IL PREMIER CHE VORREBBE ESSERE PERON
Mentre scrivo queste righe, le polemiche nascenti dalla decisione del Governo di adottare, contro la volontà del Quirinale, un decreto legge in ordine al caso di Eluana Englaro non accennano a placarsi: nel tentativo di trovare una frase in grado di descrivere con semplicità e completezza i termini del cortocircuito che al momento inficia il corretto funzionamento del nostro sistema istituzionale, ho pensato di riprendere il titolo del bellissimo romanzo di Giovanni Maria Bellu per descrivere nel migliore dei modi la condizione di un “Premier che vorrebbe essere Peròn”.
Emergenza democratica: mai come in questo caso, appare appropriato il ricorso alla formula già utilizzata più volte per denunziare i vari tentativi, posti in essere dall’attuale maggioranza di governo, di superare l’attuale impianto costituzionale a favore di un modello di governo basato sulla figura di un Capo dell’Esecutivo concepito come “legibus solutus”. Ma oggi la situazione è diversa; oggi dobbiamo prendere atto di come, per la prima volta nella storia della Repubblica, l’emergenza democratica attraversa tre diversi livelli: quello istituzionale, quello giuridico e quello politico.
I termini dell’emergenza democratica a livello istituzionale sono stati messi in rilievo da tutti i più eminenti studiosi di diritto pubblico: premesso infatti che determinati atti governativi non assumono alcun valore senza la firma del Capo dello Stato – firma evidentemente non apponibile in calce ad un decreto - legge privo non solo dei requisiti della necessità ed urgenza previsti dall’art 77 Cost., ma anche di quei profili di generalità ed astrattezza che devono caratterizzare le norme poste dalle fonti di rango primario -, la decisione di Berlusconi di imporre al Consiglio dei Ministri l’approvazione di un decreto di cui il Colle già aveva evidenziato l’illegittimità costituzionale è chiaramente indicativa della volontà di considerare il Presidente della Repubblica alla stregua di un mero organo di ratifica delle decisioni assunte a livello governativo, di individuare nel ruolo delle istituzioni di garanzia un superfluo fattore di rallentamento per l’azione riformatrice dell’Esecutivo.
Di più: l’emergenza democratica assume anche una sua manifesta rilevanza giuridica, dato che ancora non si comprende come una legge dello Stato o un atto equiparato possa impedire l’esecuzione di una sentenza passata in giudicato prima della definitiva approvazione di tale legge, minando così una volta per sempre la credibilità della Magistratura agli occhi dei cittadini.
Infine, l’emergenza democratica non può non avere una sua rilevanza dal punto di vista strettamente politico: dopo avere indicato nella decretazione d’urgenza e nella questione di fiducia i soli strumenti di cui il Governo dispone per eludere quell’intollerabile sistema “di lacci e laccioli” che in verità caratterizza ogni democrazia parlamentare, il Presidente del Consiglio ha espresso la sua volontà di “ritornare al popolo” per riproporre una riforma organica della Carta Fondamentale, per forza di cose ispirata agli stessi criteri a cui faceva riferimento la famosa “Bozza di Lorenzago”, già sonoramente bocciata dagli elettori attraverso il referendum del giugno 2006. Il suo obiettivo è chiaro: cavalcare le divisioni interne all’area democratica e sfruttare il consenso di una parte del mondo cattolico per imporre quella sorta di iperpresidenzialismo in salsa nordista, che il Cavaliere già considerava la necessaria rampa di lancio per avviare la sua personale ascesa verso il Quirinale.
Ma se queste considerazioni sono esatte, l’emergenza democratica può assumere anche un diverso valore: può costituire l’estremo appello all’unità che il Paese rivolge ad un centro-sinistra indebolito e lacerato dalle mille dispute tra laici e credenti, riformisti e radicali, veltroniani e dalemiani, soriani ed antisoriani. In assenza di un partito capace di opporre una strategia convincente allo strapotere del Cavaliere, è infatti necessario che siano i cittadini a mobilitarsi a difesa della legalità costituzionale, contro la deriva autoritaria imposta al Paese da un Premier che vorrebbe essere Peròn.
