venerdì, aprile 14, 2006


RIFLESSIONI A MARGINE DEL SUCCESSO ELETTORALE


L’interminabile notte del 10 aprile ha rappresentato la concretizzazione del momento che l’intero popolo del centro-sinistra attendeva da cinque, lunghissimi anni. Dalle principali agenzie di stampa, dagli “speciali” predisposti da tutte le emittenti nazionali, dai tanti siti intrenet che davano la possibilità di seguire in diretta l’andamento dello spoglio, la stessa notizia ha iniziato a diffondersi con una velocità dirompente ed inebriante: Berlusconi è stato sconfitto, l’Unione ha riconquistato il governo del Paese.
Le migliaia di persone che gremivano Piazza Santi Apostoli rappresentavano a Romano Prodi e agli altri leaders della coalizione la gioia immensa che in quel momento univa tutti i progressisti d’Italia nella consapevolezza di avere spezzato, seppur grazie ad una vittoria maturata sul filo di lana, quel regime odioso e strisciante imposto dal Caimano durante la sua permanenza a Palazzo Chigi.
A margine di quella che può essere obiettivamente definita come una giornata importante per la nostra democrazia, è però ora necessario , essendosi al fine placata la folle giostra di numeri, sondaggi, percentuali e dichiarazioni a caldo che da sempre caratterizza il funzionamento della macchina elettorale, formulare alcune considerazioni in ordine ad uno dei risultati politici più controversi ed indecifrabili della storia della Repubblica.
Premesso che il rifiuto da parte del Presidente del Consiglio di riconoscere la legittima vittoria dell’Unione (rifiuto motivato in ragione di fantomatiche irregolarità che avrebbero caratterizzato le operazioni di voto) rappresenta un ennesimo sfregio alle regole su cui si fonda l’ordinamento democratico, occorre rilevare che l’affermazione del centro -sinistra non ha assunto le proporzioni che era lecito attendersi in base ai dati forniti all’opinione pubblica nei giorni precedenti il voto.
Si era infatti più volte auspicato che la volontà degli elettori non si esaurisse in un semplice mutamento della maggioranza parlamentare, ma che costituisse il momento iniziale di un radicale processo di epurazione della classe dirigente imposta dalla Casa delle Libertà, schiacciata dal peso dei continui fallimenti riportati nel corso della sua esperienza di governo.
Tuttavia un simile effetto non si è verificato: forte di un consenso popolare imprevedibile, Berlusconi ed il suo entourage di stagionate veline, oscuri pregiudicati e laidi cortigiani ( ora nobilitato anche dal sorriso stereotipato ed inespressivo del redivivo Mauro Pili) continueranno ad esercitare un ruolo di primo piano sulla scena politica italiana.
Le cause di questo parziale fallimento sono, a mio avviso, individuabili in due principali argomenti. I leaders dell’Unione, evidentemente certi del successo finale, hanno condotto una campagna elettorale di basso profilo, scegliendo di non attaccare gli avversari nei loro tradizionali punti deboli (i tanti precedenti penali di alcuni uomini di punta della nuova destra; la partecipazione del premier alla loggia P2; le presunte connivenze tra alcuni candidati della Casa delle Libertà e determinati settori della criminalità organizzata; la presenza nell’ambito della medesima coalizione di esponenti del neofascismo più bieco) anche a costo di rinunciare alla replica in confronto delle quotidiane bordate provenienti da Palazzo Grazioli.
Una simile strategia, basata sull’individuazione dei problemi del Paese e sulla esposizione dei programmi elaborati per risolverli, ha avuto poca incidenza (anche a causa di alcuni banali errori di comunicazione commessi con particolare riferimento alle scelte di politica economica) su quell’ampia fetta dell’elettorato medio, dimostratasi particolarmente sensibile alle mirabolanti promesse contenute nell’ennesimo Libro dei Sogni presentato dal Caimano come effettivo programma di governo.
Le considerazioni appena formulate permettono di offrire un’adeguata valutazione del risultato complessivamente deludente riportato dai Democratici di Sinistra, dimostratisi ancora una volta incapaci di ripetere lo straordinario exploit del 1996.
La più volte denunciata crisi di identità derivante dalla politica moderata imposta dai vertici del partito e dalla decisione di confluire nella lista unitaria dell’Ulivo - primo passo per procedere alla formazione del Partito Democratico - ha infatti creato una prevedibile frattura tra il suddetto gruppo dirigente e quella parte della base che, fedele ai principi della sinistra tradizionale, fatica ad identificarsi in un soggetto politico ibrido, e per questo tende ad individuare nelle forze dell’area più radicale della coalizione il suo nuovo punto di riferimento.
Posto che la forte investitura popolare ricevuta attraverso le primarie rende inattaccabile la leadership di Prodi indipendentemente dal suo porsi come leader di un autonomo soggetto politico, il direttivo diessino dovrebbe interrogarsi sull’opportunità di elaborare una nuova strategia per riproporre il partito quale principale forza della sinistra italiana. In questo senso, la proposta di realizzare (attraverso un processo di riunificazione che coinvolga anche Rifondazione Comunista e Comunisti italiani) una sorta di casa comune dei progressisti, ideologicamente coerente con i principi del socialismo europeo e per questo capace di dare vita ad un' alleanza stabile con il centro riformista, potrebbe garantire all’Unione la stabilità necessaria per affrontare in maniere efficace ed incisiva le tante sfide che caratterizzeranno i prossimi cinque anni di governo.

Carlo Dore jr.

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