Gentile
Senatore,
ho
letto con attenzione il suo articolo pubblicato su “Huffington post”, nel quale
descrive il confronto sulle riforme istituzionali consumatosi in seno al
Partito democratico come produttivo di una mediazione “degna della nostra
Costituzione”. Proprio in ordine all’esito di tale confronto – anche alla luce
delle posizioni da Lei coerentemente sostenute in questi mesi – ritengo
opportuno spendere qualche considerazione ulteriore, per valutare se la riforma
in atto possa considerarsi effettivamente “degna” della nostra Carta
Fondamentale, e se la mediazione a cui Lei si richiama non si sia di fatto
tradotta, per la minoranza interna, nell’ennesima occasione mancata.
Circa
la “dignità costituzionale” delle proposte da Lei avanzate, se da un lato non
si può dubitare del fatto che l’elettività dei senatori e l’attribuzione alla
nuova Camera alta di più penetranti funzioni di garanzia abbiano limitato alcune
delle più evidenti storture del ddl Boschi, è d’altro innegabile che la
“mediazione” consacrata nei tre emendamenti al momento all’esame del Senato non
abbia inciso sulle principali criticità del disegno riformatore in atto.
Continua infatti a non ravvisarsi, tra le varie forze presenti in Parlamento,
quel substrato di valori comuni da cui trae vita il “compromesso alto” nel
quale ogni Costituzione si identifica; persiste l’anomalia costituita da un
Governo che di fatto ancora il destino della legislatura ad una materia (come
quella delle riforme costituzionali) di esclusiva competenza parlamentare;
emergono quotidianamente (anche attraverso le dichiarazioni ultimative rivolte
all’indirizzo del Presidente Grasso) i limiti di una classe dirigente forse non
all’altezza di riformare quell’autentico capolavoro di ingegneria giuridica che
è la Carta elaborata da Calamandrei e Mortati; rimane fermo l’ordito normativo
(composto dall’Italicum e dal ddl Boschi) che assegna al leader del partito di
maggioranza il controllo pressoché totale delle istituzioni.
Insomma,
Gentile Onorevole, l’elettività dei Senatori (intermediata dalla ratifica ad
opera dei Consigli regionali: a questo punto, percepita come un inutile
appesantimento del processo di selezione dei membri della Camera alta) attenua
ma non esclude il pericolo della “svolta autoritaria” più volte denunciato da
Gustavo Zagrebelsky, rallenta ma non neutralizza il passaggio dalla democrazia
parlamentare a quella sorta di leadercrazia sorridente di cui il Presidente del
Consiglio continua ad immaginarsi regista e primo attore.
Le
riflessioni appena formulate ci portano a esaminare i contorni dell’occasione
mancata dalla minoranza del PD, apparsa, ancora una volta, più preoccupata di
salvaguardare l’unità del partito che di preservare certi valori fondamentali:
dinanzi alle continue esondazioni di un Segretario che basa la sua leadership
più sulla fidelizzazione che sul confronto, la minoranza interna ha avuto
l’opportunità di certificare agli occhi dei cittadini – se del caso, anche attraverso
il voto parlamentare - l’esistenza di un
“Partito della Costituzione” non disposto a scambiare la “buona manutenzione
costituzionale” (praticabile attraverso interventi circoscritti, come la
riduzione del numero dei deputati e dei senatori, la riforma del sistema delle
immunità, l’integrazione del Senato con alcuni rappresentati delle autonomie
locali) con il radicale stravolgimento della forma di governo delineata dalla
Carta, di una sinistra che non accetta compromessi su quegli stessi valori
fondamentali a cui ho poc’anzi fatto cenno. Sarebbe stato, a quel punto, onere e
responsabilità del segretario – premier (altra insopportabile anomalia
italiana) scegliere se preservare l’unità del partito impostando l’azione di
governo in osservanza di questi valori fondamentali, o se procedere in spregio
di essi, cercando il consenso di altre forze politiche per supportare l’azione
riformatrice del suo Esecutivo.
Con
la mediazione consacrata nei tre emendamenti al ddl Boschi, la minoranza del PD
ha scelto una diversa strada: quella di un accordo che attenua ma non risolve
le criticità della riforma costituzionale di prossima approvazione, quella di
un utile ma non decisivo compromesso al ribasso destinato ad assumere,
nell’immediato futuro, i caratteri dell’ennesima occasione mancata.
Con
immutata stima,
Carlo
Dore jr.
Nessun commento:
Posta un commento