martedì, febbraio 06, 2007


UNA FORZA UNITARIA DELLA SINISTRA ITALIANA COME ALTERNATIVA AL PARTITO DEMOCRATICO


In un incontro-dibattito svoltosi a Cagliari lo scorso 2 febbraio, l’on. Giorgio Mele (senatore della Sinistra DS), Andrea Pubusa, Ottavio Olita e Gianfranco Macciotta si sono interrogati sulla possibilità di elaborare delle strategie alternative a quella diretta alla realizzazione Partito Democratico, mettendo in rilievo le tante contraddizioni che caratterizzano gli argomenti generalmente utilizzati da quanti, in seno ai DS, aderiscono alla c.d. mozione – Fassino.
Essendo stato affidato a me il compito di introdurre gli argomenti oggetto della suddetta iniziativa, ho voluto proporre all’attenzione dei relatori quelli che sono i miei dubbi e le mie incertezze in ordine alla costituzione della nuova forza politica, nel tentativo di comprendere se la mia paura di vedere la principale realtà della sinistra italiana risolversi in una sorta di ambiguo contenitore moderato debba o meno considerarsi fondata.
L’intervento dell’on. Mele, lucido nella sua formulazione e coinvolgente nella sua carica polemica, ha in questo senso confermato come l’attuale gruppo dirigente stia avvolgendo il nostro partito in una sorta di deriva neocentrista, perfettamente funzionale alle logiche di tipo trasversale che traspaiono dai tentativi di larghe intese sulla legge elettorale, dai nebulosi progetti di riforma della Carta Fondamentale, dalle prospettive di formazione di più o meno definiti “tavoli di volenterosi” preposti ad elaborare le scelte di politica economica. Una simile linea di azione non può che risultare finalizzata ad allontanare sempre più i DS da quei principi del socialismo europeo, a cui peraltro la maggior parte dei militanti (fortemente ancorata ai valori della sinistra tradizionale) tuttora non rinuncia a fare riferimento.
Così ragionando, coloro i quali si oppongono ad un simile processo degenerativo, manifestando la necessità di difendere l’identità socialista nell’elaborazione delle scelte inerenti i grandi temi della pace, della giustizia, del lavoro e della laicità dello Stato, vengono brutalmente tacciati di gretto settarismo da quello stesso manipolo di nuovi riformisti che non hanno esitato a minare l’integrità della coalizione di governo, attraverso il sostegno offerto all’o.d.g. proposto dal leghista Calderoli in ordine all’ampliamento della base di Vicenza.
Tuttavia, le infondate accuse di estremismo non hanno impedito agli organizzatori dell’iniziativa di cui sopra di rilevare con forza almeno due delle principali incoerenze insite nei ragionamenti proposti dai sostenitori del PD. In primo luogo, con particolare riguardo all’affermazione secondo cui il venire in essere del nuovo partito garantirebbe una “semplificazione della politica”, risultando una simile operazione funzionale all’attuazione di un bipolarismo perfetto, si è proceduto a sgomberare il campo da un equivoco più o meno consapevolmente alimentato in questi mesi dai fautori della mozione unitaria.
Nella sua configurazione attuale, il PD non può infatti essere descritto come il partito unico del centro-sinistra, ma come il prodotto della fusione a freddo tra due componenti delle principali forze che sostengono l’attuale Esecutivo: la sua creazione finirà quindi paradossalmente col determinare la sussistenza di una molteplicità di partiti (appunto il PD, la sinistra DS, la componente più moderata della Margherita) destinati a contendersi la stessa fetta di elettorato. Lungi dal costituire una scelta riconducibile ad una logica di tipo bipolare, il nuovo soggetto politico contribuirà ad alimentare le divisioni che già al momento lacerano la maggioranza, operando in questo senso non già come un fattore di “semplificazione” bensì di “complicazione”.
In secondo luogo, costituisce una verità incontrovertibile l’affermazione in base alla quale la classe dirigente che al momento regge le sorti del nostro partito necessita di un radicale rinnovamento, considerato che tale classe dirigente è in massima parte composta dalla stessa pattuglia di colonnelli berlingueriani a cui il Segretario aveva affidato il compito di traghettare la sinistra italiana verso il 2000. Tuttavia, è difficile immaginare che il PD possa rivelarsi uno strumento funzionale a una qualsiasi strategia innovatrice, posto che quello stesso gruppo di potere che oggi sostiene la linea – Fassino non sembra incline a lasciare la guida della forza politica così formata agli intellettuali cui è stato demandato il compito di redigere il manifesto programmatico.
Anzi, è lecito supporre che lo stesso gruppo dirigente che ha portato i DS al minimo storico, che ha miseramente rischiato di perdere un’elezione già vinta, che deve essere considerato in toto responsabile per l’imposizione di candidature talmente impresentabili da risultare insostenibili anche per gli elettori più fedeli uscirà rafforzato dalla creazione del nuovo partito, in ragione del fatto che i soggetti che ad esso afferiscono non saranno più costretti ad assumere l’atteggiamento da uomini di sinistra che il loro attuale ruolo gli impone di osservare.
Prendendo atto delle manifeste incompatibilità storiche ed ideologiche che dividono i diretti discendenti del PCI dalla Margherita (realtà determinante del centro-sinistra italiano, in quanto rappresentativa di valori e di tradizioni altamente rispettabili nella loro validità), dal dibattito oggetto della presente cronaca è emerso come un radicale ricambio ai vertici dei DS costituisce il presupposto indefettibile per individuare un’alternativa credibile al progetto del PD.
E in questo senso, l’idea di una forza unitaria della sinistra italiana (basata sulla felice convergenza tra realtà caratterizzate da un’identica matrice quali appunto sono gli stessi DS, il PDCI e determinate componenti di Rifondazione) potrebbe davvero imporre all’attuale Esecutivo l’attuazione (con riferimento ai già citati temi del lavoro, della giustizia, della pace e della laicità dello Stato) di quelle stesse scelte attraverso cui governi socialisti, come quello guidato in Spagna da Zapatero, stanno realizzando una trasformazione progressista delle società di riferimento.


Carlo Dore jr.

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