DAL “BIPARTITISMO ANOMALO” AL “BIPARTITISMO INCONCEPIBILE”
L’incubo che ha tormentato i progressisti italiani negli ultimi due anni si è ineluttabilmente concretizzato al termine dell’ennesima “Notte della Repubblica”, quando Walter Veltroni – attenendosi ad una prassi istituzionale osservata presso tutte le democrazie occidentali – si è presentato ai giornalisti per riconoscere una sconfitta che, proiezione dopo proiezione, assumeva le dimensioni di un’autentica disfatta: il Popolo delle Libertà ha vinto, il Caimano marcia di nuovo alla volta di Palazzo Chigi.
E così, mentre i quotidiani di tutto il Mondo dedicano pagine e pagine all’analisi di quella che viene ormai comunemente definita “l’anomalia italiana” - nel vano tentativo di comprendere le ragioni che hanno indotto gli elettori a rimettere per la terza volta le sorti nel Paese nelle mani del Cavaliere, malgrado le molteplici disavventure che avevano caratterizzato le sue precedenti performance di premier dilettante -, alcuni pretesi studiosi della politica nostrana non hanno mancato di rilevare “il buon risultato comunque riportato dal PD”, nel più generale quadro di semplificazione del panorama parlamentare determinatosi dopo il voto del 13 aprile.
Tuttavia, le vuote costruzioni dei tanti cantori della politica deideologizzata che in queste ore si alternano nei principali salotti delle emittenti televisive nazionali e locali non possono che cedere di fronte all’impietosa realtà dei numeri, da cui risulta per forza di cose come i progressisti italiani siano andati incontro ad una debacle di gran lunga più grave, per diversi ordini di ragioni, di quella sofferta nel maggio del 2001.
Costituisce ormai una realtà incontrovertibile l’affermazione secondo cui, nel corso della precedente esperienza di governo del centro-destra, la vera opposizione allo strapotere di Berlusconi non fu portata avanti dall’asfittico drappello di parlamentari ulivisti, in gran parte corresponsabili della folle stagione della Bicamerale e della conseguente resurrezione politica del Cavaliere, ma da quelle migliaia di persone che, garantendo la loro partecipazione alle Marce della pace, agli scioperi organizzati dalla CGIL, alle manifestazioni dei Girotondi, alle attività dei Comitati per la difesa della Costituzione, si mobilitarono coraggiosamente a difesa dei valori fondamentali della civiltà democratica.
Ora, dopo le troppe delusioni inferte dall’Unione al nucleo fondamentale del suo elettorato, ci si deve domandare se quelle stesse persone sarebbero di nuovo disposte ad invadere le piazze d’Italia per una nuova, snervante stagione di opposizione civile . Di più: nel procedere all’esame di un sistema politico che ha appena attraversato le secche del bipolarismo imperfetto per schiantarsi sull’iceberg di un bipartitismo anomalo (in quanto imperniato non sul naturale confronto tra un partito socialista ed una forza del centro moderato, ma sulla contrapposizione tra il neocentrismo di Veltroni e la destra radicale di Berlusconi, Fini e Bossi), ci si deve domandare se, una volta venuti meno i DS, il variegato gruppo dirigente del PD sarà in grado di programmare con la dovuta intransigenza ed efficacia questa nuova fase di battaglie democratiche.
Premesso che è lecito nutrire qualche dubbio sulle capacità di mobilitazione dei vari Colannino, Calearo e Ichino, il risultato elettorale pone la c.d. sinistra diffusa di fronte al più classico bivio: rimasta priva di una rappresentanza parlamentare degna di tal nome, quell’ampia fetta di elettorato progressista che, pur non condividendo il progetto iniziale, ha interpretato il proprio voto al nuovo soggetto politico esclusivamente come un voto “contro” il Caimano può ora scegliere di disperdersi in una molteplicità di partitini e movimenti privi di qualsiasi incisività sulla scena nazionale. Oppure, può utilizzare il peso della propria storia e delle proprie idee per orientare “verso sinistra” la politica del PD, favorendo in particolar modo il ricambio generazionale necessario per completare il superamento di quelle eterne oligarchie che, sconfitta dopo sconfitta, hanno contribuito in modo determinante a riconsegnare il Paese a Berlusconi. Al di là delle dichiarazioni di facciata, le determinazioni assunte a livello locale dimostrano come Veltroni sia consapevole di non poter fare a meno del contributo di questa fascia di elettorato: senza una forza progressista degna di tale nome, il bipartitismo “anomalo” rischia infatti di risolversi in un bipartitismo “inconcepibile”.
