LA NOTTE DELLA REPUBBLICA
Mentre scriviamo queste righe, l’eco delle polemiche che hanno fatto seguito alla sentenza del Tribunale di Genova relativa al massacro verificatosi nella scuola Diaz in occasione del G8 del 2001 continua a propagarsi tra telegiornali e spazi di approfondimento. Dopo undici ore di camera di consiglio, il collegio presieduto da Gabrio Barone ha deciso: l’irruzione nella sede del Genova Social Forum non può essere ricostruita come una sorta di operazione repressiva programmata dagli alti quadri della catena di comando delle forze dell’ordine; la “macelleria messicana” a cui più volte ha fatto riferimento Michelangiolo Fournier fu il semplice effetto delle intemperanze di un isolato manipolo di agenti dal sangue caldo e dalla mano pesante.
Si levano alte le trombe e i tromboni della destra berlusconiana, di colpo riscopertasi paladina dell’indipendenza della magistratura; trasudano rabbia ed indignazione le tante persone comuni che attendevano, da oltre sette anni, giustizia per una delle pagine più nere della recente storia italiana.
Superando l’emozione del momento, per chi si è sempre schierato a difesa dell’autonomia dell’ordine giudiziario sarebbe un errore descrivere la pronuncia del Tribunale genovese come una “sentenza politicizzata”, o come una decisione figlia del clima di aggressione a cui le Toghe da anni sono sottoposte. Al di là delle circostanze contingenti, rimane infatti fermo il principio secondi cui le sentenze – tutte le sentenze – devono essere rispettate, senza che le possibili valutazioni in ordine al contenuto delle stesse tendano a mettere in discussione l’imparzialità, l’integrità e la buona fede dei giudici che tali sentenze hanno emesso.
No, la nostra riflessione vuole spingersi oltre, per abbracciare un profilo più ampio, e forse più inquietante, che accomuna tutti i grandi misteri d’Italia, tutti i fantasmi che si aggirano, sinistri e minacciosi, tra le tenebre della notte della Repubblica. Ogni volta che un magistrato coraggioso, un poliziotto dalla mente lucida o un cronista d’assalto giunge ad un passo da una verità sconvolgente, ad un passo dallo squarciare la cortina di oblio che avvolge i principali misteri italiani, ecco che si verifica un fatto che impedisce di gettare un salutare fascio di luce su questi angoli bui, ecco che la notte della Repubblica inghiotte con le sue tenebre ogni speranza di verità. E’ accaduto per la strage di Bologna; è accaduto per Ustica; accadrà anche per i fatti del G8.
Cosa resta oggi di quelle folli giornate del luglio 2001, quando il movimento di Seattle mise in crisi i grandi della politica, opponendo il grido “un altro mondo è possibile” alle pulsioni autoritarie di un Governo appena insediato e desideroso di accreditarsi agli occhi del pianeta come modello di ordine ed efficientismo aziendalista? Non resta niente: restano solo i ricordi di chi visse quelle giornate in prima persona, e di chi, con riferimento a quegli eventi, si limitò ad esercitare il ruolo di testimone indiretto, ipnotizzato dalle immagini e dalle notizie sparate come proiettili arroventati da tutte le TV.
Rimangono allucinanti sequenze di fotogrammi impazziti: il sangue per le strade, le mani alziate, il rumore metallico delle radio, il fumo dei lacrimogeni, le urla dei feriti, l’ululato delle sirene, la consueta girandola di dichiarazioni, accuse, appelli, smentite e contro - smentite. Rimane il resoconto del bellissimo ed appassionato intervento di Massimo D’Alema, il solo tra i leaders dell’opposizione capace di rilevare come certe “violenze da stato cileno” non erano compatibili con i principi costituzionali su cui si fonda una democrazia evoluta.
Rimane la speranza - coltivata a lungo da gran parte degli elettori dell’area democratica e vanificata dalla manifesta incapacità della precedente maggioranza di centro-sinistra di tenere fede agli impegni assunti in campagna elettorale – dell’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta in grado di accertare se i vari protagonisti di quei tre giorni di ordinaria follia potessero o meno essere individuati come le semplici pedine al servizio di un progetto politico più generale.
Ma ora, dopo più di sette anni, anche questa sequenza di fotogrammi impazziti sembra giunta ai titoli di coda. Anche sui fatti di Genova cala il buio: resta solo un grido di indignazione destinato a perdersi nel silenzio.
Il silenzio assordante della notte della Repubblica.
