mercoledì, dicembre 06, 2006


I DS SARDI TRA PARTITO DEMOCRATICO ED ESIGENZE DI RINNOVAMENTO


In un incontro-dibattito recentemente svoltosi a Cagliari, il senatore diessino Antonello Cabras si è soffermato, con l’intelligenza e l’acume che sempre lo contraddistinguono, su alcune interessanti questioni relative alla prossima costituzione del Partito Democratico in generale e della sua organizzazione in particolare.
Debitamente supportato nelle sue argomentazioni dagli interventi di Nazareno Pacifico, Siro Marrocu e Graziano Milia (ormai più vicini alle posizioni dei democratici americani che a quelle dei socialisti europei), l’ex segretario dei DS sardi ha da un lato ribadito la necessità di procedere nella realizzazione del nuovo soggetto politico, promuovendo in tempi rapidi un ampio dibattito tra i cittadini in ordine ai caratteri strutturali che il medesimo dovrà assumere ed alle modalità che dovranno caratterizzarne la formazione. D’altro lato, egli ha messo in rilievo la pressante esigenza di un rinnovamento della classe politica nella sua interezza, presupposto indispensabile per garantire il coinvolgimento dei giovani nelle scelte cruciali relative alla vita del Paese.
Le opinioni appena esposte (altamente rispettabili nei loro contenuti, al pari di tutti gli orientamenti che animano il dibattito ideologico riguardante il futuro della più importante tra le forze politiche discendenti dal PCI ) si prestano però, a mio sommesso avviso, ad alcune obiezioni difficilmente superabili.
Nel prospettare un confronto con i militanti circa la struttura e le modalità realizzative del Partito Democratico, Cabras finisce col cadere una volta ancora nell’equivoco che inficia la strategia sostenuta dal direttivo della Quercia: prima di avviare una discussione sui caratteri peculiari del suddetto Partito, occorre infatti comprendere se sussistano le condizioni necessarie per procedere alla sua costituzione. In altri termini, è necessario valutare se la linea politica elaborata nell’assise di Orvieto incontra tra i militanti un consenso talmente diffuso da legittimare la radicale cancellazione della principale realtà della sinistra italiana, destinata a confluire in una nuova forza politica dai caratteri incerti e dalle dubbie prospettive.
Alla vigilia di un congresso che si preannuncia quantomai infuocato, questo interrogativo assilla incessantemente i sostenitori della mozione unitaria, consapevoli del fatto che il conseguimento di un numero di consensi inferiore alle aspettative renderebbe incontrovertibile la frattura in atto tra la base e l’attuale gruppo dirigente, le cui scelte continuano ad apparire ispirate a principi e valori non coincidenti con quelli (riconducibili al patrimonio ideologico della sinistra tradizionale ) in cui gran parte degli iscritti tuttora si riconosce.
In questo senso, l’esigenza di un ricambio generazionale alla guida del Partito emerge in tutta la sua evidenza, coinvolgendo non solo i vertici nazionali ma anche il direttivo dei DS sardi. La sconfitta riportata a Cagliari in occasione delle elezioni comunali e le difficoltà palesate dai vertici di via Emilia nell’individuazione di proposte utili per impostare un proficuo confronto con il governatore Soru (il quale si trova nella felice condizione di poter individuare nella maggioranza che lo sostiene un mero organo di ratifica delle sue determinazioni) costituiscono infatti due chiari segnali dello stato di estrema debolezza in cui la Quercia isolana attualmente versa.
Premesso che tale condizione di debolezza è riconducibile a molteplici cause, uno di questi fattori può essere con certezza individuato nella costante concentrazione (da dieci anni a questa parte) della guida del partito in capo ad alcuni ben noti centri di potere, i cui leaders sono stati capaci di conservare intatti il loro prestigio e la loro influenza malgrado le alterne fortune a cui sono andati incontro durante la loro carriera politica.
Tuttavia, nel corso del tempo, questi stessi leaders hanno gradualmente perso credibilità agli occhi dell’elettorato, alimentando, con particolare riguardo alla Sardegna, quella frattura tra la base diessina ed il gruppo di comando a cui si è in precedenza fatto riferimento.
Così ragionando, l’affermazione di una nuova classe dirigente, composta da soggetti in grado, con la forza delle idee, della cultura e di una convinta adesione ai postulati su cui si fonda la “questione morale”, di offrire ai militanti un nuovo modello in cui riconoscersi, può costituire il momento iniziale di quella fase di rinnovamento della politica sarda di cui il popolo del centro-sinistra da tempo auspica l’attuazione.

Carlo Dore jr.

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