MA QUALE SCISSIONE?
La prima fase del congresso dei DS è stata caratterizzata, almeno in Sardegna, da una sorta di fastidiosa prevedibilità: mentre i dibattiti nelle varie sezioni andavano per lo più deserti, gli iscritti si recavano in massa a votare, eseguendo (in certi casi, più per disciplina che per convinzione) le istruzioni impartite dal dirigente di riferimento.
Tuttavia, in questo desolante quadro, alcune situazioni verificatesi nel corso dell’ultimo mese possono costituire oggetto di una riflessione politicamente rilevante. In particolare, intervenendo al congresso di una delle più importanti sezioni cagliaritane, il segretario regionale Giulio Calvisi ha tentato di obliterare i problemi relativi alla collocazione internazionale del futuro Partito Democratico, osservando semplicemente che l’adesione del nuovo soggetto politico al socialismo europeo verrà definita attraverso una “serena discussione” con gli “amici della Margherita” dopo che il medesimo soggetto avrà preso vita.
Tuttavia, di fronte a questa ennesima contorsione verbale inscenata da uno dei luogotenenti di Piero Fassino, sono stato con amarezza costretto a rilevare che l’affermazione di Calvisi conteneva in sé una sconcertante dose di verità: l’Italia attualmente attraversa una fase contraddistinta da un preoccupante vuoto ideologico, in cui i grandi principi, le battaglie appassionate, i contrasti roventi e le struggenti emozioni che hanno attraversato la seconda parte del ‘900 sembrano lasciare il posto alla mediocrità diffusa, alla mortificazione delle intelligenze, al trasversalismo strisciante su cui si fonda “questa” Seconda Repubblica.
Al pari di Forza Italia, partito di celluloide creato da Berlusconi al solo scopo di catalizzare consensi da trasformare in nuovo potere, il PD è figlio illegittimo di questo vuoto ideologico: se infatti Forza Italia può considerarsi un mero strumento diretto ad attuare la volontà del Capo, il progetto sostenuto dalla maggioranza interna ai DS è di fatto volto a generare una forza politica senza cuore perché priva di solidi valori di riferimento, concepita nel chiuso delle stanze dei bottoni con l’obiettivo di recuperare qualche voto tra gli elettori moderati.
Quella nutrita minoranza di militanti della Quercia la quale (rea forse di avere per troppi anni accettato passivamente le decisioni imposte alla base da dirigenti incapaci di svolgere le loro mansioni con un minimo di incisività) rifiuta di conformarsi ad un simile status quo, manifestando l’intendimento di non aderire ad una strategia in cui i suoi componenti non riescono a riconoscersi, viene ora accusata di contrapporre lo spettro di una dolorosa scissione alle indicazioni emerse dal risultato congressuale.
Ma quest’ampia fetta dell’elettorato progressista manifesta un’esigenza ineludibile nella sua semplicità: la sinistra italiana non ha oggi bisogno di un nuovo partito, ma di un partito che, saldamente ancorato alla tradizione del socialismo europeo, sappia farsi portatore di quelle esigenze e di quelle istanze raramente assecondate dall’attuale gruppo dirigente, troppo compenetrato in elevati giochi di potere per ascoltare la voce del suo popolo.
E in confronto di quei militanti che legittimamente chiedono di poter restare a sinistra, di fronte alla deriva moderata di cui i DS risultano ormai irreversibilmente vittima, l’accusa di scissionismo non può che risultare del tutto priva di fondamento.
Carlo Dore jr.
La prima fase del congresso dei DS è stata caratterizzata, almeno in Sardegna, da una sorta di fastidiosa prevedibilità: mentre i dibattiti nelle varie sezioni andavano per lo più deserti, gli iscritti si recavano in massa a votare, eseguendo (in certi casi, più per disciplina che per convinzione) le istruzioni impartite dal dirigente di riferimento.
Tuttavia, in questo desolante quadro, alcune situazioni verificatesi nel corso dell’ultimo mese possono costituire oggetto di una riflessione politicamente rilevante. In particolare, intervenendo al congresso di una delle più importanti sezioni cagliaritane, il segretario regionale Giulio Calvisi ha tentato di obliterare i problemi relativi alla collocazione internazionale del futuro Partito Democratico, osservando semplicemente che l’adesione del nuovo soggetto politico al socialismo europeo verrà definita attraverso una “serena discussione” con gli “amici della Margherita” dopo che il medesimo soggetto avrà preso vita.
Tuttavia, di fronte a questa ennesima contorsione verbale inscenata da uno dei luogotenenti di Piero Fassino, sono stato con amarezza costretto a rilevare che l’affermazione di Calvisi conteneva in sé una sconcertante dose di verità: l’Italia attualmente attraversa una fase contraddistinta da un preoccupante vuoto ideologico, in cui i grandi principi, le battaglie appassionate, i contrasti roventi e le struggenti emozioni che hanno attraversato la seconda parte del ‘900 sembrano lasciare il posto alla mediocrità diffusa, alla mortificazione delle intelligenze, al trasversalismo strisciante su cui si fonda “questa” Seconda Repubblica.
Al pari di Forza Italia, partito di celluloide creato da Berlusconi al solo scopo di catalizzare consensi da trasformare in nuovo potere, il PD è figlio illegittimo di questo vuoto ideologico: se infatti Forza Italia può considerarsi un mero strumento diretto ad attuare la volontà del Capo, il progetto sostenuto dalla maggioranza interna ai DS è di fatto volto a generare una forza politica senza cuore perché priva di solidi valori di riferimento, concepita nel chiuso delle stanze dei bottoni con l’obiettivo di recuperare qualche voto tra gli elettori moderati.
Quella nutrita minoranza di militanti della Quercia la quale (rea forse di avere per troppi anni accettato passivamente le decisioni imposte alla base da dirigenti incapaci di svolgere le loro mansioni con un minimo di incisività) rifiuta di conformarsi ad un simile status quo, manifestando l’intendimento di non aderire ad una strategia in cui i suoi componenti non riescono a riconoscersi, viene ora accusata di contrapporre lo spettro di una dolorosa scissione alle indicazioni emerse dal risultato congressuale.
Ma quest’ampia fetta dell’elettorato progressista manifesta un’esigenza ineludibile nella sua semplicità: la sinistra italiana non ha oggi bisogno di un nuovo partito, ma di un partito che, saldamente ancorato alla tradizione del socialismo europeo, sappia farsi portatore di quelle esigenze e di quelle istanze raramente assecondate dall’attuale gruppo dirigente, troppo compenetrato in elevati giochi di potere per ascoltare la voce del suo popolo.
E in confronto di quei militanti che legittimamente chiedono di poter restare a sinistra, di fronte alla deriva moderata di cui i DS risultano ormai irreversibilmente vittima, l’accusa di scissionismo non può che risultare del tutto priva di fondamento.
Carlo Dore jr.