Combinando
sapientemente la tensione narrativa dello scrittore di successo con il lucido
rigore dell’analista politico, l’ultimo romanzo di Vindice Lecis offre un
potente affresco corale delle tensioni, delle speranze e dei conflitti che laceravano
l’anima della sinistra italiana durante la fase più buia degli “Anni di Piombo”:
quella che va dall’uccisione di Aldo Moro al superamento del Compromesso
storico, dalle prime indagini del Generale Dalla Chiesa al brutale assassinio
di Guido Rossa.
“L’infiltrato” è tutto questo, e
molto di più: è la storia di un sogno, il sogno dei militanti di un partito che,
individuando nel dialogo tra masse cattoliche e popolo progressista la strada
per superare gli schemi di una democrazia imperfetta, si affacciava per la
prima volta al portone di Palazzo Chigi; è la storia di un Paese messo a ferro
e fuoco da un manipolo di sicari travestiti da terroristi, capaci di affogare, alla
luce di inconfessabili interessi superiori, in un bagno di sangue gli stessi
ideali della lotta partigiana; è la storia di quel variegato sottobosco di
militari, faccendieri, trafficanti e spioni che si aggiravano per l’Italia, per
imporre le ombre lunghe del muro elevato tra Jalta e Berlino in confronto di quanti
si ostinavano a considerare il PCI non subalterno alle logiche di Mosca.
Un partito sotto attacco da destra e
da sinistra, un Paese assediato da nemici senza volto e da falsi alleati: la
scelta di perseguire la linea della fermezza in difesa delle istituzioni
repubblicane, la condanna senza appello dei compagni che sbagliano, Berlinguer
descritto come il principale avversario della classe operaia, i contatti tra
Pecchioli e Dalla Chiesa, la scelta del PCI, pericolosa e generosa, di inserire
i suoi militanti nelle varie realtà della galassia extraparlamentare allo scopo di comprenderne le logiche e di prevenirne le
azioni. La ricostruzione dello storico si salda con la fantasia del romanziere
per descrivere la vicenda personale di Antonio Sanna, funzionario tutto d’un
pezzo incaricato di gestire i contatti con Vasco, militante infiltrato in una
delle tante cellule autonome convertitesi alla lotta armata.
Da Padova a Sassari, davanti agli
occhi disincantati di Sanna scorrono i frammenti di un’Italia oppressa da una
cappa grigia di rancore e paura, con il linguaggio gelido dei comunicati delle
BR destinato idealmente a mescolarsi con
l’odore della cordite e con il fuoco delle molotov scagliate contro le sezioni
del partito: fino al tragico epilogo, la morte di Guido Rossa, l’operaio
giustiziato dai giustizieri della classe operaia. Le fabbriche si rivoltano
contro il Movimento, i capi delle BR iniziano a cadere nella rete di Dalla
Chiesa: troppo tardi, per vedere realizzato il disegno di Moro e Berlinguer;
troppo tardi, per superare la conventio
ad excludendum delineata all’ombra del muro; troppo tardi per evitare il
perpetrarsi di quella democrazia imperfetta destinata ad implodere con la crisi
della Prima Repubblica.
L’infiltrato può allentare la sua
militanza nell’area del fiancheggiamento, il PCI torna all’opposizione, il
fantasma di Gladio - della struttura para-militare creata da quelle forze della
conservazione che intendevano reagire ad un’eventuale vittoria dei comunisti
con un colpo di stato in stile cileno – inizia ad aggirarsi tra le stanze di
Botteghe Oscure: c’è un’altra missione da compiere, un nuovo nemico da
contrastare. Sanna lascia la stanza di Pecchioli senza nulla chiedere: portando
dentro di sé il peso dell’ennesimo incarico da svolgere; ignorando, più o meno
consapevolmente, l’amarezza che sempre accompagna le ultime battute di una
storia destinata a risolversi in un sogno mancato.
Carlo
Dore jr.
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