Di seguito il testo della mia relazione all'incontro: "Modifiche costituzionali e procedimento legislativo: semplificazione o complicazione?", svoltosi a Cagliari il 12.4.2016
Le leggi siano poche, semplici, chiare: affinché nessuno, per capirle, abbia bisogno di nessuno.
Ø Obiettivi
della riforma: maggiore efficienza del sistema politico, procedimento
legislativo più semplice e agile, riduzione dei costi della politica.
Funzionale all’attuazione di questo
obiettivo sarebbe il “superamento del bicameralismo perfetto” delineato dagli
art. 70 ss. Cost.: l’impianto della riforma si regge infatti sulla presenza
della Camera dei Deputati (eletta grazie all’Italicum) a cui spetta il potere
di accordare la fiducia al governo e di approvare gran parte delle leggi
(quelle per la cui approvazione la Carta non richiede il concorso del Senato),
e appunto di un Senato descritto come una sorta di Bundesrat all’italiana.
Ø Il
nuovo Senato - composto da 21 sindaci e
da consiglieri regionali designati dai rispettivi Consigli di appartenenza (previa
“indicazione” dei cittadini), oltre che dai membri di nomina presidenziale, che
rimangono in carica per sette anni - “rappresenta le istituzioni territoriali
ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi
della Repubblica”, e svolge inoltre una funzione di raccordo tra lo Stato, gli
altri enti costitutivi della Repubblica e l’UE.
E’ a questo punto necessario valutare se le
scelte dei nuovi costituenti possano o meno considerarsi in linea con gli
obiettivi dallo stesso perseguiti.
Ø Muovendo
dal problema della riduzione dei costi della politica, occorre subito segnalare
che la qualità di una democrazia non può essere valutata esclusivamente in
termini economici. E’ certo che la mancata corresponsione di una indennità ai
nuovi senatori (la cui remunerazione si esaurisce nelle spettanze ad essi
riconosciute in ragione della loro carica di sindaco o di consigliere
regionale) porterà ad una riduzione della spesa corrente, ma è altrettanto
certo che questa riduzione non sarà tanto sensibile da alleggerire in maniera
decisiva il bilancio dello Stato.
I nuovi senatori, infatti, avranno comunque
diritto a dei rimborsi per le spese di viaggio e di pernottamento; inoltre, la
presenza di un “Senato” (seppure non elettivo) implica comunque che, lungi
dall’essere trasformata in un museo, la struttura organizzativa di Palazzo
Madama continuerà ad operare, e i costi che questa struttura comporta
continueranno a gravare sulle casse dello Stato.
Ø Sotto
il profilo della maggiore efficienza della politica e della semplificazione del
procedimento legislativo (gravato dall’insopportabile fardello della navetta
tra Camera e Senato imposta ad ogni ddl dal bicameralismo paritario), colpisce
la differenza di formulazione tra l’attuale testo degli art. 70 ss. Cost., e la
formulazione che le stesse disposizioni finirebbero con l’assumere se il
progetto di riforma al momento all’esame della Camera dei deputati dovesse
superare lo scoglio del referendum.
Ø Le
norme costituzionali al momento in vigore che disciplinano il procedimento di
approvazione della legge si caratterizzano per la loro assoluta trasparenza.
L’art. 70, ad esempio, così statuisce: “La funzione legislativa è esercitata
collettivamente dalle due Camere”. L’art. 72, invece, tratteggia il ruolo che
le commissioni parlamentari possono svolgere nell’ambito del suddetto
procedimento, donde la distinzione tra procedimenti con commissione referente,
procedimenti con commissione deliberante, procedimenti con commissione
redigente.
Una chiarezza che stride con l’autentico
“sudoku” di procedimenti diversi che la riforma delinea nel tentativo di
differenziare le competenze tra le due Camere, di superare cioè il
bicameralismo perfetto con una sorta di monocameralismo spurio (o, più
precisamente, di bicameralismo sciancato) la cui ricostruzione non risulta né
semplice, né tantomeno rapida.
Ø Perché
“monocameralismo spurio” o “bicameralismo sciancato”? Perché, dall’esame del
testo della riforma, una prima criticità viene subito posta all’attenzione
dell’interprete: il bicameralismo perfetto non viene integralmente superato. Il
Senato continua infatti a concorrere all’approvazione di alcuni importanti
disegni di legge.
