Pierluigi
Bersani percorre in solitudine la discesa che, dal Quirinale, si dipana verso
l'ingresso della Camera dei Deputati: in solitudine, con la consapevolezza che
solo una magia potrà favorire l'ascesa dei progressisti al governo di un Paese
attanagliato dall'autoritarismo egocratico di Berlusconi e dal populismo
reazionario di Grillo; in solitudine, affidando le speranze di cambiamento di
un popolo intero alla luce che muore tra i tetti di Roma; in solitudine, con le
mille fazioni di un partito mai unito pronte a rivendicare lo scalpo di un
segretario troppo “a sinistra” per farsi amare dai cantori del nuovo che
avanza; in solitudine, come chi combatte da anni con l'ingrata (e forse
ingenerosa) etichetta di “mago a metà”.
Pierluigi, mago a metà: abile ad
intuire per primo i rischi insiti nella strategia veltroniana del partito
liquido, ma non abbastanza deciso nel contrastare la corsa dell'ex sindaco di
Roma alla guida del partito; determinante per porre fine all'ultima epopea
berlusconiana, ma poco risoluto nell'orientare la gelida azione dei tecnici di
governo; risoluto nel neutralizzare l’intifada dei rottamatori, ma poco
incisivo nel momento di sovrapporre la serietà della sua proposta politica ai
latrati del duetto tra comici. La magia inizia, ma pare spezzarsi sul più
bello: serietà e competenza non sembrano argomenti paganti nell'epoca della
politica-spettacolo, e Pierluigi si ritrova da solo, a fare i conti con la
maledizione del mago a metà.
Mentre completa il percorso tra il
Quirinale e Montecitorio, Bersani inizia ad esplorare le macerie di un sistema
politico prossimo al collasso: Renzi affila le armi, in attesa di un'altra
rottamazione annunciata; Grillo scaglia l'ennesimo anatema via web, scatenando
gli istinti bellicosi dei suoi sempre meno convinti adepti; Berlusconi
risfodera la maschera dello statista per proporre un altro patto scellerato,
manifestando la disponibilità a barattare un pugno di voti con un salvacondotto
in grado di paralizzare definitivamente l'azione delle Procure. Il mago a metà
scuote la testa, indifferente ai malumori della sempre più nutrita pattuglia di
dissidenti: le istituzioni non sono un mercato delle vacche, con il PDL non
possiamo trattare.
Ma i numeri continuano a palesare la
cruda realtà dei fatti: sulla carta, la maggioranza proprio non c'è, per
governare serve una magia. Bersani lancia un'altra occhiata verso il cielo di
Roma: la luce non è ancora scomparsa del tutto, un filo di speranza è ancora
intatto. Bisogna tentare, vale la pena di tentare: lo chiedono i militanti
presentatisi in massa alle primarie per rivendicare l'orgoglio che deriva
dall'appartenenza ad una storia collettiva; lo chiedono i milioni di cittadini
che, sostenendo il Partito democratico, hanno dimostrato di credere che il
modello di “Italia giusta” declinato durante la campagna elettorale coincidesse
con la prospettiva di un'Italia migliore; lo chiede un Paese costretto a vivere
da anni sul baratro di una crisi senza ritorno, pericolosamente sospeso tra la
prospettiva di una svolta democratica e quella, assai più inquietante, di una
deriva autoritaria.
E allora, avanti con gli otto punti:
avanti con un programma ispirato ai
valori della legalità, della moralità e della giustizia sociale, avanti con il
tentativo di coinvolgere le coscienze libere presenti tra gli scranni di
Palazzo Madama in un progetto di cambiamento non più derubricabile a mero libro
dei sogni. Coinvolgere le coscienze libere in un effettivo progetto di
cambiamento: sarebbe una magia. Tocca Pierluigi, mago a metà.
Carlo Dore jr.
(articolo pubblicato su
cagliari.globalist.it).
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