Enrico Palmas
Mentre scriviamo queste righe, l’eco delle polemiche che hanno fatto seguito alla sentenza del Tribunale di Genova relativa al massacro verificatosi nella scuola Diaz in occasione del G8 del 2001 continua a propagarsi tra telegiornali e spazi di approfondimento. Dopo undici ore di camera di consiglio, il collegio presieduto da Gabrio Barone ha deciso: l’irruzione nella sede del Genova Social Forum non può essere ricostruita come una sorta di operazione repressiva programmata dagli alti quadri della catena di comando delle forze dell’ordine; la “macelleria messicana” a cui più volte ha fatto riferimento Michelangiolo Fournier fu il semplice effetto delle intemperanze di un isolato manipolo di agenti dal sangue caldo e dalla mano pesante.
Si levano alte le trombe e i tromboni della destra berlusconiana, di colpo riscopertasi paladina dell’indipendenza della magistratura; trasudano rabbia ed indignazione le tante persone comuni che attendevano, da oltre sette anni, giustizia per una delle pagine più nere della recente storia italiana.
Superando l’emozione del momento, per chi si è sempre schierato a difesa dell’autonomia dell’ordine giudiziario sarebbe un errore descrivere la pronuncia del Tribunale genovese come una “sentenza politicizzata”, o come una decisione figlia del clima di aggressione a cui le Toghe da anni sono sottoposte. Al di là delle circostanze contingenti, rimane infatti fermo il principio secondi cui le sentenze – tutte le sentenze – devono essere rispettate, senza che le possibili valutazioni in ordine al contenuto delle stesse tendano a mettere in discussione l’imparzialità, l’integrità e la buona fede dei giudici che tali sentenze hanno emesso.
No, la nostra riflessione vuole spingersi oltre, per abbracciare un profilo più ampio, e forse più inquietante, che accomuna tutti i grandi misteri d’Italia, tutti i fantasmi che si aggirano, sinistri e minacciosi, tra le tenebre della notte della Repubblica. Ogni volta che un magistrato coraggioso, un poliziotto dalla mente lucida o un cronista d’assalto giunge ad un passo da una verità sconvolgente, ad un passo dallo squarciare la cortina di oblio che avvolge i principali misteri italiani, ecco che si verifica un fatto che impedisce di gettare un salutare fascio di luce su questi angoli bui, ecco che la notte della Repubblica inghiotte con le sue tenebre ogni speranza di verità. E’ accaduto per la strage di Bologna; è accaduto per Ustica; accadrà anche per i fatti del G8.
Cosa resta oggi di quelle folli giornate del luglio 2001, quando il movimento di Seattle mise in crisi i grandi della politica, opponendo il grido “un altro mondo è possibile” alle pulsioni autoritarie di un Governo appena insediato e desideroso di accreditarsi agli occhi del pianeta come modello di ordine ed efficientismo aziendalista? Non resta niente: restano solo i ricordi di chi visse quelle giornate in prima persona, e di chi, con riferimento a quegli eventi, si limitò ad esercitare il ruolo di testimone indiretto, ipnotizzato dalle immagini e dalle notizie sparate come proiettili arroventati da tutte le TV.
Rimangono allucinanti sequenze di fotogrammi impazziti: il sangue per le strade, le mani alziate, il rumore metallico delle radio, il fumo dei lacrimogeni, le urla dei feriti, l’ululato delle sirene, la consueta girandola di dichiarazioni, accuse, appelli, smentite e contro - smentite. Rimane il resoconto del bellissimo ed appassionato intervento di Massimo D’Alema, il solo tra i leaders dell’opposizione capace di rilevare come certe “violenze da stato cileno” non erano compatibili con i principi costituzionali su cui si fonda una democrazia evoluta.
Rimane la speranza - coltivata a lungo da gran parte degli elettori dell’area democratica e vanificata dalla manifesta incapacità della precedente maggioranza di centro-sinistra di tenere fede agli impegni assunti in campagna elettorale – dell’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta in grado di accertare se i vari protagonisti di quei tre giorni di ordinaria follia potessero o meno essere individuati come le semplici pedine al servizio di un progetto politico più generale.
Ma ora, dopo più di sette anni, anche questa sequenza di fotogrammi impazziti sembra giunta ai titoli di coda. Anche sui fatti di Genova cala il buio: resta solo un grido di indignazione destinato a perdersi nel silenzio.
Il silenzio assordante della notte della Repubblica.
Enrico Palmas
Carlo Dore jr.
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