giovedì, gennaio 17, 2008


GIUSTIZIA: NO A UN “PARTITO ANTI-TOGHE”


Le dimissioni del Ministro della Giustizia Clemente Mastella hanno riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica il delicatissimo tema dei rapporti tra potere politico e potere giudiziario, colpevolmente accantonato dall’attuale maggioranza di governo dopo le roventi polemiche che avevano contraddistinto la precedente legislatura.
L’ultimo atto di accusa dell’ex Guardasigilli – che dinanzi alla Camera dei Deputati ha denunciato l’esistenza di una cospirazione messa in atto nei suoi confronti da quelle “frange estremiste” della Magistratura da sempre impegnate nell’attuazione di un progetto eversivo volto a pregiudicare il sereno svolgimento della vita istituzionale del Paese – ha incontrato il totale consenso dei principali esponenti dell’opposizione di centro-destra, dimostratisi ancora una volta implacabili nell’invocare a reti unificate l’approvazione di misure idonee a paralizzare l’azione delle toghe militanti.
Di fronte ad un simile status quo, il buon senso e l’equilibrio che sempre caratterizzano le dichiarazioni di Anna Finocchiaro, la quale ha manifestato la necessità di evitare che “le lancette dell’orologio della Storia vengano riportate indietro di quindici anni”, che l’apertura di una nuova stagione di conflitto tra politica e Magistratura favorisca la restaurazione di quel diffuso clima di sfiducia verso le Istituzioni che si respirava durante gli Anni di fango, non sono sufficienti a cancellare la sottile sensazione di amarezza che tanto l’autodifesa pubblica del segretario dell’Udeur quanto i successivi interventi di Bondi, Fini e Casini hanno destato nell’animo di ogni sincero democratico.
Se da un lato è infatti innegabile che la presunzione di innocenza dovuta a tutti i cittadini non condannati attraverso sentenza passata in giudicato impedisce che gli uomini politici sottoposti ad indagine vengano resi oggetto di processi di piazza e gogne mediatiche, risulta d’altro lato altrettanto innegabile che le garanzie di autonomia ed indipendenza riconosciute dalla Carta Fondamentale ai soggetti appartenenti al potere giudiziario impongono di non bollare come pericolosi eversori quei magistrati i quali legittimamente esercitano le loro prerogative nei confronti dei membri della Casta del potere o dei loro più stretti sodali.
Premesso infatti che, come correttamente rilevato da Marco Travaglio, l’immunità parlamentare non può essere intesa anche in termini di “immunità parentale”, la formazione di un trasversale partito anti-giudici, benedetto dal capo di quella destra affarista ed amorale che (attraverso l’approvazione della legge Cirami e del patteggiamento allargato, della legge Cirielli e del lodo Schifani, della riforma del falso in bilancio e delle altra misure ad personam) ha concorso a tramutare l’Italia in una sorta di Isola della Tortuga collocata nel cuore del Mediterraneo, costituirebbe un macroscopico tradimento delle aspettative di tutti quei cittadini che ancora attendono dall’Unione, in ordine ai grandi temi della giustizia e della legalità, l’attuazione di un concreto progetto di cambiamento.
Ricordando l’entusiasmo del popolo del Palavobis, la straordinaria partecipazione che contraddistinse tutte le iniziative del movimento girotondino e soprattutto lo straordinario moto di orgoglio con cui il Paese intero accolse l’invito a “Resistere! Resistere! Resistere!” scagliato da Borrelli in faccia al Caimano in persona, il centro-sinistra è ora chiamato a preservare l’integrità dello Stato di diritto, a garantire alla Magistratura la possibilità di esercitare le sue funzioni nel pieno rispetto degli equilibri delineati dalla Costituzione, a recuperare la fiducia dei tanti elettori che ancora rifiutano un’idea di politica intesa non come realizzazione dell’interesse generale ma come mero esercizio di potere e privilegi. Se il patto di fiducia tra rappresentanti e rappresentati, tra istituzioni e società civile dovesse incrinarsi ancora una volta, gli anni di fango potrebbero non sembrare poi così lontani.

Carlo Dore jr.

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