"Piaccia o meno a quelli che vogliono frenare, noi porteremo a casa il risultato. Faremo le riforme perché è giusto che l’Italia torni ad essere leader: non lasceremo l’Italia a chi dice solo no”. Le parole di Renzi mettono il sigillo
sul percorso di riforma della Carta Fondamentale nel quale il segretario del PD
ha investito gran parte della sua leadership: il “patto del Nazareno” sembra
destinato a reggere, un Berlusconi politicamente esangue e assediato da conti
in rosso, aziende da salvare, servizi sociali da scontare e nuove condanne da
schivare non può permettersi di abdicare dal ruolo di padre costituente che il
Presidente del Consiglio gli ha inaspettatamente riconosciuto. Sì, il “patto
del Nazareno” è destinato a reggere: alla faccia di gufi, rosiconi, frenatori e
sabotatori vari ed eventuali. Alla faccia di chi sa solo dire “no”.
Epigono conclamato dei fautori di
quel leaderismo plebiscitario che ha scandito il declino della Seconda
Repubblica, il giovane premier affronta a petto in fuori dubbi, quesiti,
giornalisti ed oppositori interni: trasformando la discussione politica in un
continuo referendum sulla sua persona, rinnovando la visione di un Paese diviso
tra guelfi e ghibellini, o meglio – secondo i neologismi propri del vangelo
secondo Matteo – tra innovatori e frenatori. O con il rinnovamento, o con i
sabotatori; o con Renzi, o rosicone.
Eppure, anche dinanzi alla
manifestazione di muscoli che quotidianamente si dipana tra Palazzo Chigi e
Ponte Assieve, c’è ancora qualcuno che proprio non vuole rinunciare alla
fastidiosa abitudine di porre domande, di interrogarsi sulle ragioni
ispiratrici di una riforma destinata (nei fatti) a sconvolgere gli equilibri
dell’ordinamento democratico, di determinare l’incidenza che questa riforma
potrà assumere sul nostro sistema costituzionale. E di opporre, se del caso,
agli aut-aut del Presidente del Consiglio una risposta tanto semplice quanto
potenzialmente eversiva, alla luce del clima politico generale: grazie, no.
Sono tanti, i nemici nel mirino del
premier: non tutti espressione dei “poteri forti” che lucrano sulla
conservazione di privilegi e rendite di posizione; non tutti guelfi decisi a
sabotare il percorso intrapreso dai ghibellini del cambiamento; non tutti
rosiconi di professione che si ostinano a non voler cambiare verso.
Ci sono i tanti democratici
autentici che, dopo essersi mobilitati per anni a difesa delle istituzioni di
garanzia messe sotto attacco dallo strapotere berlusconiano, non sono disposti
ad accettare il perpetrarsi della logica dell’Uomo solo al comando; ci sono gli
ultimi esponenti di una sinistra orgogliosa della propria identità e del
proprio sistema di valori, che non vogliono barattare le conquiste ottenute in
mezzo secolo di battaglie civili con uno strapuntino sul carro del vincitore; e
ci sono soprattutto coloro i quali, dopo avere ribadito nel referendum del 2006
l’attualità dell’impianto della Carta Fondamentale, non possono assecondarne
passivamente lo stravolgimento.
Frenatori, rosiconi, gufi: le invettive
di Renzi sono destinate a scivolare via, come pioggia sull’asfalto. Ad un patto
costituente che di fatto assicura la sopravvivenza (forse, prima personale che
politica) al Cavaliere decaduto; all’ipotesi di un Senato ridotto alla
pletorica funzione di tribuna di rappresentanti delle varie realtà locali; alla
prospettiva di un sistema che – tra premi di maggioranza, liste bloccate,
fiducia monocamerale, potere del premier di nomina e revoca dei ministri – in
pratica consegna al leader del partito di maggioranza il monopolio esclusivo
delle istituzioni si può opporre soltanto quella semplice risposta, in
controtendenza rispetto al verso che cambia: grazie, no.
Carlo
Dore jr.
Cagliari.globalist.it
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