lunedì, aprile 13, 2009


LA SVOLTA SOCIALE DEL PARTITO A-SOCIALE


La partecipazione del segretario del Partito Democratico alla grande manifestazione tenuta dalla CGIL lo scorso 4 aprile è stato oggetto di un acceso dibattito che non ha semplicemente reso ancora più aspro il confronto tra maggioranza ed opposizione, ma ha contribuito a mettere ulteriormente in rilievo i contrasti in essere tra le varie anime del centro-sinistra. Mentre gli editorialisti di casa – Berlusconi non hanno perso l’occasione per ribadire una volta di più come “ormai è la CGIL a dettare la linea del PD”, l’ala centrista che fa capo a Letta e Rutelli ha contestato duramente la “svolta a sinistra” imposta al partito da Franceschini, evidenziando come una simile scelta strategica sia poco compatibile con la visione de-ideologizzata della politica che del partito medesimo aveva caratterizzato la formazione.
In verità, se si analizzano gli eventi che si sono succeduti dal giugno del 2007 ad oggi, si comprende come proprio la visione della “politica lieve” declinata da Veltroni nell’ormai celebre discorso del Lingotto ha costituito la principale causa della situazione di crisi in cui attualmente versa il centro-sinistra italiano, il fattore decisivo su cui è stata impostata l’ennesima marcia trionfale di Berlusconi alla volta di Palazzo Chigi.
Creato dieci anni dopo la bellissima e coinvolgente esperienza del grande Ulivo, nel bel mezzo di una stagione caratterizzata da un’instabilità che rasentava la schizofrenia, il Partito Democratico nasceva con l’ambizione di porsi come una sorta di grande contenitore in grado di intercettare i voti dell’elettorato moderato senza perdere consensi a sinistra. La filosofia veltroniana del “ma-anche” era evidentemente funzionale al perseguimento di un simile obiettivo, proponendo l’idea di un partito gazebo (non strutturato in senso tradizionale ma “flessibile” nella sua organizzazione: ricordate la polemica sul “partito liquido” e sul “partito senza tessere”?) equidistante da lavoratori e imprenditori, collocato a mezza strada tra il modello del Labour party inglese – dal quale veniva mutuata l’idea del Governo ombra – e quello dei Democratici americani, in cui le primarie plebiscito dovevano consentire al segretario eletto senza competizione di fungere da “camera di compensazione” tra le varie correnti che mettevano quotidianamente a soqquadro i locali del Nazareno.
Ovviamente, l’attuazione di questa filosofia non poteva che determinare alcune – peraltro prevedibili – distorsioni: nel tentativo di rappresentare tutte le componenti della società italiana, il PD ha finito col non rappresentare adeguatamente nessuna delle realtà che attualmente caratterizzano la vita del Paese, allontanandosi così dalle istanze e dalle rivendicazioni di quelle forze sociali che del centro-sinistra da sempre rappresentano la base elettorale di riferimento. Di più: l’idea del partito leggero, del partito senza tessere né sezioni, ha comportato la brusca interruzione dei processi utili a favorire la partecipazione dei miltanti alla vita politica, allentando ulteriormente il già sfilacciato rapporto tra rappresentanti e rappresentati.
Insomma, privo di punti di contatto con la società civile, il PD è stato ben presto percepito dagli elettori come un partito “a-sociale”, se non proprio come un partito “anti-sociale”. L’accertamento di un simile status quo è utile a spiegare una serie di fenomeni altrimenti poco comprensibili: il tentativo (fallito sia con Illy che con Soru) di coprire attraverso il carisma del leader forte la mancanza di un progetto politico degno di tale nome; il potere decisionale assunto, nell’ambito delle varie realtà locali, da quei “cacicchi” di cui Gustavo Zagrebelsky ha più volte denunciato l’esistenza; il crollo di consensi conseguente alla tendenza, acutamente evidenziata da Ilvo Diamanti, degli elettori di centro sinistra a proporsi, in quanto privi di una forza politica di riferimento, come un popolo di esuli costretto ad attraversare una terra straniera.
Di questa difficile realtà Franceschini (e Bersani prima di lui) sembra avere al fine acquisito consapevolezza: messo in soffitta il modello dell’opposizione silente ed assente, il PD deve tornare tra la sua gente, captarne gli umori, comprenderne le necessità, assecondarne le esigenze per poter ricostruire, nel prossimo futuro, un’alternativa credibile allo strapotere arrogante ed un pò pacchiano che trasuda dalle gesta quotidiane del Cavaliere.
In tal senso, l’immagine dei dirigenti democratici che marciano accanto ai lavoratori della CGIL e che assistono alla meravigliosa lezione di democrazia e cultura solidale impartita da Epifani agli epigoni di Brunetta rappresenta un segnale di speranza: la speranza che i canali di comunicazione tra società e forze politiche riprendano a funzionare a pieno regime; la speranza che, una volta superata la fallimentare stagione del “ma-anchismo”, l’assunto in base al quale “laddove c’è un povero, un disoccupato, un precario, un lavoratore non può non esserci anche un progressista” rappresenti davvero il momento iniziale della tanto auspicata svolta sociale del partito nato come forza a-sociale.

Carlo Dore jr.

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