Carlo Dore jr.
Mentre scrivo queste righe, le polemiche nascenti dalla decisione del Governo di adottare, contro la volontà del Quirinale, un decreto legge in ordine al caso di Eluana Englaro non accennano a placarsi: nel tentativo di trovare una frase in grado di descrivere con semplicità e completezza i termini del cortocircuito che al momento inficia il corretto funzionamento del nostro sistema istituzionale, ho pensato di riprendere il titolo del bellissimo romanzo di Giovanni Maria Bellu per descrivere nel migliore dei modi la condizione di un “Premier che vorrebbe essere Peròn”.
Emergenza democratica: mai come in questo caso, appare appropriato il ricorso alla formula già utilizzata più volte per denunziare i vari tentativi, posti in essere dall’attuale maggioranza di governo, di superare l’attuale impianto costituzionale a favore di un modello di governo basato sulla figura di un Capo dell’Esecutivo concepito come “legibus solutus”. Ma oggi la situazione è diversa; oggi dobbiamo prendere atto di come, per la prima volta nella storia della Repubblica, l’emergenza democratica attraversa tre diversi livelli: quello istituzionale, quello giuridico e quello politico.
I termini dell’emergenza democratica a livello istituzionale sono stati messi in rilievo da tutti i più eminenti studiosi di diritto pubblico: premesso infatti che determinati atti governativi non assumono alcun valore senza la firma del Capo dello Stato – firma evidentemente non apponibile in calce ad un decreto - legge privo non solo dei requisiti della necessità ed urgenza previsti dall’art 77 Cost., ma anche di quei profili di generalità ed astrattezza che devono caratterizzare le norme poste dalle fonti di rango primario -, la decisione di Berlusconi di imporre al Consiglio dei Ministri l’approvazione di un decreto di cui il Colle già aveva evidenziato l’illegittimità costituzionale è chiaramente indicativa della volontà di considerare il Presidente della Repubblica alla stregua di un mero organo di ratifica delle decisioni assunte a livello governativo, di individuare nel ruolo delle istituzioni di garanzia un superfluo fattore di rallentamento per l’azione riformatrice dell’Esecutivo.
Di più: l’emergenza democratica assume anche una sua manifesta rilevanza giuridica, dato che ancora non si comprende come una legge dello Stato o un atto equiparato possa impedire l’esecuzione di una sentenza passata in giudicato prima della definitiva approvazione di tale legge, minando così una volta per sempre la credibilità della Magistratura agli occhi dei cittadini.
Infine, l’emergenza democratica non può non avere una sua rilevanza dal punto di vista strettamente politico: dopo avere indicato nella decretazione d’urgenza e nella questione di fiducia i soli strumenti di cui il Governo dispone per eludere quell’intollerabile sistema “di lacci e laccioli” che in verità caratterizza ogni democrazia parlamentare, il Presidente del Consiglio ha espresso la sua volontà di “ritornare al popolo” per riproporre una riforma organica della Carta Fondamentale, per forza di cose ispirata agli stessi criteri a cui faceva riferimento la famosa “Bozza di Lorenzago”, già sonoramente bocciata dagli elettori attraverso il referendum del giugno 2006. Il suo obiettivo è chiaro: cavalcare le divisioni interne all’area democratica e sfruttare il consenso di una parte del mondo cattolico per imporre quella sorta di iperpresidenzialismo in salsa nordista, che il Cavaliere già considerava la necessaria rampa di lancio per avviare la sua personale ascesa verso il Quirinale.
Ma se queste considerazioni sono esatte, l’emergenza democratica può assumere anche un diverso valore: può costituire l’estremo appello all’unità che il Paese rivolge ad un centro-sinistra indebolito e lacerato dalle mille dispute tra laici e credenti, riformisti e radicali, veltroniani e dalemiani, soriani ed antisoriani. In assenza di un partito capace di opporre una strategia convincente allo strapotere del Cavaliere, è infatti necessario che siano i cittadini a mobilitarsi a difesa della legalità costituzionale, contro la deriva autoritaria imposta al Paese da un Premier che vorrebbe essere Peròn.
Carlo Dore jr.
Nessun commento:
Posta un commento