IL REGIME DEL “GRANDE FRATELLO”:
CHE PAESE STIAMO DIVENTANDO?
Se qualche opinionista votato all’autolesionismo avesse avuto cura di esaminare le pagine de “Il Giornale” e di “Libero” degli ultimi tre giorni - magari dopo avere consultato quei blog dove le peggiori pulsioni dell’elettorato berlusconiano trovano libero sfogo – avrebbe facilmente compreso che le polemiche innescate dalle dichiarazioni al vetriolo di Veronica Lario sulla “Vallettopoli” del marito Presidente non possono essere semplicemente liquidate come la solita bufera familiare innescata dalla consorte piccata di un politico dai modi genuinamente disinvolti.
Il leitmotiv che traspare da quelle pagine è più o meno il seguente: non disturbate il Premier con questioncine di basso profilo. Lui risolve i problemi del Paese col sorriso, e pazienza se i suoi modi spicci e chiassosi lasciano a bocca aperta persino la Regina di Inghilterra; se promuove attrici, veline o letterine varie al rango di Ministro o di sottosegretario, se pensa di imporre, insieme al sempreverde Mastella, la cantante di Villa Certosa come parlamentare europeo; se decide di spostare il G8 da La Maddalena a L’Aquila come se si trattasse della sua festa privata. Agli Italiani lui piace così, quindi chi se la prende con il Presidente se la prende con la maggioranza degli Italiani.
Tuttavia, mentre l’organizzazione internazionale Freedom House ha retrocesso l’Italia al rango di “paese potenzialmente libero”, l’intera vicenda sopra richiamata impone la formulazione di una domanda, già rilanciata da Curzio Maltese attraverso le colonne di “Repubblica”: che Paese stiamo diventando?
La risposta a questo interrogativo può essere rinvenuta proprio nell’indagine della Freedom House: stiamo diventando un Paese non totalmente libero ma solo “potenzialmente” libero, un Paese del tutto appiattito sulla figura del Capo, che vive, discute, si divide e si unisce esclusivamente in funzione delle vicende che il Capo decide di dare in pasto all’opinione pubblica. Insomma, siamo tutti spettatori non paganti di un continuo reality show ambientato tra Arcore e Palazzo Grazioli, monopolizzati da quello che potremmo definire come una sorta di “regime del Grande Fratello”.
Questa affermazione non costituisce l’ennesimo prodotto dell’antiberlusconismo militante: al contrario, trova conferma in una serie di circostanze obiettive. Ad esempio: mezza Italia si commuove per il fatto che il Premier, per la prima volta dopo quattordici anni, si è deciso a celebrare la festa del 25 aprile, senza attribuire rilievo al fatto che l’azione dell’attuale maggioranza di governo risulta costantemente orientata al superamento dei principi di quella Carta Costituzionale che della Resistenza e della Liberazione rappresenta appieno i valori.
Ancora: il Premier tuona contro quei (pochi, in verità) esponenti dell’opposizione che si permettono di criticare i criteri alla luce dei quali vengono completate le liste del partito di maggioranza - magnifica combinazione tra sorrisi da copertina e vecchi professionisti della politica in servizio permanente effettivo -, invitandoli, con l’eleganza propria dello statista consumato, a pensare a quei “parlamentari antiestetici e maleodoranti” che talvolta occupano i banchi a sinistra dell’Emiciclo.
Infine, maggioranza e minoranza applaudono alla decisione unilateralmente assunta dal Presidente di portare il G8 lontano dalla Sardegna, nel silenzio assordante di un’Amministrazione regionale che – eletta pochi mesi fa proprio grazie alla contiguità politica rispetto al “governo amico” – accetta ora che venga inflitto un colpo mortale alle aspirazioni di crescita di una terra in difficoltà.
Ma se un Paese rinuncia alla propria coscienza critica, alla propria vocazione democratica, alla propria capacità di autodeterminazione, allora di quel Paese cosa resta? Resta il sultanato del Presidente, debitamente corredato dal tremebondo circo di veline, politici di professione e vari yes-man di cui le dichiarazioni di una first lady prossima alla pensione hanno solo confermato l’esistenza. Restano le pulsioni autoritarie, le ostentazioni di efficientismo e le battute sparate a reti unificate per intrattenere i protagonisti dei vertici internazionali. Resta la profonda tristezza di chi, fedele ai valori democratici consacrati nella Costituzione nata dalla lotta al fascismo, assiste impotente alla lenta deriva del sistema Italia verso il regime del Grande Fratello.