In particolare, il Senato partecipa all’approvazione:
1) delle leggi costituzionali e di
revisione costituzionale;
2) delle leggi di attuazione delle
disposizioni costituzionali in materia di referendum popolari e “altre forme di
consultazione anche delle formazioni sociali” (ndr., quali siano queste
particolari forme di consultazione delle formazioni sociali non è dato sapere…)
3) delle leggi elettorali e delle leggi che
disciplinano l’ordinamento e gli organi di governo dei Comuni, delle Città
metropolitane nonché delle varie forme di associazione tra i Comuni;
4) delle c.d. leggi comunitarie;
5) delle leggi che determinano i casi di
incompatibilità e di ineleggibilità dei senatori;
6) della legge che attribuisce i seggi in
Senato e che regola l’elezione dei Senatori tra consiglieri regionali e sindaci
(e già sul punto si apre un potenziale problema di costituzionalità: può questa
legge essere approvata dal Senato nella sua attuale composizione, ancorché il
nuovo testo della Carta ne rimetta l’approvazione a un Senato rappresentativo
delle istituzioni territoriali?)
7) delle leggi di ratifica dei trattati UE,
della legge che contiene l’ordinamento di Roma capitale, delle leggi che
delegano alle Regioni la potestà regolamentare in materie di esclusiva
competenza statale; delle leggi che regolano le condizioni in presenza delle
quali le Regioni possono siglare intese con altri Stati o con enti territoriali
di altri Stati; altre leggi in materia di enti locali.
v Problema:
se da un lato è comprensibile il coinvolgimento del nuovo Senato nel
procedimento di approvazione di leggi che riguardano le autonomie locali,
d’altro lato non si comprende né la ragione per cui un Senato rappresentativo
delle istituzioni territoriali debba concorrere all’approvazione di leggi che riguardano
il sistema istituzionale statale, né il motivo che giustifica la scelta di
attribuire a un Senato composto da consiglieri regionali e sindaci una funzione
di raccordo tra Stato, enti costituzionali e UE.
I sostenitori della riforma trovano la
risposta a questi interrogativi nel parallelismo tra il nuovo Senato e il
Bundesrat. Anche il Bundesrat, infatti, partecipa ai procedimenti di revisione
costituzionale, e alla trattazione delle questioni riguardanti l’UE: perché il
modello tedesco non dovrebbe funzionare anche in Italia?
Al riguardo, occorre però rimarcare una
prima (e particolarmente significativa) differenza tra il modello del Senato
delineato dal ddl Renzi – Boschi e il Bundesrat: mentre il Senato dei cento è
composto da sindaci e da consiglieri regionali (appartenenti a diversi partiti,
e chiamati a rappresentare, in seno all’assemblea, le posizioni del partito di
riferimento senza peraltro essere gravati dal vincolo di mandato), i membri del
Bundesrat sono i rappresentanti dei governi dei singoli Lander, cioè dei
singoli stati federati, che, per forza di cose, godono di condizioni di
autonomia differenti da quelle che caratterizzano le regioni e i comuni
nell’ambito del nostro ordinamento. Inoltre, proprio in quanto espressione dei
Lander, i componenti del Bundesrat devono rappresentare nell’assemblea le
posizioni e gli interessi del governo che li ha nominati, assumendo in questo
senso un vincolo di mandato che rende la loro designazione revocabile.
Ø Chiarito
dunque che il superamento totale del bicameralismo paritario e la conseguente “trasformazione
del Senato in un museo” non costituisce un vero e proprio risultato della
riforma, occorre soffermarsi sulle regole che dovranno presiedere al
funzionamento del procedimento legislativo con riferimento a tutte quelle
materie per le quali la funzione legiferante non viene esercitata da entrambe
le camere. Al riguardo, emergono tutti i limiti di quel “bicameralismo
sciancato” a cui si è poc’anzi fatto cenno.
Ø Il
nuovo testo degli art. 70 ss. Cost. delinea almeno quattro differenti
procedimenti di approvazione delle leggi, ciascuno caratterizzato da un diverso
impatto delle indicazioni espresse dal Senato (non si prendono in esame in
questa sede, per comprensibili ragioni di tempo, il procedimento di
approvazione della legge elettorale, e quello volto alla conversione dei
decreti-legge):
v Il procedimento ordinario
(disciplinato dall’art. 70, comma 2, Cost.) prevede che ogni ddl approvato
dalla Camera dei deputati debba essere trasmesso al Senato che, su richiesta di
almeno un terzo dei suoi componenti, può chiedere di esaminarlo entro 10 giorni dalla trasmissione.
Nei successivi 30 giorni, il Senato
può deliberare delle proposte di modifica, sulle quali la Camera si deve
esprimere in via definitiva: tali
proposte di modifica non sono vincolanti per la Camera dei deputati, che
può respingerle indipendentemente dalla maggioranza di consensi che la
proposta di modifica ha incontrato in Senato.
