venerdì, settembre 16, 2011



TRA LUCI ED OMBRE, A PESARO NASCE UN LEADER?

Pesaro accoglie Pierluigi Bersani in una piazza inondata di luce e di bandiere, con i manifestanti che si dividono i pochi spazi all’ombra del palco e del grande palazzo con l’orologio. Il Segretario sorride e regala una di quelle battute che avrebbero fatto felice il suo imitatore Crozza: “O Ragazzi, siam mica qua ad abbronzarci al comizio?”. Il popolo democratico ricambia il sorriso e batte le mani: le rottamazioni di Renzi sono lontane, così come le narrazioni di Vendola e gli “I care” di Veltroni. Bersani parla una lingua diversa: non è un rottamatore né un narratore, è un dirigente della vecchia scuola chiamato ad elaborare un’alternativa di governo.

Alcuni commentatori assiepati sotto il palco affilano la penna nell’inchiostro della polemica: malgrado la luce di Pesaro, lunghe ombre oscurano la leadership dell’ex ministro del governo Prodi. Il caso-Penati ha lacerato la base come ai tempi dell’affaire Unipol, la minoranza interna si prepara all’ennesimo redde rationem, mentre i sostenitori della politica new age mugugnano inferociti: Bersani è debole, Bersani è logoro, Bersani è l’apparato che non muore mai. Cambiamento, rinnovamento, “partito leggero” tra facebook e gli I-pad.

Bersani sorride, e parla: parla di un’Italia spinta sull’orlo del precipizio di una crisi senza ritorno dalla deriva egocratica di un premier asserragliato nella stanza del potere, oppresso dal terrore di affogare nell’ingestibile circuito di interessi privati, starlette, faccendieri, veline e calciatori con cui per anni ha alimentato la logica del “ghe pensi mì”; parla di un sistema politico impegnato giorno e notte ad elaborare soluzioni per le personali pendenze del Princeps, e dunque non in grado di avviare quelle riforme strutturali di cui il Paese avverte disperato bisogno. Non è più tempo di dialoghi e di mediazioni, la voce del Segretario si unisce al grido della Piazza: “Dimissioni! Dimissioni!”

Bersani parla: parla del partito che ha in mente, fortemente radicato nella galassia delle forze progressiste europee; parla di un partito strutturato e presente sul territorio, in grado di assolvere la sua tradizionale funzione di catena di collegamento tra società ed istituzioni; parla di un partito collocato al centro di una vasta alleanza riformatrice, di un nuovo Ulivo capace di traghettare l’Italia oltre le secche del populismo berlusconiano; parla di un partito della Costituzione, di un partito della Resistenza, di un partito del 25 aprile. La riforma della politica è al centro del progetto: la cultura della diversità non costituisce un tratto cromosomico, ma rappresenta una regola di condotta che deve ispirare l’azione di una forza politica erede della grande tradizione della sinistra italiana.

Buona politica, diversità, etica.

Già, l’etica. Bersani si ferma, prende fiato, guarda la piazza ed il grande orologio: non può nascondersi dietro una battuta alla Crozza, è consapevole di quanto il fantasma di Penati, l’eco del sistema-Sesto e delle vicende di Serravalle stiano mettendo in pericolo la sua leadership. Le parole del Segretario arrivano, altro spiraglio di luce che allontana le ombre: non pretende sconti per un suo dirigente sottoposto a procedimento penale, chiede alla magistratura di accertare al più presto la verità dei fatti, si aspetta un passo indietro dagli esponenti democratici coinvolti in inchieste politicamente sensibili. Ma deve difendere il buon nome del Partito dalla logica del calderone, dal teorema di quanti sostengono “tutti sono uguali, tutti rubano nella stessa maniera”, nella consapevolezza del fatto che se Berlusconi avesse fatto un passo indietro ogni qualvolta è stato coinvolto in un’indagine avrebbe rapidamente coperto la distanza tra Roma ed Arcore.

E mentre gli applausi si disperdono nella luce che cala, le parole di Bersani richiamano il ricordo di Mino Martinazzoli, autorevole esponente di quel cattolicesimo democratico lontano anni-luce dalle logiche del CAF; di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica caduto sotto i colpi della camorra; e soprattutto di quello splendido, indimenticato ed indimenticabile Enrico Berlinguer, e del suo progetto di ricondurre i partiti alla loro naturale collocazione di strumento preposto “alla formazione della volontà politica della nazione, interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni”.

Il discorso del Segretario si avvia al termine, i militanti arrotolano le bandiere ed abbandonano la piazza, ormai stabilmente occupata dalle ombre della sera che incombe. Eppure, l’eco degli applausi continua a rimbombare tra i palazzi di Pesaro, spingendo sempre più lontano le rottamazioni di Renzi e le narrazioni di Vendola. Ed anche i più strenui sostenitori della politica new age iniziano ad avvertire un dubbio, da condividere tra facebook e gli I-pad: forse, in questo strano gioco di ombre e luci, tra le battute alla Crozza e le stoccate a Berlusconi, tra la ricerca dell’alternativa ed il ricordo di Berlinguer, vale la pena di credere che il centro-sinistra abbia davvero trovato il suo leader.

Carlo Dore jr.

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