Si respira uno strano clima, mentre
Renzi ed il Ministro Boschi elencano a beneficio delle telecamere i passaggi
fondamentali della legge elettorale appena approvata dalla Camera dei Deputati:
le mille criticità che hanno scandito il voto di Montecitorio vengono superate
in un battito di ciglia, affogate in profluvio di riferimenti a svolte epocali,
traguardi storici, sconfitte dei gufi e vittorie conseguite a tavolino sui
cantori dell’eterno disfattismo. I protagonisti della presunta “svolta buona”
gonfiano il petto, abusando scientemente del linguaggio da cine-panettone: in
fondo, questo è il “tempo del coraggio”, non dei vuoti sofisimi praticati dai
teorici della democrazia parlamentare.
Eppure, lo strano clima che aleggia
nella sala stampa di Palazzo Chigi resta inalterato, malgrado frasi ad effetto
ed impegni assunti a reti unificate, e continua a gravare sull’Italicum con
tutto il peso di una domanda destinata a rimanere senza risposta: nel tempo del
coraggio, c’è ancora spazio per la cultura della Costituzione?
Figlio legittimo dell’accordo
concluso da Renzi e Berlusconi in quel di Sant’Andrea delle Fratte (e maledetto
dall’immagine della partita a golf tra Che Guevara e Fidel Castro), l’Italicum
dovrebbe costituire il primo passaggio di un percorso riformatore destinato ad
includere anche il superamento del bicameralismo perfetto e la riforma del
titolo V della Carta Fondamentale: una vera e propria relecture dei pilastri del nostro sistema istituzionale, concordato
al chiuso di una stanza da due leader accomunati dall’adesione alla logica de “L’Etàt c'est moi”.
E così, ecco apparire una nuova
legge elettorale destinata ad operare per la sola Camera dei Deputati, mentre
l’elezione dei senatori continua ad essere regolata dagli ultimi brandelli del
Porcellum. A quanti segnalano i rischi a cui va incontro un Paese costretto a
danzare sul baratro della sostanziale ingovernabilità, rilevando l’impossibilità
di far coesistere due sistemi radicalmente antitetici (un proporzionale con
sbarramento, liste bloccate, premio di maggioranza ed eventuale doppio turno;
ed un proporzionale puro, senza premio di maggioranza e con le preferenze), il
premier oppone una infastidita scrollata di spalle: che ci importa del Senato,
se tanto lo dobbiamo abolire? Basta rallentare il rinnovamento ricorrendo a
bizantinismi inutili: è il tempo del coraggio, non del disfattismo!
Ma le certezze del Presidente del
Consiglio si infrangono contro quell’interrogativo inevaso: quale spazio rimane
alla cultura della Costituzione nel tempo del coraggio? Già, la Costituzione:
la Costituzione sfugge alla piena disponibilità degli uomini del fare, rimesso
com’è il procedimento di revisione al doppio passaggio parlamentare, alla
presenza di maggioranze qualificate, all’eventuale referendum confermativo. Un
procedimento aggravato, e come tale non del tutto controllabile dalla
maggioranza politica contingente; un procedimento aggravato, il cui esito non
può considerarsi scontato per chiunque abbia acquisito un minimo di cultura
costituzionale.
Di più: chiunque abbia acquisito un
minimo di cultura costituzionale sarebbe in grado di rilevare l’anomalia
collegata all’approvazione di una legge che di fatto considera già superato un
principio (quello del bicameralismo paritario) ancora vivo e vitale in seno all’ordinamento
tracciato dalla Carta Fondamentale. Siamo ben oltre la riflessione sui
possibili profili di illegittimità costituzionale che potrebbero caratterizzare l’Italicum:
siamo all’istituzionalizzazione della cultura dell’incostituzionalità.
E allora, la risposta a quell’interrogativo
inevaso implica di fatto la soluzione dell’ulteriore quesito prospettato da
alcuni esponenti della minoranza interna al Partito democratico all’indomani
del patto di Sant’Andrea delle Fratte, suggellato sotto l’icona incredula del
Che: per quale motivo non si è approvata una norma che, restituendo efficacia
alla legge elettorale in vigore fino al 2006, avrebbe permesso all’Italia di
superare le secche del semestre europeo, per poi affidare alla maggioranza
uscita vincitrice dalle nuove elezioni il compito di intraprendere un percorso
di riforme ispirato ad un programma politico ben definito?
Altra scrollata di spalle, altra
battuta al vetriolo: basta con i gufi, basta con il disfattismo. Siamo gli
uomini del fare, siamo quelli della svolta buona: siamo i protagonisti del
tempo del coraggio. Già, del tempo del coraggio, in cui non c’è più spazio per
la cultura della Costituzione.
Carlo
Dore jr.
(cagliari.globalist.it)
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