Proprio sotto questo profilo, emerge un
altro significativo argomento che rende quantomeno arduo ogni parallelismo
tra il nuovo Senato e il Bundesrat, al quale la Legge fondamentale tedesca
riconosce il c.d. potere di veto
sospensivo. Il Bundesrat può infatti esprimere un parere negativo su
una legge approvata dal Bundestag: un parere negativo che lo stesso Bundestag
può rovesciare solo con una maggioranza analoga a quella che, presso la seconda
Camera, ne ha sostenuto l’approvazione. Il ddl Renzi – Boschi attribuisce alla
Camera il potere di disattendere nella più totale autonomia le proposte del
Senato, rendendo di fatto potenzialmente pletorico il ruolo della seconda
Camera nel procedimento di approvazione della legge.
v Un
congegno simile al “veto sospensivo” del Bundesrat è invece previsto per il procedimento di approvazione delle leggi
ex art. 117, comma 4, Cost. (Leggi, proposte dal Governo, in materie
non riservate alla competenza esclusiva dello Stato, e richieste per la tutela dell’interesse
nazionale): in questi casi, infatti, l’esame del Senato è necessario, e le
proposte di modifica devono essere deliberate entro 15 giorni dalla
trasmissione. La Camera può non conformarsi a tali proposte di modifica, ma
deve esprimersi in questo senso a maggioranza assoluta.
v Termini
particolarmente stringenti sono previsti per le leggi di bilancio (art. 81, comma 4, cost.): le proposte
di modifica devono essere deliberate dal Senato entro quindici giorni dalla
trasmissione.
Problemi:
1)
se
il Senato richiede di esaminare un ddl già approvato dalla Camera, e poi non
riesce ad approvare le proposte di modifica nei successivi trenta giorni, la
legge può essere promulgata. Ma questo implica che la nuova norma “mette in
conto” una perdita di tempo pari a quaranta giorni, contravvenendo così a
quelle esigenze di speditezza nel procedimento di approvazione delle leggi che
invece dovrebbero costituire la ratio
della riforma.
2) La
disposizione in esame (nella parte in cui statuisce che, qualora il Senato non
chieda di esaminare il ddl o non deliberi proposte di modifica entro i
successivi trenta giorni, la legge può essere promulgata) presenta inoltre un
difetto di formulazione: può il Presidente della Repubblica promulgare una legge
se le proposte di modifica del Senato sono state deliberate una volta che il
suddetto termine è scaduto? O, in questo caso, la legge è a rischio di
incostituzionalità?
3) Se
la Camera dei deputati, nell’esprimersi sulle proposte di modifica deliberate dal
Senato, apporta delle ulteriori modifiche al testo della legge – ad esempio,
recependo in parte le indicazioni del Senato o incidendo su altre disposizioni
collegate a quelle oggetto di tali proposte di modifica – la legge può essere
promulgata o deve essere di nuovo trasmessa al Senato per un nuovo, eventuale
esame?
Dubbi, quelli appena
prospettati, che saranno chiariti solamente allorquando la Corte costituzionale
verrà chiamata a pronunciarsi sulle molteplici questioni di legittimità
sollevate in ordine alle leggi approvate secondo i procedimenti appena
descritti.
4) E’ l’impianto
complessivo della riforma a destare perplessità: da un lato, infatti, si
costruisce il Senato come un’assemblea non direttamente elettiva, composta da
consiglieri regionali e sindaci (impegnati dunque nell’espletamento di funzioni
istituzionali di primo piano a livello locale); d’altro lato, si pretende che
questo Senato operi a ritmi serrati per rispettare i termini che scandiscono i
vari procedimenti sopra descritti: il rischio che il Senato non riesca a
operare entro questi termini, divenendo così un organo sostanzialmente privo di
incidenza, è molto concreto.
v Procedimento “a data certa” (per i ddl
indicati come essenziali per l’attuazione del programma di governo – art. 72,
c. 7 Cost): il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di
deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un ddl indicato come essenziale
per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine
del giorno e sottoposto alla pronuncia definitiva entro i successivi settanta giorni. I termini di cui
all’art. 70 c. 3 sono ridotti della metà: il Senato ha cinque giorni per
chiedere di esaminare il testo, e 15 giorni per deliberare le eventuali
proposte di modifica.
Concludiamo la nostra trattazione con
l’esame di questa norma, anch’essa densa di punti oscuri e di profili di
criticità.
Discutibile, innanzi tutto, è la ratio che la
ispira, identificabile nell’esigenza di “velocizzare” l’azione del governo,
affrancandola dalle “sabbie mobili” della discussione parlamentare, percepita
quasi come un’insopportabile fardello che appesantisce l’attività normativa.
