giovedì, dicembre 21, 2006


Le ultime ore di Salvador Allende
UNA VOCE SOTTO LE BOMBE


Dal momento in cui, circa una settimana fa, le agenzie di stampa hanno diffuso la notizia della morte di Augusto Pinochet, una sola immagine ha iniziato a dominare i miei pensieri, senza che né i tanti articoli scritti sui giornali, né le struggenti narrazioni di quanti sono riusciti a sopravvivere alla tragedia del golpe, né le deliranti farneticazioni di alcuni squadristi della Nuova Destra italiana potessero alterarne i contorni o attenuarne l’intensità.
E’ l’immagine di un piccolo uomo che, solo in un palazzo deserto, continua a parlare ad un Paese attanagliato da una guerra civile del sogno di poter giungere alla realizzazione di una società di eguali e della necessità di combattere per questo sogno.
Un popolo e la sua Nuova Frontiera, una voce sotto le bombe, un Presidente che voleva sconvolgere gli equilibri di un Mondo dominato da due opposti imperialismi: attraverso le ultime parole di questo piccolo uomo, di questo Presidente sognatore, tenterò di riassumere i momenti centrali di una delle più struggenti pagine della storia del Secolo Breve.

“…Conmigo, es el pueblo que entra a La Moneda…”

All’inizio degli anni’70, le condizioni di vita in cui il Cile versava erano di fatto coincidenti con quelle che tuttora caratterizzano gran parte dei paesi dell’America Latina, in cui lo splendore dei grattacieli funge da contraltare alla miseria delle favelas. La costante concentrazione del potere nelle mani della ricca borghesia, l’attribuzione alle grandi multinazionali dell’integrale controllo delle risorse minerarie, l’incontrollabile diffusione della cultura del latifondo erano le principali cause di un conflitto sociale secondo cui la sopravvivenza stessa delle classi più disagiate dipendeva in toto dalle determinazioni assunte dai titolari dei fattori di produzione.
In questo senso, l’idea che Salvador Allende lanciò nel 1971 risultava sconvolgente nella sua semplicità: nel momento in cui si afferma la necessità di tutelare la libertà di un popolo, si deve considerare che l’attuazione di una compiuta libertà non può prescindere dall’applicazione di un rigoroso sistema di giustizia sociale.
Conquistando il governo del Paese, l’Unidad Popular diede per la prima volta voce a quelle generazioni di eterni sconfitti di cui la società cilena in gran parte si componeva: insieme ad Allende, erano i contadini, i minatori e gli operai a fare idealmente ingresso nel palazzo de “La Moneda”.

“…Estaban comprometidos, la Historia juzgarà…”

La realizzazione di quel sistema di giustizia sociale a cui si è appena fatto riferimento trovò due momenti centrali nella nazionalizzazione delle miniere e nell’espropriazione dei terreni agricoli: due misure intese non solo come semplici riforme di tipo economico, ma come la effettiva conferma della possibilità di giungere all’affermazione per via democratica di quel “socialismo dal volto umano” che gli stessi progressisti europei iniziarono a vagheggiare una volta destatisi dall’incubo della Primavera di Praga, primo vero momento di rottura tra i partiti della sinistra occidentale e la Grande Madre Russia.
Ma l’idea di un centro-sinistra forte e democratico, in grado di spezzare gli equilibri che vigevano nel cuore dell’America Latina, collideva apertamente (al pari della strategia del “Compromesso Storico”, posta in essere in Italia da Moro e Berlinguer) con le contrapposizioni imposte al Mondo dai protagonisti della Guerra Fredda. A fronte del grigio potere sovietico, basato sul bieco imperversare dei carri armati di Breznev, l’Occidente costituiva oggetto di una forma di imperialismo non meno stringente, la cui influenza risultava imperniata su ferree relazioni di dipendenza economica, sul calcolato appoggio a gruppi eversivi di varia natura, sul sostegno a logge massoniche deviate, sull’instaurazione di regimi dittatoriali non meno feroci di quelli facenti capo agli eredi di Stalin.
Il colpo di Stato di Pinochet costituisce la diretta propagazione di questa forma di imperialismo, apertamente disposto a sostenere il perverso connubio tra depositari del potere economico – i quali miravano a ripristinare l’antico sistema di privilegi – e forze politiche conservatrici, ansiose di riconquistare, seppure attraverso l’azione di un manipolo di sicari in uniforme, il controllo del Cile.


“…Viva Chile! Viva el pueblo! Viva los trabajadores!...”

La marea golpista iniziò a montare, strisciante e silenziosa, durante il lungo inverno del 1973, per poi esplodere in tutta la sua violenza in quel terribile 11 settembre, quando un’insurrezione della Marina isolò Valparaiso, dando seguito alla rivolta delle forze armate verso il Governo.
Solo e ormai privo di difese, Allende tentò di usare il suo carisma per ricondurre la situazione alla normalità, per far prevalere “la forza della ragione sulle ragioni della forza”. Mentre i caccia bombardavano Santiago e le stazioni radio venivano, una dopo l’altra, ridotte al silenzio, la voce “ferma e tranquilla” del Presidente della Repubblica continuava a trasmettere alla Nazione il suo messaggio di speranza: la speranza che “più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costituire una società migliore”, quella stessa società di eguali che costituiva il presupposto del suo credo politico.
Una voce sotto le bombe, destinata ad essere spezzata solo da una raffica di mitra: ma il grido “Viva il Cile! Viva il Popolo! Viva i lavoratori!” costituisce la più forte espressione di dissenso che il Mondo libero è tuttora in grado di opporre nei confronti di una tra le dittature più feroci della seconda metà del ‘900.

“…Socialista serà el porvenir!...”

A quasi trentacinque anni di distanza dai drammatici eventi sopra descritti, l’eco di quell’assordante grido di libertà non sembra peraltro essersi ancora attenuato. In un’epoca caratterizzata da un preoccupante vuoto ideologico, in cui alcuni tra i più insigni esponenti dei partiti socialisti europei sembrano disposti a mettere in discussione la loro identità, le loro idee ed i loro valori pur di assicuarsi le simpatie dei moderati, le parole di Salvador Allende contribuiscono a rilevare che il socialismo non ha ancora esaurito la sua spinta propulsiva.
Anche nel nuovo millennio, l’idea di un modello sociale ispirato a principi di eguaglianza ed equità, al radicale rifiuto di ogni preconfezionato centro di potere, alla naturale prevalenza della “forza della ragione sulle ragioni della forza”, può sempre costituire quella Nuova Frontiera nel cui perseguimento i progressisti non possono e non devono smettere di credere.

Carlo Dore jr

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