L’aggettivo
più adatto per descrivere “Il Nemico”, ultimo romanzo di Vindice Lecis edito da
Nutrimenti, è “plumbeo”: plumbeo come le divise dei dignitari sovietici;
plumbeo, come le stanze di Botteghe Oscure nel gelido inverno del 1951;
plumbeo, come il clima che attanagliava l’Italia appena uscita dal conflitto
mondiale. Un romanzo plumbeo, dunque, che mira innanzitutto a ricostruire le
tensioni, le speranze, le pulsioni di una stagione destinata a segnare
irreversibilmente la storia italiana del dopoguerra; a rappresentare il
travaglio del PCI, assediato dall’esterno e lacerato dai conflitti interni,
ancorché celati sotto le ferree logiche del centralismo democratico.
Le
indagini di Antonio Sanna (il funzionario dell’ufficio quadri già protagonista
de “L’infiltrato) vertono su due fatti specifici: la scoperta di un sistema di
microspie nella casa di Togliatti e Nilde Iotti (quest’ultima, sospettata di
intelligenze con ambienti vaticani); e la condotta di Giulio Seniga, stretto
collaboratore di Secchia e depositario di parte del tesoro segreto del partito.
La rilevanza di questi fatti può però essere compresa alla luce di un’ulteriore
serie di eventi, che il romanzo ricostruisce a tratti analiticamente, a tratti
in modo più sfumato: la “Svolta di Salerno” e la conseguente scelta di
Togliatti di abbracciare la dialettica parlamentare silenziando ogni tentazione
verso la lotta armata; l’attentato di Pallante, col Migliore costretto dal suo
letto d’ospedale a intimare calma ai militanti che già innalzavano le barricate
a Trastevere; il secondo attentato subìto dal Segretario, e l’invito di Stalin
a trascorrere un periodo di convalescenza in Russia.
Gli
eventi da ultimo richiamati produssero un duplice effetto: in primo luogo,
l’eccessivo autonomismo del PCI rispetto alle determinazioni del Cremlino
attirò su Roma la diffidenza di Mosca, con Stalin intenzionato a non perdere il
controllo di un avamposto strategico nelle dinamiche della Guerra Fredda; in
secondo luogo, il confronto tra fautori della strategia parlamentare e
sostenitori della lotta armata (mirabilmente descritto nel romanzo attraverso
le discussioni tra Sanna e il futuro suocero) alimentò la frattura tra
Togliatti e Pietro Secchia, uomo di fiducia del PCUS e principale teorico del
partito da combattimento.
In
questo contesto si colloca il tentativo di sottrarre al Migliore la segreteria
del partito per confinarlo nell’esilio dorato del COMINFORM (perfetta
applicazione della logica stalinista del promoveatur
ut admoveatur); in questo contesto si inquadrano i sospetti verso Nilde
Iotti; in questo contesto Sanna si trova ad indagare. Il tutto mentre la
repressione della polizia di Scelba inizia a incombere sui lavoratori in lotta,
mentre oscuri esponenti della burocrazia fascista ricostruivano la loro
verginità politica sotto le insegne del nuovo moderatismo di governo, e mentre
lo spettro di una struttura militare parallela, molto segreta e molto potente,
creata per neutralizzare una vittoria elettorale dei comunisti faceva
trasparire quella dimensione di democrazia imperfetta destinata a trascinare
l’Italia verso la stagione delle stragi.
Sospetti
e microspie, attentati veri e presunti, spioni e militari sotto copertura. E
una sola, ineludibile domanda, per Sanna, per il PCI, per Togliatti: dove si
nascondeva il nemico? Togliatti riuscì a schivare le profferte di Stalin
imprudentemente avallate dalla direzione del partito, e attese, a suo modo,
l’occasione per chiudere i conti con gli oppositori interni. L’occasione si
presentò con la “fuga con la cassa” ordita dal traditore Seniga: travolto dalla
doppiezza del suo collaboratore, Secchia perse gradualmente la sua centralità
all’interno dell’organizzazione, finendo superato dal rinnovamento togliattiano
insieme al mito della lotta armata.
Tanto
nel plumbeo romanzo di Vindice Lecis quanto in quell’altrettanto plumbeo
romanzo che è la storia italiana del dopoguerra, la ricerca del nemico si
conclude quindi con una vittoria del Migliore, capace di riaffermare la propria
dimensione di leader e la propria idea del PCI come partito della Costituzione,
e di rispondere alla domanda poc’anzi formulata, portando allo scoperto il
nemico e sconfiggendolo in silenzio.
Carlo Dore jr.
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