Eppure, considerata la centralità che il Parlamento assume nell’ambito di una
forma di governo ancora descritta come parlamentare, è proprio su quelle
proposte strategiche per l’attuazione del programma di governo (e dunque
particolarmente rilevanti dal punto di vista politico) che la discussione tra
le forze presenti in Parlamento dovrebbe essere più attenta ed analitica.
La
disposizione, si diceva, è utile a rendere più rapida ed incisiva la produzione
normativa dipendente dall’iniziativa del governo: sulla necessità
dell’inserimento di siffatta disposizione nel tessuto costituzionale è lecito
avanzare più di un dubbio.
1) In primo luogo, si
osserva che, nella precedente legislatura, la Camera dei deputati ha approvato
un numero di ddl di iniziativa governativa di gran lunga superiore a quello
delle proposte di legge di iniziativa parlamentare. In secondo luogo, si segnala
come i lavori parlamentari siano stati spesso programmati in base ai desiderata dell’Esecutivo: non si può
non ricordare, in questo senso, il caso di Eluana Englaro, in cui il Governo –
dinanzi al rifiuto del Capo dello Stato di promulgare un decreto legge che
vietava alle strutture sanitarie di procedere alla sospensione
dell’alimentazione e dell’idratazione dei pazienti – approvò un ddl che fu
immediatamente messo in discussione al Senato, e che fu ritirato solo alla
notizia della morte della ragazza.
La disposizione che si
esamina rischia, dunque, di “costituzionalizzare” una prassi già esistente:
quella basata su una sorta di ribaltamento dei rapporti di forza tra Parlamento
e Governo, con l’attività del Parlamento di fatto condizionata dalle esigenze
dell’Esecutivo. Al riguardo, agli interpreti non è sfuggito che l’estrema
genericità del testo normativo non pone limiti al Governo nella scelta dei ddl
da indicare come “essenziali” per l’attuazione del programma: ne consegue
dunque che – anche a causa del controllo della Camera dei deputati assicurato
dall’Italicum al leader del partito di maggioranza - l’entrata in vigore della medesima potrebbe
di fatto attribuire all’Esecutivo il controllo dei lavori parlamentari. Non
deve essere dimenticato infatti che il ricorso al procedimento a data certa si
affianca all’arbitrario ricorso alla questione di fiducia e all’abuso della
decretazione d’urgenza che ha caratterizzato le ultime legislature.
2) La poco chiara
formulazione della disposizione non chiarisce poi quali conseguenze possano
derivare dall’eventuale mancato rispetto del termine di settanta giorni entro
cui deve intervenire la deliberazione della Camera dei deputati: non si
comprende infatti se il termine in questione debba considerarsi meramente
ordinatorio, o se la violazione del medesimo possa rendere la legge
costituzionalmente illegittima. Altro materiale di riflessione per la Corte
costituzionale.
Ø Considerazioni conclusive:
“semplificazione o complicazione”? La risposta all’interrogativo oggetto di
queste riflessioni emerge dalla semplice lettura delle disposizioni che abbiamo
provato a esaminare: un procedimento legislativo delineato con assoluta
linearità viene sostituito da almeno cinque sotto-procedimenti, caratterizzati
da un affannoso gioco di rinvii ad altre norme, pareri non vincolanti e termini
di dubbia valenza. “Le leggi siano poche, semplici e chiare, affinché nessuno
per capirle abbia bisogno di nessuno”: le scelte del legislatore della riforma,
lontane anni-luce dal monito di Montesquieu, offrono dunque lo spunto per
alcune ulteriori considerazioni finali.
Premesso che è lecito dubitare delle tesi
che individuano nella struttura e nelle funzioni dell’attuale Senato il
principale problema della democrazia italiana, nessuno è aprioristicamente
ostile al superamento del bicameralismo paritario. Le critiche sono dunque
rivolte al “modello” che la riforma delinea: al riguardo, sento di poter
affermare che l’introduzione di un sistema monocamerale puro, basato sulla
presenza di una Camera dei deputati eletta con un sistema proporzionale
caratterizzato da una soglia di sbarramento e dalla integrale reintroduzione
delle preferenze, sarebbe stata molto più accettabile del monocameralismo
spurio (o del bicameralismo sciancato) contenuto nel ddl Renzi – Boschi. Perché
le leggi devono essere poche, semplici e chiare, e perché il “sudoku” di
procedimenti diversi che la riforma propone nel tentativo di differenziare le
competenze tra le due Camere stride apertamente con l’obiettivo che Togliatti
assegnava al testo della Carta Fondamentale: essere allo stesso modo
intellegibile sia per il laureato in giurisprudenza e per il pastore
dell’entroterra sardo.
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