La
giornata antifascista, promossa dall’ANPI e dalle altre associazioni che si
riconoscono nel modello di democrazia delineato dalla Carta Costituzionale,
assolve la funzione di riaffermare il valore della memoria in un’epoca caratterizzata
dalla tendenza a sovrapporre, in nome di una indefinibile esigenza di
“pacificazione nazionale”, vincitori e vinti, vittime e carnefici, persecutori
e perseguitati, eroi e infami; a obliterare quell’ideale linea di demarcazione
che, pulsando sotto l’epidermide della Storia, continua a separare la parte
giusta dalla parte sbagliata.
Una
memoria costituita da centinaia di nomi, di volti, di fatti: alcuni nitidamente
presenti nell’immaginario collettivo; altri sbiaditi a causa dell’incedere del
tempo. Una memoria costituita da domande, come quella proposta dalla lettura di
alcuni articoli reperibili negli archivi di qualche quotidiano: chi era Mario
Fioretti? Non era un combattente come Lussu o un eroe tragico come Matteotti;
non ambiva alla dimensione di intellettuale universale propria di Antonio
Gramsci, né si caratterizzava per quella di “figlio del popolo” innervata da Di
Vittorio. Era un esponente della buona borghesia romana, un giovane giurista
dalle enormi prospettive, un docente di diritto romano e di diritto civile,
entrato in magistratura appena ventottenne: ma era anche, nel ricordo offerto
da Sandro Pertini, un’anima ardente, un generoso apostolo del socialismo.
Chi
era Mario Fioretti? Era un uomo che voleva vivere: che voleva scrivere, che
voleva studiare, che semplicemente non accettava di mortificare la propria,
dirompente intelligenza osservando gli stilemi di un regime feroce e
grossolano, di un Paese che da vent’anni era incatenato alla parte sbagliata.
Per questo lo ricordiamo: per il suo impegno nella diffusione de “L’Avanti!”
nella Roma occupata dai nazisti; per la partecipazione al Movimento di unità
proletaria; per i “comizi volanti” tenuti in quella città sospesa tra una
dittatura che non voleva crollare e una democrazia che ancora non poteva
nascere.
E
per un gesto di ribellione. E per un colpo di pistola a Piazza di Spagna. Sì,
perché il suo sogno di vita e di libertà fu spezzato al termine di uno di quei
comizi, quando, circondato da una delle ultime squadre della morte, oppose
all’ordine di salutare la bandiera la reazione ispiratagli dalla sua
intelligenza ribelle: non si omaggia un vessillo grondante sangue, anche a
costo di un proiettile nel cuore.
A
oltre settant’anni di distanza da quella mattina del dicembre del 1943, di
Mario Fioretti resta solo questo: un ricordo affidato a qualche vecchio
giornale; e questa storia, che ho provato a condensare in poche righe. E una
lapide, quasi invisibile tra i palazzi che circondano Trinità dei Monti: “qui
cadeva Mario Fioretti, che amava gli oppressi, e anelava libertà”. E allora,
chi era Mario Fioretti? Mario Fioretti è questa storia; Mario Fioretti è la
nostra storia; Mario Fioretti è in queste poche parole, affidate per sempre
alla pietra della memoria: per impedire la sovrapposizione tra vincitori e
vinti; per riaffermare la linea di demarcazione che sempre dividerà, nella
reale ricostruzione dei fatti, la parte giusta dalla parte sbagliata.
Carlo Dore jr.
Nessun commento:
Posta un commento