé sufficiente a
rilevare le principali criticità del disegno di revisione costituzionale di
prossima approvazione: criticità rinvenibili da un lato nella trasformazione
dei principi della Carta in instrumentum
regni, dall’altro nelle perplimenti ragioni ispiratrici e nella poco
lineare formulazione di un testo normativo ben lontano dalla chiarezza
adamantina che contraddistingue la Costituzione al momento vigente.
Sotto il primo
profilo, non è un mistero che il Presidente del Consiglio in carica ha di fatto
individuato nel completamento del percorso riformatore in atto il punto
qualificante del suo programma di governo e, di conseguenza, la condicio facti da cui dipende la
prosecuzione stessa della legislatura: scelta azzardata, se si considera che la
sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale – nell’affermare, in virtù del
principio di continuità dello Stato emergente dagli artt. 61 e 77 Cost., l’attitudine
dell’attuale Parlamento a svolgere le sue funzioni malgrado la rilevata
incostituzionalità della abrogata legge elettorale – sembrava individuare nei
novanta giorni successivi alla pronuncia della citata sentenza il termine
finale della legislatura in corso; scelta azzardata, nella quale è possibile
rinvenire le tracce di quell’occasionalismo costituzionale brillantemente
segnalato da Gaetano Azzariti.
Alla base del
disegno di riforma della seconda parte della Carta al momento all’esame della
Camera dei deputati non è infatti dato rinvenire quel substrato di valori
condivisi tra forze di diverso orientamento sul quale deve fondarsi un patto
costituente destinato a sopravvivere alle contingenze di un dato momento
storico; non è dato rinvenire quell’affermazione assoluta di sovranità
parlamentare di cui una legge di revisione costituzionale dovrebbe risultare
espressione. I banchi del Governo non sono vuoti: il Presidente del Consiglio
brandisce l’arma della fiducia per imporre ad un Parlamento quasi silenziato l’approvazione
a tappe forzate della “sua” riforma, per non perdere, appunto, l’occasione di
utilizzare quella stessa riforma come strumento di moltiplicazione del suo
consenso personale. L’occasionalismo costituzionale prevale sulle esigenze di
stabilità del patto costituente, la Carta fondamentale perde la sua funzione di
strumento di controllo del potere politico per assumere quella di strumento di
affermazione di tale potere: instrumentum regni, nel senso precedentemente chiarito.
Sotto il secondo
profilo, l’occasionalismo costituzionale traspare, si diceva, dalle scelte
contraddittorie di un legislatore frettoloso e, forse, non preparato a
cimentarsi in un percorso tanto impegnativo come quello diretto a riscrivere la
seconda parte della Carta. Scelte contraddittorie e poco lineari che ispirano tanto
il nuovo art. 57 Cost. - inficiato dal grande equivoco dei Senatori “eletti dai
Consigli regionali” tra “i propri componenti e i sindaci dei territori, ma al
contempo “eletti in conformità delle scelte degli elettori”- quanto lo stesso art. 55, che sostanzialmente
riduce la Camera alta al ruolo di tribuna per i rappresentanti delle
istituzioni locali. Scelte contraddittorie e poco lineari che emergono dalla
lettura del nuovo testo degli artt. 70 ss. Cost, laddove il bicameralismo
paritario viene sostituito da una sorta di monocameralismo spurio (o, se si
preferisce, di bicameralismo azzoppato), presupposto logico di un procedimento
legislativo che – dipanandosi lungo un inestricabile reticolato di termini
perentori, corsie preferenziali, pareri non vincolanti – rischia di appesantire
la produzione normativa, allontanandosi fatalmente da quell’ideale di “poche
leggi, semplici e chiare” invano declinato da Montesquieu.
Una Costituzione
riconducibile esclusivamente all’atto di volontà della maggioranza politica
contingente, un procedimento legislativo governato da mille regole
difficilmente coordinabili tra loro, un Senato in parte eletto e in parte “nominato”
e comunque condannato a una sostanziale condizione di irrilevanza rispetto all’altro
ramo del Parlamento. L’occasionalismo costituzionale costituisce unica ragione giustificativa
del progetto di riforma di prossima approvazione, l’occasionalismo costituzionale
è la radice di quelle stesse criticità che la lettura dei passi di Calamandrei
e Montesquieu porta fatalmente ad emersione.
Carlo Dore jr.