“Domani
mi iscrivo al PD per poter stracciare la tessera”. Le parole twittate da
Gherardo Colombo costituivano l’ideale cassa di risonanza del ruggito della
folla inferocita, riversatasi in Piazza Montecitorio nei giorni dell’elezione
del Presidente della Repubblica: per rimproverare a Bersani il tentativo di
condividere con le opposizioni il nome del futuro inquilino del Colle, per
manifestare indignazione e sdegno verso quella che veniva percepita come un’altra
resa senza condizioni ai diktat della destra berlusconiana.
Anche
a distanza di un anno da quelle folli giornate, non abbiamo dimenticato le
piazze piene e le tessere del PD bruciate davanti alle telecamere, non abbiamo
dimenticato le riunioni da EatItaly e le marcette degli occupy-PD, non abbiamo
dimenticato i 101 a volto coperto e l’inferno del Capranica. Non abbiamo
dimenticato l’indignazione scatenata ad arte su una materia che, per assurdo
paradosso, la stessa Carta Costituzionale rende necessariamente oggetto di
trattativa e condivisione tra le varie forze presenti in Parlamento.
“Domani
mi iscrivo al PD per poter stracciare la tessera”: le parole di Colombo non
possono non tornare alla memoria oggi, mentre un accordo perfezionatosi al
chiuso di una segreteria minaccia di stravolgere gli equilibri dell’ordinamento
costituzionale, mentre una trattativa anomala potrebbe elevare Berlusconi dal
fango dei servizi sociali all’empireo dei padri costituenti. Dove sono ora i
protagonisti di quella protesta? Dove sono ora, che davvero si riscontrano
ragioni valide per strappare la tessera del PD?
La
domanda è destinata a rimanere drammaticamente inevasa: perduta nel silenzio di
una piazza vuota, obliterata dall’unanimismo imposto dalla trasformazione dei rottamatori
in grigie sentinelle dello status quo,
schiacciata dalle dinamiche schizofreniche e grossolane della “politica del
fare”.
Le
poche voci critiche rispetto ai capisaldi del Patto del Nazareno sono destinate
a soccombere alla ridda di invettive contro gufi professori, gufi brontoloni e
gufi indovini ed altre categorie ornitologiche inventate al solo scopo di
appagare le pulsioni revansciste del piemier-segretario: viene riconosciuta l’importanza
della presenza di Berlusconi al tavolo delle riforme, il dialogo tra Verdini e
Guerrini assicura all’ex Cavaliere quel ruolo di primo piano che gli era stato
sottratto da codici ed ermellini.
Le
rassicurazioni sparate da Renzi a mezzo stampa assumono l’incidenza del più
innocuo tra i temporali estivi: i democratici non intendono negare la
centralità politica al fondatore della nascente Terza Repubblica, non possono non
riconoscere la legittimazione di colui il quale viene quotidianamente indicato
come l’interlocutore privilegiato del processo riformatore in atto. Sì,
Berlusconi è di nuovo al centro della scena, impegnato direttamente nel
superamento di quella Carta costituzionale da sempre percepita come un arcaico
rigurgito di cultura filosovietica, nell’attuazione di una forma di governo in
grado di esaltare le virtù salvifiche dell’uomo solo al comando.
E’
troppo. Dovrebbe essere troppo, per quella fetta di Paese che, nell’arco di un
ventennio, del berlusconismo ha sempre avversato la vena egocratica, scollacciata
e nemmeno tanto vagamente autoritaria. Adesso sarebbe lecito attendere una
reazione: piazze piene, militanti inferociti, sedi occupate, tessere del PD bruciate
a beneficio delle telecamere, minoranze interne pronte a sfiduciare la
segreteria in carica. Invece, solo silenzio: tacciono i rottamatori di ieri,
scientificamente insediatisi nelle odiate stanze dei bottoni; tacciono gli
occupy-PD, dispersi nell’attuazione del tanto auspicato ricambi generazionale;
tacciono i contestatori del Capranica, preoccupati di non pregiudicare il
rinnovamento della politica finalmente in atto.
“Domani
mi iscrivo al PD per poter stracciare la tessera”. Il tweet di Gherardo Colombo
assume oggi un significato vagamente paradossale: l’indignazione scatenata
contro un dialogo previsto dalla Costituzione viene meno dinanzi alla
prospettiva di un patto volto a sabotare gli assetti delineati Carta. E’ il
paradosso destinato a contrassegnare il DNA della Terza Repubblica: il
paradosso della tessera strappata.
Carlo
Dore jr.
(cagliari.globalist.it)
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