Chiudendo
idealmente il cerchio della stagione dei “Giorni bugiardi” – scanditi dalla “non
vittoria” del 2013, dalla “Notte dei centouno” e dalle conseguenti dimissioni
di Bersani dalla segreteria del PD -, Chiara Geloni propone una lucidissima
analisi delle varie tappe del naufragio imposto alla sinistra italiana lungo la
folle road map della rottamazione.
Una fredda ricostruzione del recente passato necessaria per comprendere le
tante storture che la quotidiana cronaca parlamentare propone; un pugno nello
stomaco di quanti ancora credono nella narrazione della sinistra smart.
E
la storia di un naufragio. Perché Titanic soprattutto questo vuole essere: la
storia di un naufragio.
Il
naufragio di un patrimonio di idee e sentimenti alimentato da mezzo secolo di
splendide battaglie democratiche, e cancellato con un tratto di penna dagli oplites di un rinnovamento senza radici;
il naufragio di quella che voleva essere una classe dirigente, abbagliata dall’illusione
di poter sopperire con pose gladiatorie e battute da gita scolastica alla
mancanza di una cultura politica degna di tale nome; il naufragio di un popolo
orbato di un riferimento in grado di rappresentarne istanze e posizioni, e
gradualmente condannato a disperdersi nel livido oceano dell’irrilevanza.
Ma
soprattutto, Titanic è la storia del naufragio di Matteo Renzi, ideale risposta
ai tanti interrogativi che “Giorni bugiardi” aveva lasciato per forza di cose
in sospeso: chi ha armato i Centouno? Chi ha pensato di colpire Prodi per
abbattere Bersani? La risposta arriva dal congresso del PD del 2013, dalla
sconfortante immagine della sfida alla playstation tra i due Mattei (Renzi e
Orfini), mentre il PD iniziava ad arretrare in tutte le principali città; la
risposta arriva dalla defenestrazione di Enrico Letta, sfiduciato con un tweet
in luogo del necessario passaggio parlamentare; la risposta arriva dal Patto
del Nazareno, con Renzi che entra a Palazzo Chigi forte della benedizione di
due padrini del calibro di Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano.
Il
doping elettorale delle Europee del 2014 rappresenta il classico Bacio della
Morte, da cui si alimenta la pulsione dei protagonisti del CambiaVerso a
rottamare quel che restava dell’area democratica –mediante la scientifica recisione
di tutti i punti di contatto tra il PD e i suoi tradizionali referenti sociali –
sull’altare del Partito della Nazione, formula improvvidamente mutuata dagli
scritti di Alfredo Reichlin, e di cui lo storico dirigente del PCI ha fino alla
fine dei suoi giorni denunciato lo scorretto utilizzo. Ecco allora il “gettone
nell’IPhone”, sberleffo utile a rappresentare la sostanziale marginalità
assegnata al tema della tutela del lavoro nella narrazione leopoldina; ecco il “ciaone”
agli elettori in occasione del referendum sulle Trivelle; ecco il referendum
costituzionale, maldestro e pericoloso tentativo di obliterare, attraverso una
scriteriata deriva plebiscitaria, il modello di democrazia tratteggiato dalla
Carta Fondamentale a favore di una sorta di confusa e confusionaria egocrazia a
bassa intensità.
A
nulla sono valse le grida di allarme di quanti, ravvisando la famosa “mucca in
corridoio”, segnalavano la marea montante di una destra aggressiva e
regressiva; a nulla è servita la riflessione in forza della quale, nel
confronto tra una destra che cavalca la tigre del disagio sociale e una
sinistra senza identità, la sinistra è fatalmente destinata a soccombere.
“Se
mi portano al governo le destre, li vado a cercare”. Le parole di Bersani
vengono sommerse dall’orchestrina installata sul ponte del Titanic: il
naufragio è compiuto, tra un congresso farlocco e una scissione consumata
troppo tardi per arginare la deriva in atto, per proporre una scialuppa di
salvataggio all’elettorato progressista in fuga dagli ultimi fuochi della
stagione renziana. Il naufragio è compiuto, la sinistra è dispersa nell’oceano
dell’irrlievanza, disarmata dalla politica dei popcorn dinanzi ai rigurgiti
reazionari cristallizzati nel contratto gialloverde.
Rimane
solo lo spazio per una recriminazione e per una speranza, affidata ancora una
volta alla postfazione di Bersani: il relitto del PD renziano rappresenta
ancora oggi la zavorra che impedisce alla sinistra di riprendere il suo
viaggio, un viaggio che avrebbe potuto essere diverso se il Comandante del
Titanic non avesse voluto lanciare la nave nella sua folle corsa contro gli
iceberg di una Waterloo annunciata. Ma quel popolo senza riferimenti non può
restare per sempre in mezzo al mare: prima o poi, qualcuno, a costo di
sacrificare la retorica della “comunità”, troverà la forza per elaborare una
proposta che tenga conto di errori e responsabilità; prima o poi, qualcuno
sentirà il bisogno di creare non un generico “fronte contro i populismi”, ma di
declinare un’alternativa ideologicamente connotata alla destra che avanza;
prima o poi, la sinistra riprenderà il suo viaggio. Ma occorre fare in fretta:
perché ora che il Titanic è affondato, davanti a noi c’è solo il mare aperto.
Carlo
Dore jr.
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