Carlo Dore jr.
L’incubo che ha tormentato i progressisti italiani negli ultimi due anni si è ineluttabilmente concretizzato al termine dell’ennesima “Notte della Repubblica”, quando Walter Veltroni – attenendosi ad una prassi istituzionale osservata presso tutte le democrazie occidentali – si è presentato ai giornalisti per riconoscere una sconfitta che, proiezione dopo proiezione, assumeva le dimensioni di un’autentica disfatta: il Popolo delle Libertà ha vinto, il Caimano marcia di nuovo alla volta di Palazzo Chigi.
E così, mentre i quotidiani di tutto il Mondo dedicano pagine e pagine all’analisi di quella che viene ormai comunemente definita “l’anomalia italiana” - nel vano tentativo di comprendere le ragioni che hanno indotto gli elettori a rimettere per la terza volta le sorti nel Paese nelle mani del Cavaliere, malgrado le molteplici disavventure che avevano caratterizzato le sue precedenti performance di premier dilettante -, alcuni pretesi studiosi della politica nostrana non hanno mancato di rilevare “il buon risultato comunque riportato dal PD”, nel più generale quadro di semplificazione del panorama parlamentare determinatosi dopo il voto del 13 aprile.
Tuttavia, le vuote costruzioni dei tanti cantori della politica deideologizzata che in queste ore si alternano nei principali salotti delle emittenti televisive nazionali e locali non possono che cedere di fronte all’impietosa realtà dei numeri, da cui risulta per forza di cose come i progressisti italiani siano andati incontro ad una debacle di gran lunga più grave, per diversi ordini di ragioni, di quella sofferta nel maggio del 2001.
Costituisce ormai una realtà incontrovertibile l’affermazione secondo cui, nel corso della precedente esperienza di governo del centro-destra, la vera opposizione allo strapotere di Berlusconi non fu portata avanti dall’asfittico drappello di parlamentari ulivisti, in gran parte corresponsabili della folle stagione della Bicamerale e della conseguente resurrezione politica del Cavaliere, ma da quelle migliaia di persone che, garantendo la loro partecipazione alle Marce della pace, agli scioperi organizzati dalla CGIL, alle manifestazioni dei Girotondi, alle attività dei Comitati per la difesa della Costituzione, si mobilitarono coraggiosamente a difesa dei valori fondamentali della civiltà democratica.
Ora, dopo le troppe delusioni inferte dall’Unione al nucleo fondamentale del suo elettorato, ci si deve domandare se quelle stesse persone sarebbero di nuovo disposte ad invadere le piazze d’Italia per una nuova, snervante stagione di opposizione civile . Di più: nel procedere all’esame di un sistema politico che ha appena attraversato le secche del bipolarismo imperfetto per schiantarsi sull’iceberg di un bipartitismo anomalo (in quanto imperniato non sul naturale confronto tra un partito socialista ed una forza del centro moderato, ma sulla contrapposizione tra il neocentrismo di Veltroni e la destra radicale di Berlusconi, Fini e Bossi), ci si deve domandare se, una volta venuti meno i DS, il variegato gruppo dirigente del PD sarà in grado di programmare con la dovuta intransigenza ed efficacia questa nuova fase di battaglie democratiche.
Premesso che è lecito nutrire qualche dubbio sulle capacità di mobilitazione dei vari Colannino, Calearo e Ichino, il risultato elettorale pone la c.d. sinistra diffusa di fronte al più classico bivio: rimasta priva di una rappresentanza parlamentare degna di tal nome, quell’ampia fetta di elettorato progressista che, pur non condividendo il progetto iniziale, ha interpretato il proprio voto al nuovo soggetto politico esclusivamente come un voto “contro” il Caimano può ora scegliere di disperdersi in una molteplicità di partitini e movimenti privi di qualsiasi incisività sulla scena nazionale. Oppure, può utilizzare il peso della propria storia e delle proprie idee per orientare “verso sinistra” la politica del PD, favorendo in particolar modo il ricambio generazionale necessario per completare il superamento di quelle eterne oligarchie che, sconfitta dopo sconfitta, hanno contribuito in modo determinante a riconsegnare il Paese a Berlusconi. Al di là delle dichiarazioni di facciata, le determinazioni assunte a livello locale dimostrano come Veltroni sia consapevole di non poter fare a meno del contributo di questa fascia di elettorato: senza una forza progressista degna di tale nome, il bipartitismo “anomalo” rischia infatti di risolversi in un bipartitismo “inconcepibile”.
Carlo Dore jr.
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