Carlo Dore jr.
CHE PAESE STIAMO DIVENTANDO?
Se qualche opinionista votato all’autolesionismo avesse avuto cura di esaminare le pagine de “Il Giornale” e di “Libero” degli ultimi tre giorni - magari dopo avere consultato quei blog dove le peggiori pulsioni dell’elettorato berlusconiano trovano libero sfogo – avrebbe facilmente compreso che le polemiche innescate dalle dichiarazioni al vetriolo di Veronica Lario sulla “Vallettopoli” del marito Presidente non possono essere semplicemente liquidate come la solita bufera familiare innescata dalla consorte piccata di un politico dai modi genuinamente disinvolti.
Il leitmotiv che traspare da quelle pagine è più o meno il seguente: non disturbate il Premier con questioncine di basso profilo. Lui risolve i problemi del Paese col sorriso, e pazienza se i suoi modi spicci e chiassosi lasciano a bocca aperta persino la Regina di Inghilterra; se promuove attrici, veline o letterine varie al rango di Ministro o di sottosegretario, se pensa di imporre, insieme al sempreverde Mastella, la cantante di Villa Certosa come parlamentare europeo; se decide di spostare il G8 da La Maddalena a L’Aquila come se si trattasse della sua festa privata. Agli Italiani lui piace così, quindi chi se la prende con il Presidente se la prende con la maggioranza degli Italiani.
Tuttavia, mentre l’organizzazione internazionale Freedom House ha retrocesso l’Italia al rango di “paese potenzialmente libero”, l’intera vicenda sopra richiamata impone la formulazione di una domanda, già rilanciata da Curzio Maltese attraverso le colonne di “Repubblica”: che Paese stiamo diventando?
La risposta a questo interrogativo può essere rinvenuta proprio nell’indagine della Freedom House: stiamo diventando un Paese non totalmente libero ma solo “potenzialmente” libero, un Paese del tutto appiattito sulla figura del Capo, che vive, discute, si divide e si unisce esclusivamente in funzione delle vicende che il Capo decide di dare in pasto all’opinione pubblica. Insomma, siamo tutti spettatori non paganti di un continuo reality show ambientato tra Arcore e Palazzo Grazioli, monopolizzati da quello che potremmo definire come una sorta di “regime del Grande Fratello”.
Questa affermazione non costituisce l’ennesimo prodotto dell’antiberlusconismo militante: al contrario, trova conferma in una serie di circostanze obiettive. Ad esempio: mezza Italia si commuove per il fatto che il Premier, per la prima volta dopo quattordici anni, si è deciso a celebrare la festa del 25 aprile, senza attribuire rilievo al fatto che l’azione dell’attuale maggioranza di governo risulta costantemente orientata al superamento dei principi di quella Carta Costituzionale che della Resistenza e della Liberazione rappresenta appieno i valori.
Ancora: il Premier tuona contro quei (pochi, in verità) esponenti dell’opposizione che si permettono di criticare i criteri alla luce dei quali vengono completate le liste del partito di maggioranza - magnifica combinazione tra sorrisi da copertina e vecchi professionisti della politica in servizio permanente effettivo -, invitandoli, con l’eleganza propria dello statista consumato, a pensare a quei “parlamentari antiestetici e maleodoranti” che talvolta occupano i banchi a sinistra dell’Emiciclo.
Infine, maggioranza e minoranza applaudono alla decisione unilateralmente assunta dal Presidente di portare il G8 lontano dalla Sardegna, nel silenzio assordante di un’Amministrazione regionale che – eletta pochi mesi fa proprio grazie alla contiguità politica rispetto al “governo amico” – accetta ora che venga inflitto un colpo mortale alle aspirazioni di crescita di una terra in difficoltà.
Ma se un Paese rinuncia alla propria coscienza critica, alla propria vocazione democratica, alla propria capacità di autodeterminazione, allora di quel Paese cosa resta? Resta il sultanato del Presidente, debitamente corredato dal tremebondo circo di veline, politici di professione e vari yes-man di cui le dichiarazioni di una first lady prossima alla pensione hanno solo confermato l’esistenza. Restano le pulsioni autoritarie, le ostentazioni di efficientismo e le battute sparate a reti unificate per intrattenere i protagonisti dei vertici internazionali. Resta la profonda tristezza di chi, fedele ai valori democratici consacrati nella Costituzione nata dalla lotta al fascismo, assiste impotente alla lenta deriva del sistema Italia verso il regime del Grande Fratello.
Carlo Dore jr.
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